lunedì

Il colore dello stretto? Blu notte.

Domenica 5 ottobre su rai tre andrà in onda una puntata di Blunotte su “Messina, un enigma da decifrare".

Si parlerà come annunciato delle trame che hanno impedito di conoscere nel tempo la verità vera su alcuni fatti di cronaca. Tre omicidi.
Tre storie diverse ma che sembrano uguali.
Tre procedimenti e tanti tentativi di depistare le indagini.
Tre resoconti di cronaca giudiziaria, che affondano le radici sulle collusioni ed infiltrazioni della mafia nei palazzi del potere e della giustizia.
Insomma il Caso Messina.

Lucarelli dedica così una puntata di approfondimento su tre vicende accadute nella città dello stretto.
Da queste si parte.
Ma come nel gioco della settimana enigmistica, unendo i puntini che si trovano apparentemente sparpagliati su un foglio bianco si può provare a ricostruire un disegno.
Il disegno di una città crocevia di interessi forti.
Poteri forti.
Università, magistratura e politica.
Appalti e soldi. La mafia ed i suoi interessi.
Interessi da difendere a tutti i costi.

Soprattutto una città abituata al silenzio.
Tranne rari casi isolati, nessuno si chiede come sia stato possibile subire gli insabbiamenti in questi procedimenti giudiziari.
L’omicidio Bottari doveva essere etichettato come omicidio passionale.
Anche quello di Beppe Alfano doveva riportare la stessa etichetta.
Certo quello della Campagna era più complicato da “gestire”, eppure per vent’anni ci sono riusciti.

Tre nomi riportati su tre lapidi.
Tre crepe che si aprono sulla superficie liscia e vellutata che ricopre le facciate dei palazzi.

Tribunali, Università e Comuni.
La nuvola di polvere da sparo si è appena diradata e subito si inizia a lavorare per depistare.
Tremano le vene ai polsi ma si cerca di nascondere tutto.

Ci si inventa furti intimidatori, si rispolverano lettere compromettenti o semplicemente ci si dimentica di fare il proprio dovere.
Tanto tutto passa.

Messina non riesce a scrollarsi le ragnatele che la coprono.
Non riesce ad urlare di rabbia.
Si ricomincia come all’alba del terremoto.
Come se questi omicidi e il verminaio fossero caduti dal cielo, ineluttabili segni della natura a cui nulla si può opporre.

Verrà lunedì 6 ottobre e dalle pagine dei quotidiani si dirà che la città dello stretto non è così.
Siamo una realtà del mezzogiorno, abbiamo grande vocazione turistica e uno splendido potenziale con il water-front.

Siamo un pezzo di Sicilia in verità.
Un pezzo di questo paese governato con l’impunità e la rassegnazione.
Siamo solo più silenziosi.
Siamo forse più rassegnati.

martedì

Il silenzio è d'oro

Il carrozzone dell’Alitalia rischia il fallimento.

La giustizia si argina al di fuori dei palazzi del potere.

Ci avvelenano con alimenti adulterati e cancerogeni.

Una azienda, l’Alitalia, che fallisce perché è giusto che accada.
Perché una promessa elettorale non andata a buon fine può causare anche questo.
Perché anziché essere accusato Berlusconi va da Vespa/Fede per mostrare a tutti gli italiani la pratica della fellatio con la Vezzali.
Perché l’Alitalia è amministrata e gestita come fosse il Comune o un qualsiasi degli enti locali di una qualunque città italiana.

In silenzio e senza enfasi.
Ed allora che intervenga il tribunale fallimentare a visionare i bilanci.
La causa del fallimento non è data dai piloti che ora difendono quello che negli anni gli è stato dato.
La causa è nel comportamento criminale che ha generato una azienda mangia soldi con nomine politiche ed assunzioni di comodo.
Ora chi ci lavora difende il pane quotidiano.

La giustizia distrutta dalle correzioni normative di convenienza del governo.
Il PD non sa che fare. Resta in silenzio.
Veltroni e D’Alema litigano per la tv satellitare.
Veltroni e D’Alema per l’ennesima volta distruggono sinistra ed opposizione.
Restano muti.
In fondo le leggi di Berlusconi fanno comodo a tutti. A tutta la Casta.
L’autorizzazione a procedere per D’Alema non verrà mai concessa.
La maggioranza comprerà il silenzio del PD. Nessuna accettazione e nessun contratto.
Il silenzio. Non servono parole e spiegazioni.

Nel nostro paese nonostante le rassicurazioni politiche dell’istituto superiore di sanità non ci sono controlli sugli alimenti.

Sono previsti ma raramente vengono eseguiti.
In silenzio.
Perché in questo paese c’è la corruzione che distrugge e sgretola ogni forma di controllo.
Perché il vigile sanitario, il funzionario dell’asl, il dirigente della provincia sono corrotti. Nel silenzio dei loro uffici si consumano le piccole corruzioni che distruggono questo paese.
Perché tanto non andranno mai in galera.

Perché ad alimentare la corruzione c’è l’impunità.
Se verranno scoperti dopo qualche giorno sarà di nuovo silenzio.

Tra qualche mese nessuno parlerà più dell’Alitalia.
Tra qualche mese nessun tribunale processerà D’Alema.
Tra qualche mese qualche azienda continuerà a produrre non rispettando le leggi questo o quell’alimento.
Tra qualche mese il funzionario dell’ASL comprerà la macchina nuova al figlio diciottenne e festeggerà in un lussuoso ristorante con piatti a base di mozzarella alla diossina e pasticcini alla melamina.
Tra qualche mese sarà ancora silenzio.

I cento passi.

100 passi.
Questa è grosso modo la distanza che separa i due palazzi.
Una grande piazza, una strada in mezzo e due imponenti facciate che si osservano.


Palazzo Piacentini sede della Giustizia e l’austero palazzo dove ha sede l’Università.

La legge e gli affari.
Divisi da 100 passi.

I due edifici tremano spesso scossi dalla medesima spinta.

Dalle finestre si affacciavano e si guardavano parenti, cognati, amici, soci e compari.
Da una parte l’università con i suoi giri di milioni e la gestione dell’azienda più importante della città, il policlinico.
Dall’altra il Tribunale all’interno del quale ogni tanto la Legge è stata addomesticata.

Inchieste negli anni sono state avviate dalle stanze del palazzo di giustizia per accertare i reati commessi nelle stanze dirimpetto.
Qualche magistrato che non conosceva forse il legame tra le fondamenta delle due sedi del potere.

Messina crocevia degli affari della mafia siciliana e della ‘ndrangheta calabrese.
Il potere e la sua breve distanza.
Cento passi.

Al Policlinico universitario convergevano gli interessi di cosa nostra palermitana, di quella catanese e delle ‘ndrine della locride e di Africo.

La mafia, gli affari e la massoneria.
Rettori, primari e procuratori.

La Messina “babba” si gestisce così.
Esami, appalti e certificazioni di comodo. Inchieste e archiviazioni.
I cento passi si percorrono velocemente.
Magari ci si incontra a metà strada nel parcheggio ed insieme ci si incammina verso la Gran Loggia Regolare o altri ritrovi esclusivi.
La mafia gli affari e la massoneria.

Neanche l’omicidio del prof. Bottari e l’arrivo della commissione nazionale antimafia ha scosso i rapporti di buon vicinato.
Il superprocuratore antimafia Vigna concludendo disse che l’omicidio del medico, è si un delitto di mafia ma anche di soldi tanti soldi.
Il Caso Messina ed il verminaio.
Le condanne piovute da Catania su alcuni magistrati messinesi non hanno fatto molto rumore.
Accuse gravi, accuse di mafia.

I palazzi restano immuni da ogni scossa.
Le crepe si riparano.
Le fondamenta si mantengono ferme l’una con l’altra.

Poco importa ciò che succede negli altri due palazzi, quelli della politica.
Comune e Provincia anche loro distano cento passi.
Una misura ricorrente.
Ciò che accade nelle poltrone delle due amministrazioni passa prima dai centri dell’alta istruzione e della giustizia.
Tutto vicino.

Sembra tutto già deciso.
Sembra tutto inarrestabile.

Cento passi da percorrere sotto il sole con il vento di scirocco che asciuga la bocca.
La distanza tra i due colossi, le due mitiche creature pronte ad aggredire l’ignaro passante come Scilla e Cariddi.



Calati iunco ca' passa la china


















IL RITORNO DEL PRINCIPE
Saverio Lodato
Roberto Scarpinato
Edizioni Chiarelettere

"A questo riguardo è interessante quanto sta avvenendo nel settore della sanità, divenuto da anni oggetto degli appetiti di tanti perché la spesa sanitaria costituisce una delle voci principali ed incomprimibili del bilancio nazionale e di quelli regionali.
E’ una voce che negli ultimi anni è aumentata dell’80 per cento passando dai quarantasei miliardi di euro del 1992 a novantasette miliardi di euro nel 2007.

Mi riferisco allo smantellamento progressivo di settori importanti della sanità pubblica, mediante il dirottamento dei fondi statali dagli ospedali pubblici alle cliniche private convenzionate di cui sono soci palesi o occulti esponenti del ceto politico, loro parenti o prestanomi.
A tali cliniche vengono ceduti tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produrre ampi profitti (le alte tecnologie, la diagnostica ecc.) mentre vengono lasciate al pubblico quelli a redditività bassa o nulla (per esempio la rianimazione, la terapia intensiva, il pronto soccorso).

Le prestazioni effettuate – gran parte delle quali inutili ma prescritte da centinaia di medici integrati nel sistema a suon di mazzette e regali – vengono poi rimborsate con il denaro pubblico.
(…) La malasanità figlia della malavita politica causa più morti delle guerre di mafia: un rosario di cadaveri non eccellenti di poveri cristi senza santi in paradiso.

La sanità in Sicilia, una delle patrie della malasanità, è la prima industria con sessantamila occupati, una spesa pubblica di 7,8 miliardi di euro pari al 40 per cento del bilancio regionale.
(…) Sono dati che parlano da soli.
A seguito di un’indagine condotta dalla Procura di Palermo su una delle più rinomate cliniche private dell’isola – la clinica Santa Teresa di Bagheria – è emerso che su ventinove milioni di euro pagati dalla Regione Sicilia alla clinica solo quattro erano effettivamente dovuti".
In questi anni il Principe ha distrutto la sanità pubblica a vantaggio di quella privata.
Certo in questi anni le cliniche private i laboratori di analisi e le case di cura convenzionate, hanno assunto ed investito.
Ora senza demonizzare il privato, risulta chiaro che un freno debba essere messo.
Farlo d’un tratto è doloroso per tutti.
Forse anche eccessivo.
Ma da qualche parte si dovrà pure iniziare.
Quando si chiude una azienda per la sua appartenenza mafiosa, è un danno senz’altro per chi ci lavora, ma lo è ancor di più per la collettività se si lascia che operi per l’arricchimento di cosa nostra.
Leggendo la testimonianza del giudice Scarpinato raccolta da Saverio Lodato si ha chiaro il motivo per cui oggi la Sicilia e tutta l’Italia si ritrova invasa dalle metastasi del malaffare, della corruzione e della mafia. Un invito a leggerlo ed a riflettere.

lunedì

Non cancellate Pio La Torre e Rosario Di Salvo


Campagna promossa da Aricolo21

La giunta di centro destra di Comiso ha deciso di cancellare l'intitolazione dell'aeroporto a Pio La Torre e Rosario Di Salvo. Un fatto gravissimo. Non sarà previsto dal codice penale ma il reato di cancellazione della memoria è a nostro avviso uno dei più gravi ed insidiosi. Chiediamo che questo oltraggio non venga portato a compimento.

martedì


MI CHIAMO MAURIZIO, SONO UN BRAVO RAGAZZO, HO UCCISO OTTANTA PERSONE

In un romanzo-verità a più voci, ascesa, potere e cattura di uno spietato killer di Cosa Nostra, Maurizio Avola diventato in seguito il principale collaboratore di giustizia nella lotta alla mafia catanese. Maurizio, il "bravo ragazzo" che parla a ruota libera in questo libro, è in realtà Maurizio Avola, uno dei sicari al servizio di Benedetto Santapaola, capo della cosca mafiosa che controllò per decenni Catania e l'intera Sicilia orientale. Dalle rapine al primissimo omicidio - affrontato come un bestiale "esame" sul campo - fino alla terribile routine di decine e decine di uccisioni a sangue freddo eseguite su commissione, l'uomo che nel 1984 assassinò il giornalista Pippo Fava si racconta senza reticenze. La sua voce, intervallata da quella della moglie e dal controcanto lucido e razionale del giudice che raccolse le sue deposizioni, ci sorprende e ci fa orrore mentre svela la logica perversa e spietatamente coerente di un uomo che scelse di essere un soldato della famiglia Santapaola, da lui venerata come un soldato venera il proprio generale, eseguendo gli ordini senza porsi interrogativi. Finché qualcosa in lui non si è incrinato, spingendolo, dopo l'arresto, a collaborare con la giustizia e a permettere ai due giornalisti Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli, che per mesi l'hanno ascoltato e intervistato nel carcere dov'è rinchiuso, di raccogliere la testimonianza di una vita che non riesce più a venire a patti con se stessa, rivelandoci una volta ancora il vuoto e il silenzio morale che si nascondono dietro la maschera dell'"uomo d'onore".
Roberto Gugliotta,
Gianfranco Pensavalli
Introduzione di Alfio Caruso
Fazi Editore Collana: Le vele
pp. 314 - euro 16,00
ISBN: 978-88-8112-952-2
In libreria: 5 settembre 2008