martedì

Sudditi stercorari.

Negli ultimi giorni ho come si dice “bucato” tante notizie.

Non le ho “postate” sul blog né tanto meno commentate.


Non è stata una mancanza dovuta all’assenza di fonti o perché ciò che è accaduto non abbia suscitato in me interesse.

Forse la causa di tutto è il sentimento di avvilimento che mi ha pervaso nell’apprenderle.

Allora ho continuato a spingere la mia pallina di sterco.

Come ogni giorno ho svolto il mio lavoro da uomo qualunque.


Le oscure vicende ad esempio del “memoriale Canali che come un sasso ha generato cerchi concentrici nelle torbide acque della storia giudiziaria della provincia di Messina.

Osservo i cerchi allargarsi e spingo la mia nauseante palla.


I proclami sul ponte sullo stretto offerti ad un popolo affamato come ghiande ai porci, come ipocrite promesse vestite da panacea dei mali del mezzogiorno.

Le battaglie condotte contro i tentativi dittatoriali di piegare la Giustizia di questo paese a proprio uso e consumo.


Ed io, imperterrito, ho continuato ad impartire il moto rotatorio alla mia sfera sempre più grande.

Da una parte giuristi, intellettuali e semplici cittadini che gridano a gran voce per lo scandaloso golpe operato dal presidente del consiglio, dall’altro telegiornali che ne acclamano le gesta per le ormai vuote menti dei telespettatori.


Già i telespettatori, i cittadini, i sudditi.

Tanti scarabei stercorari che ogni giorno spingono la loro pallina di merda.

Si raccolgono le feci degli altri e se ne trae nutrimento.

Animali più grandi, più forti e posti più in alto nella catena alimentare, ci cospargono il cammino con la loro merda e noi come fosse l’unica cosa che aneliamo, senza intravedere alcuna diversa possibilità, la appallottoliamo come il gesto più naturale al mondo.


Così in questi giorni mi sono visto come parte di un’immensa moltitudine di stercorari, tutti affaccendati a spingere in linea retta il pesante fardello di escrementi.


Il caso Genchi. Chi lo vede colpevole senza alcuna riserva e chi lo vuole martire di un disegno complesso realizzato ad arte.

Lo scarabeo quando spinge media.

Prosegue diritto. Raccoglie e non pensa.

Per non sbagliare prende tutto e lo attacca alla propria pallina.

Per lui è tutto merda.


Tra mafia ed antimafia, tra giustizialisti e garantisti c’è un filo sottile.

C’è da girarci attorno.

C’è da pensare.

Bisognerebbe fare fatica per capire, ma le forze servono per spingere.

Allora si raccoglie tutto nella pallottola.

Tanto in fondo l’insetto sa che della buona merda si trova dappertutto.


Il suddito stercorario sa bene che tutto viene gestito da chi non ha palline da spingere.

C’è quindi chi sparge merda e chi la raccoglie ed a comandare sono sempre i primi.

Questi non sono né meglio né peggio di chi li elegge.

Puzzano tutti.

Chi sta in alto ha le mani che puzzano per quanta cacca lancia a chi sta in basso che è addestrato per raccoglierla e portarsela dietro.

Al cattivo odore ci si abitua.

Ci si assuefa per via delle narici piene. Non si nota più alcuna differenza di intensità o provenienza, se ciò che si raccoglie viene da una parte o dall’altra, se è vecchia o nuova, se è meglio o peggio.

Con cinico sfinimento si raccoglie tutto e se ne fa uno scopo di vita.


Oggi quando ho visto le immagini di quei corpi che silenziosamente galleggiavano ho tolto le mani dalla superficie liscia della pesante biglia organica.

Mi mancavano le forze nelle braccia.

Non volevo spingere più ed ho anche iniziato a sentire puzza.

Una forte esalazione mi aggrediva i sensi.

Poi arriva una nuova notizia.

Berlusconi bacchetta la UE sui toni gravi usati per la crisi.

Ad un tratto non sento più nessun tanfo.

Non ricordo più nulla. Tutto va bene.


Ritrovo così le forze e ricomincio a spingere.



giovedì

Caccia ad “Ottobre Rosso”.


Riportiamo un comunicato del circolo di Barcellona di Rifondazione Comunista "Ottobre Rosso".

Un blitz delle forze dell’ordine in stile “anni di piombo” ha interrotto una festa nei locali dell’Arci.

Confidiamo nella solidarietà dei candidati locali alle europee.

Sabato 21 marzo corrente anno, nei locali dell’Arci di Furnari, la festa organizzata dal circolo Ottobre Rosso- Rifondazione Comunista di Barcellona P.G. è stata interrotta alle 12.30 dall’intervento massiccio delle forze dell’ordine che facevano irruzione nei locali dell’Arci, interrompendo musica e momenti di socialità.
L’intervento in gran numero dei carabinieri – fuori dai locali erano parcheggiate 5 jeep appartenenti all’Arma – sembrava un vero e proprio blitz, risoltosi in un niente di fatto, in quanto nessuno dei partecipanti, dopo che l’Arma ha preso i nominativi di tutti i presenti in quel momento nel locale, apparteneva a reti terroristiche o cosce mafiose.

Il blitz si è risolto, quindi, col risultato di ribadire che alle nostre feste non si fanno riti satanici, massonici, orge o droga party.
C’è però da dire che, come partito, come forza politica, paghiamo il pregiudizio di chi crede che i comunisti siano tutti dei drogati, dei poco di buono, e questo lo avvertiamo proprio in questo genere di pressioni.

L’unico risultato ottenuto da questo intervento è stato quello del danno d’immagine, verso di noi e verso quei ragazzi che partecipano alle nostre iniziative, facendo credere chissà cosa a chi ci conosce appena o solo superficialmente.
Ci deprime pensare che lo scorso sabato sera, mentre quel gran numero di carabinieri era presente a Furnari a chiedere i documenti a dei ragazzini di 14 anni e poco più, intere zone erano scoperte dalla presenza vigile delle forze dell’Ordine.
E ci deprime pensare che la parte politica opposta gode di trattamenti diametralmente opposti ai nostri da parte degli stessi. Così come, proprio il sabato sera, non si pensa mai a fare dei “blitz” in discoteche della zona, magari per controllare cosa succede.
Come circolo, speriamo soltanto che questo intervento così vistoso non sia per demoralizzare noi, partito Rosso e Controcorrente in una marea nera e conformista, che recentemente ha ribadito l’interesse della mafia barcellonese sull’affare Ponte sullo stretto.
Ci auguriamo che lo stesso trattamento riservatoci dall’Arma venga preso anche verso criminali, mafiosi, corrotti e tutta la bella risma che agisce sul nostro territorio.
Circolo Ottobre Rosso Rifondazione Comunista - Barcellona Pozzo di Gotto

martedì

Lettera ad Olindo Canali.

Al Dott. Olindo Canali.


In riferimento alla lettera ormai “famigerata” letta durante l’udienza “mare nostrum” a Lei attribuita, mi preme precisare che sono certo che quella missiva sia stata scritta da Lei e che spero non fosse suo intento quello di renderla pubblica in quell’occasione.


E’ stata scritta in un momento di grande disperazione con la penna dell’uomo e non del magistrato. E’ stata usata però.


Non so da chi e quale sia il fine perseguito.

Credo però, da cittadino e non da strumento di lobby o di caste “antimafia” che Lei debba dare un seguito.

Alcune sue affermazioni hanno generato la reazione dei diretti interessati. Ci può stare.

Ma il testo non era solo una invettiva contro Repici. C’è molto di più.


C’è la storia di un uomo che svolge il suo ruolo di magistrato in un comune ad alta densità mafiosa.

Ci sono gli avvenimenti che hanno segnato la vita di tante persone che in quella terra ci vivono.

Ci sono delle critiche al sistema “giustizia” che non possono passare inosservate.


Ripercorrendo le sue parole, lette in quell’ambito, anch’io ho subito visto una facile e gratuita strumentalizzazione. L’ho però riletta più volte.


Oggi ho incominciato a scorgere la differenza tra una lettera attribuita ad un magistrato ultimamente discusso, ed una scritta da un uomo deluso.


Non rimprovera chi ha attribuito alle sue “leggerezze” qualcosa di illegale.

Ho immaginato per un attimo il suo sguardo, i suoi baffi e le sue mani mentre scrivono quelle frasi. Ho provato sofferenza.

In tanti, forse in troppi, hanno già scritto la parola fine sulla sua carriera.

Credo ci sia qualcosa ancora da dire. C’è la sua verità.

Più volte traspare da quelle frasi. Sembra dover arrivare alla riga successiva...


Io da cittadino non voglio la verità stabilita da altre persone. Voglio i fatti.

Voglio conoscere. Voglio poter elaborare un mio giudizio.

Lei però è stato soggetto di pesanti accuse che se confermate la porrebbero dall'altra parte della barricata.

Nella dicotomia tra Stato ed Antistato, tra mafia ed antimafia Lei passerebbe tra i Colpevoli, ed io sarò tra quelli che chiederà il massimo del rigore.


Non posso però accontentarmi di quello che serpeggia tra le strade di una provincia che troppe volte ha eseguito condanne errate e ancora più spesso assoluzioni facili.

Forse si aspettava di vedere le reazioni alla sua lettera da dietro delle fredde e scure sbarre. Invece tutto è accaduto adesso. Qualcosa non ha funzionato.

Qualcuno non ha voluto che ciò accadesse.


Questa ovviamente è solo una mia rilettura della vicenda.

Ma sono convinto di essermi avvicinato alla verità.

Ora le chiedo di darmi la possibilità di toccare la Verità.


Le chiedo di scrivere un’altra lettera usando la stessa mano.

Le chiedo di parlare a quelli come me, che negli anni ’90 credevano che il mondo potesse cambiare anche grazie a quel PM “baffone e comunista”.

Metta da parte la sua amarezza.


Il giusto prova dolore assistendo al pasto fatto della propria persona dagli sciacalli.

Posso assicurare che in tanti hanno letto quella lettera. E’ per questi tanti che le chiedo di aggiungere il tassello mancante.

A chi come me, pensa che ad un magistrato non siano concesse neanche le “leggerezze”, conceda la possibilità di capire.

Credo nella giustizia e mi auguro che faccia chiarezza su questa vicenda, condannandola se sarà necessario.

Ma chi crede nella Giustizia è consapevole che in questo paese la verità è un bene assai raro e va ricercato con forza.

Se anche Lei ci crede ancora un po’ la prego risponda.

Voglio capire, poi valutare e solo allora esprimere un giudizio.

Gli avvenimenti che le vengono contestati sono gravi, tanto da convincerla, come Lei stesso scrive, che verrà arrestato. Ma oltre quegli avvenimenti c'è tanto. Le sue parole alludevano a molto altro.

Una società che si reputi "civile" non può accontentarsi di allusioni, ha bisogno di fatti concreti, chiunque siano i soggetti coinvolti, ma a maggior ragione se coinvolgono coloro i quali amministrano la giustizia.


Non lasci che parole vuote restino in aria a vagare, depositandosi nelle coscienze di tanti, fino a divenire solide pietre di quel muro impenetrabile che ci separa dalla verità.

Mi auguro solo che sia stato in grado di spiegare la mia voglia di capire.


Non voglio che questa mia lettera faccia il gioco di nessuno, voglio solo provare a forare con il suo aiuto quel muro.

E. D. Scimone

sabato

Dichiarazioni dell'avv. Fabio Repici, difensore di Gioacchino Genchi

Da Antimafia Duemila.


13 marzo 2009
"Accogliendo le reiterate richieste provenute dalla politica, la Procura di Roma ha provveduto agli odierni decreti di perquisizione.


Rendo volentieri atto ai militari del reparto tecnico del R.o.s. e
della sezione anticrimine di Palermo di aver operato in modo
ineccepibile. Dalle acquisizioni di oggi trarrà giovamento
l'accertamento della verità e si potranno così accantonare le abnormi
incongruenze ed i marchiani errori contenuti nelle precedenti
informative sottoscritte dal col. Angelosanto.

Prendo atto che c'è stata una duplicazione di procedimenti, per effetto
di una segnalazione che sarebbe giunta alla Procura di Roma dal
Procuratore di Marsala. Anche questo, in fondo, è un dato che servirà a
fare chiarezza, perché così oggi si possono capire meglio le ragioni
che a suo tempo portarono all'avocazione dell'indagine "Why not" ed
alla revoca dell'incarico al dr. Genchi. Ciò che si sta compiendo è la
prosecuzione di una strategia di delegittimazione del dr. Genchi, quale
funzionario di polizia e consulente dell'A.g., che trova ragione nei
fondamentali accertamenti fatti dal dr. Genchi sulla strage di via
D'Amelio del 19 luglio 1992.

Quanto alle contestazioni avanzate oggi a carico del dr. Genchi, per
constatarne l'infondatezza basta rileggere il decreto di sequestro
emesso qualche mese fa dalla Procura di Salerno a carico di magistrati
catanzaresi. In quel documento c'è la prova della correttezza
dell'operato del dr. Genchi e degli esorbitanti errori commessi dal
funzionario del R.o.s. che ha operato prima su delega della Procura
generale di Catanzaro e che oggi opera per conto della Procura di Roma.
La ripetizione di ulteriori accertamenti non potrà che confermare i
risultati già acquisiti a Salerno".

Avv. Fabio Repici

VISITA IL DOSSIER di ANTIMAFIA DUEMILA

La profezia di Salvatore Borsellino su Gioacchino Genchi

Gli imprenditori messinesi e la commissione Antimafia: Vincenzo Vinciullo


di Antonio Mazzeo

Tra gli imprenditori operanti nel messinese, spicca il nome di Vincenzo Vinciullo, rappresentante di prodotti siderurgici e costruttore dei più recenti ed esclusivi complessi immobiliari della città dello Stretto. Legato al boss di Villafranca Tirrena Santo Sfameni ed al figlio Antonino Sfameni (questi, a loro volta, in rapporti d’affare con Filippo Battaglia nella realizzazione di attività immobiliari tra Rometta e Saponara Marittima), il Vinciullo, secondo la Commissione Parlamentare Antimafia, “rivestirebbe un ruolo di sicuro rilievo nelle sponde imprenditoriali di Cosa Nostra, rientrando in quel novero di affaristi risultati a disposizione – personalmente e con le loro strutture aziendali e societarie – degli interessi di gruppi mafiosi, permettendo il comodo reinvestimento in attività apparentemente lecite di capitali di provenienza illecita”

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giovedì

L’INCHIESTA ESCLUSIVA DI A. MAZZEO: L’AFFARE PONTE, CHICCO TESTA, GLI APPETITI DI LINO SICLARI SULLA SMEB, LE PREGHIERE DEL BOSS PINNU PROVENZANO A ME


di Antonio Mazzeo

da www.enricodigiacomo.it


Cosche sempre più potenti quelle alimentatesi dei mille affari nello Stretto.
Le rivelazioni di un nuovo collaboratore di giustizia rischiano però di modificarne gli assetti specie per quello che riguarda la gestione delle opere pubbliche in cantiere.
Antonino Giuliano, un imprenditore originario di Brolo, ha rilevato particolari inediti sulla latitanza nel messinese di Bernardo Provenzano. Ma non solo...

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mercoledì

Una lettera, un magistrato e la verità.


Un sostituto di una procura siciliana, Barcellona Pozzo di Gotto, scrive.
Una procura calda Barcellona.
Lui è un ex pubblico ministero del maxi processo Mare Nostrum.
Un magistrato che è finito coinvolto in indagini volte a smascherare un sistema mafioso che gestiva gli affari della provincia “babba”.

In passato è stato anche un simbolo della lotta alla mafia per poi finire tra i nomi degli accusati dal Prof. Parmaliana.


Lui è consapevole che le accuse verranno lette a suo sfavore e quindi scrive.

E’ certo che la sua carriera è al termine.

Si sente solo. “Su di me è sceso un velo di silenzio, di abbandono, di distacco”.


Scrive una lettera non firmandola.

E’ convinto che verrà resa pubblica dopo il suo arresto.

Scrive: “E anche il mio arresto sembrerà giusto, sacrosanto, provato e fondato”.

La lettera anonima viene recapitata all’avvocato Franco Bertolone che lui stesso definisce “il Franco Cassata tra gli avvocati”.


La lettera viene tirata fuori durante un udienza del processo d’appello “mare nostrum”.

Un colpo di scena.

Gli avvocati che difendono il boss Giuseppe Gullotti chiedono l’acquisizione agli atti della missiva, attribuendo espressamente l’origine della stessa al magistrato Olindo Canali.

La corte rigetta la richiesta di acquisizione agli atti.


Dal dott. Canali nessuna smentita.


Nella lettera vengono mosse accuse ad alcuni avvocati.

Uno di questi, l’avvocato Fabio Repici reagisce. Nessun’altro.


Il presunto Canali ripercorre la sua carriera.

Si sfoga. “Ho fatto il mio lavoro come ho potuto, per quello che ho potuto, o che mi hanno lasciato fare. Dal 1999, dall’epoca del lavoro infernale nelle udienze di mare Nostrum – che nessuno può immaginare – ho perso la morsa sul mio lavoro di P.M., e su Barcellona. Ma soprattutto ho perso il tempo per comprendere, capire e stare vicino alle persone giuste. In fondo la stessa frequentazione con Rugolo, sia pure nei termini che io so e che non è quella per cui verrò arrestato, è il segno che quel dannato lavoro, o meglio quel modo di lavorare in cui mi hanno lasciato, mi aveva fatto perdere lucidità, precisione e forse tensione. Un po’ di sbracamento lo devo ammettere. E pure un po’ di presunzione. Colpire, giustamente, Palano per i suoi delitti è stato un altro delitto di presunzione che il suo precettore Tano GRASSO non mi ha mia perdonato. Ed avere contro Tano GRASSO è come avere contro una corazzata americana. E Tano Grasso significa Lumia, significa Gigi Croce. Significa Gambino. Significa buona parte dei DS.”


Ma può un magistrato, chiunque esso sia, ricorrere a questi “mezzi” per difendersi?

Possono la sua storia ed i suoi sentimenti essere usati per difendere un boss sotto processo. Può la magistratura accettare una lettera che ammette gravi ingiustizie.

“Pippo Gullotti: che nemesi. Assolto da omicidi che aveva certamente commesso o di cui era certamente il mandante, finirà per aver scontato parte di pena per uno da cui è probabilmente estraneo.”

Ma davvero la giustizia in questa provincia è nelle condizioni che racconta l’anonimo magistrato?


Questa guerra tra mafia ed antimafia, tra diritto e favore riesce a rendere paludosa la semplice ricerca della verità.

Tutto si confonde.

Buoni e cattivi, guardie e ladri.


Chi scrive, crede fermamente alle ragioni dell’avvocato Fabio Repici, ma gradirebbe che questa lettera non sia solo uno scontro tra due soggetti in campo, ma divenga lo spunto per chiarire ciò che realmente è accaduto e continua accadere dentro le aule dei nostri tribunali.


La lettera si chiude così: "Raggiungerò Ciccio SIDOTI, LA TORRE, Gianni LEMBO, MONDELLO, Pippo SAVOCA, nel novero dei magistrati che, lavorando a Messina, hanno raggiunto la galera. Come sempre, finisco sempre nella parte dei perdenti. In fondo faccio il P.M., sono di sinistra e tengo all’Inter. Tra i vincenti proprio mai! Non so quando succederà. Ma succederà. Quando questa lettera sarà resa più o meno pubblica, sarò in galera. A nessuno venga in mente di difendermi. Non ne vale la pena.”


Magari se è possibile possiamo sperare che ad essere difesa sia la Verità.

L'anonima Giustizia. La replica dell'avv. Fabio Repici.

Di seguito riportiamo la "reazione" dell'avvocato Fabio Repici, al coupe de theatre avvenuto durante l'appello del processo "Mare Nostrum".
Le accuse lette durante l'udienza sono gravi e le reazioni sperate.


Signor Presidente e Signori Giudici,

rimango sgomento. Pur a non voler eccedere in formalismo processuale, la sortita dei difensori di Giuseppe Gullotti oltrepassa ogni limite, di immaginazione prima ancora che di rispetto del rito: l’uno dei difensori proponendo il vecchissimo espediente dell’asserito ritrovamento di un plico anonimo negli ultimi giorni dell’anno scorso; l’altro difensore, con intervento ufficiale (ché tutti sappiano), certificandone autoreferenzialmente la versione; nessuno dei due, però, riuscendo a spiegare il ritardo della loro iniziativa.

Epperò è stata prodotta alla Corte la lettera attribuita dall’avv. Bertolone al dr. Olindo Canali e ne è stato letto pure uno stralcio, finito stamattina sull’organo di stampa ufficiale. Solo uno stralcio, naturalmente: come si usa fare quando l’obiettivo è mirato e non corrisponde alla verità dei fatti.

Poiché il documento coinvolge direttamente la mia persona, segnalo doverosamente quanto segue. Io non sto certo dalla parte del dr. Canali e dell’avv. Colonna. A tacer d’altro, dall’avvenuta nomina dell’attuale Procuratore generale (accadimento secondo me lesivo dell’immagine della magistratura messinese tutta), com’è pubblicamente risaputo, io sto da una parte (basti ricordare le mie parole nella conferenza del 9 novembre scorso su “La crisi della giustizia a Messina”), mentre il dr. Canali e l’avv. Colonna stanno da quella specularmente opposta. Se questo non bastasse, è dal giorno triste (triste per me ma soprattutto per la parte sana della società messinese) della morte del prof. Adolfo Parmaliana che la coscienza mi impedisce di mantenere quel minimo di rapporti che, pur ipocriticamente ma in ossequio alle regole di buona educazione, di regola corrono fra persone che frequentano gli stessi ambienti professionali.

È vero: ho avuto l’onore di assistere i familiari di Graziella Campagna, così come ho avuto l’onore di assistere i familiari di Beppe Alfano nell’ultimo rivolo del processo, riguardante il solo imputato Merlino. È noto come io preferisca patrocinare le vittime, anziché i carnefici; questi ultimi, poi, a differenza delle vittime, non hanno difficoltà ad assoldare avvocati ben più capaci di me. Per inciso, anche l’avv. Luigi Autru Ryolo tanto tempo fa assistette processualmente i familiari di Graziella Campagna, in un processo finito come molti (e di certo io fra questi) sanno.

Difendendo i familiari di Beppe Alfano, ovviamente, ho conosciuto, molti anni dopo la loro formazione e dopo la celebrazione della rituale istruttoria dibattimentale, gli atti di quel fascicolo. Così oggi ne so qualcosa. Naturalmente, un’infinitesima parte rispetto a ciò che possono sapere al riguardo l’avv. Bertolone e l’avv. Autru Ryolo, che difendevano in quel processo l’imputato Giuseppe Gullotti.

Quel che so, tuttavia, mi è sufficiente per ritenere del tutto incongrue ed in molte parti false le affermazioni del documento letto per stralcio dall’avv. Bertolone. So, ad esempio, che le prime dichiarazioni rese da Maurizio Bonaceto sull’omicidio Alfano vennero verbalizzate il 12 maggio 1993 a Roma, alla presenza di tre sole persone: il dr. Olindo Canali, l’avv. Ugo Colonna e l’allora cap. Nunzio Aliberti; nessun altro P.m., nessun sottufficiale e nessun altro militare, nessun ausiliario di cancelleria. Ma questo è un dato che a quei difensori (così come agli altri impegnati in quel processo) risulta da oltre quindici anni, se è vero che le misure cautelari per l’omicidio Alfano vennero eseguite il 18 novembre 1993 (ad eccezione che per Gullotti, che ricevette una qualche soffiata che gli consentì di sottrarsi alla cattura). Cosicché sorprende che se ne parli ora, dopo due giudizi di merito celebrati a Messina, due giudizi di rinvio celebrati a Reggio Calabria e addirittura tre pronunciamenti della corte di cassazione. Motivo per cui vien da pensare che siano altre, ed extraprocessuali (del resto, il presente processo non tratta dell’omicidio Alfano), le ragioni dell’ultima iniziativa.

Per tali motivi, mi permetto di dubitare della possibilità che le richieste dei difensori di Gullotti abbiano alcun pregio processuale. Naturalmente, come sempre, prenderò atto con il massimo rispetto delle decisioni che saranno adottate al riguardo dalla Corte. E, altrettanto naturalmente, comprendendo che sulla mia persona non sono ravvisabili ipotesi di incompatibilità ad assumere la veste di testimone, è perfino superfluo da parte mia sottolineare che, ove dovesse essere ritenuto utile all’accertamento della verità, sono a disposizione della Corte ed anche delle Autorità cui la presente è inviata per conoscenza.

Mi sia concessa un’ultima battuta, di natura personale, utile anche ad alleggerire il clima. Contrariamente a quanto affermato nel documento letto per stralcio dall’avv. Bertolone, non sono mai stato, nemmeno lontanissimamente, leninista. Sono cresciuto leggendo Weber, Gobetti e Calamandrei. Fortunatamente, avendo scelto come esempio pensatori del genere, non ho mai dovuto abiurare, né sul terreno della lotta alla mafia né su quello propriamente politico.

Con osservanza. Avv. Fabio Repici

martedì

L'anonima giustizia.


Un Maxiprocesso per mafia.

Aula bunker di Messina. Corte d’Assise d’appello.

Si celebra “Mare Nostrum”.

Alla sbarra capi e gregari delle famiglie della provincia tirrenica di Messina.

133 imputati in attesa del secondo grado.

28 ergastoli e 1646 anni di carcere.

Si ricostruisce la storia criminale delle più sanguinose e violente cosche della provincia.


Al setaccio 39 omicidi, 45 ferimenti, una lunga serie di estorsioni per il controllo del raddoppio della linea ferroviaria Messina-Palermo e attentati come quello che, il 27 febbraio 1992, distrusse il posto fisso di polizia di Tortorici inaugurato poche settimane prima. Il tutto frutto di una guerra tra la "vecchia" mafia barcellonese, quella collegata al clan catanese di NITTO SANTAPAOLA e il gruppo emergente di PINO CHIOFALO, l'allora capo della cosca di Terme Vigliatore che si alleò con il clan tortoriciano dei BONTEMPO SCAVO.

Al vaglio sette anni di cruenta guerra mafiosa esplosa nel 1986 nel barcellonese all'indomani dell'omicidio del vecchio "padrino" FRANCESCO RUGOLO, suocero di GIUSEPPE GULLOTTI che prese in mano le redini del clan per la faida da combattere con i "chiofaliani".


Si ripercorrono le evoluzioni del fenomeno mafioso in tutte le sue varianti. Il controllo del territorio, le estorsioni e le violenze e i rapporti delle famiglie con i colletti bianchi.

Poi ad un tratto un nuovo scenario si apre sul processo.

Gli avvocati difensori Luigi Autru Ryolo e Franco Bertolone producono una lettera anonima e chiedono che venga messa agli atti.

Una missiva recapitata da ignoti, in cui l’autore mette in discussione la colpevolezza del boss della mafia barcellonese Giuseppe Gullotti come mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, e anche l’attendibilità delle dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Bonaceto, teste chiave dell’accusa nel processo Alfano e, per quel che riguarda il maxiprocesso, nella condanna all’ergastolo inflitta in primo grado al boss Gullotti nel duplice omicidio Iannello-Benvenga.

La lettera non è firmata, ma in molti si sentono di poter riconoscere l’autore.

Ne viene letto uno stralcio: «… Se togliete Repici, Colonna e qualcun altro, non è rimasto nessuno dalla mia parte. Anche Repici è dalla mia parte, sia pure a modo suo. È da quella parte in cui non si fanno sconti a nessuno. Neppure a quelli che, per un tratto o forse sempre, hanno camminato, con te, sulla stessa strada. «A Repici l’unico appunto che posso fare (se ancora posso fare appunti a qualcuno) è che, difendendo Piero Campagna nel processo per la morte della sorella, ha saputo, deve aver saputo, la verità sull’omicidio Alfano e sulle dichiarazioni di Bonaceto. Quella che io sospetto da tempo. Non certo dai tempi dell’indagine, ma almeno da un paio di anni a questa parte. Triste è stato doversi tenere dentro tutto. Repici non la dirà mai. E questo farà di lui, anche di lui, un “imperfetto”, rispetto a una sua perfezione morale, culturale e professionale quasi assoluta. I suoi dubbi, professati poi mica tanto in segreto e a non poche persone, sulla responsabilità di Merlino e di Gullotti, la dicono lunga sulla sua capacità di analisi e sulla sua onestà intellettuale. È un Leninista. Me lo fece capire un suo accenno, politicamente corretto e segno di grande conoscenza dell’ideologia marxista. Disse, una volta, (non ricordo a proposito di chi) “È un leninista, farebbe qualsiasi cosa per il potere“. Aveva ragione, ma questa frase va intesa bene, e credo di averla intesa giusta. Come Lenin con gli ideali puri del marxismo e della rivoluzione bolscevica, che erano da far trionfare in qualsiasi modo (e giustamente, ritengo io), anche Repici farebbe qualsiasi cosa pur di affermare la sacrosanta vittoria della Verità e della Giustizia sulla Mafia. Qualsiasi cosa, a qualunque costo. «La vittoria finale fa passare in secondo piano i mezzi e, soprattutto, le convinzioni personali. Come ho fatto io. Anche con Pippo Gullotti. Pippo Gullotti: che nemesi. Assolto da omicidi che aveva certamente commesso o di cui era certamente il mandante, finirà per aver scontato parte di pena per uno da cui è probabilmente estraneo…».


Un maxi processo per mafia.

Una lettera anonima.

L’autore si presume sia un magistrato. Un ex PM.

Due avvocati giocano il loro asso nella manica.

Un terremoto scuote gli scranni dell’aula. Sembrerebbe tutto sbagliato.

Qualcuno non dice la verità, secondo l’anonimo autore.

Ma può un magistrato servirsi di questi mezzi per spargere confusione e incertezza?

Si può attraverso anonime affermazioni screditare avvocati e persino gettare fango su sentenze di condanna del tribunale.

Il rito peloritano si tinge di altre sottili sfumature.

La giustizia incassa il colpo. Attendiamo la reazione.



lunedì

Il Ponte e lo sciacquone.

Come ogni mattina appena alzato, con la testa ancora ovattata e confusa, entro in bagno.
Evito velocemente lo specchio. Sarebbe traumatico.
Osservo lo sciacquone.
Perde ancora.
Un sottilissimo filo d’acqua scorre lungo le piastrelle fino al pavimento.
Dovrei farlo sistemare.
Certo appena posso chiamo l’idraulico.

Con gli occhi socchiusi ancora, prendo il mio caffè.
Due tazzine con poco zucchero.
Esco.

In ufficio non si parla d’altro che di “crisi”.
Si chiude, quando si chiude, chi andrà via e chi resterà.

Ogni giorno si vive come incastrati in una ghigliottina.
Si tiene d’occhio il filo che lascerà scorrere la lama.

Il mio collega è arrivato tardi anche oggi.
Vive poco distante dalla città, ma un mese addietro durante una brutta giornata di pioggia, la strada che porta nella sua frazione è stata coperta da una frana.
Lui dice che è una piccola frana, ma che nessuno la toglie.
Non ci sono i soldi.
Una intera comunità è isolata.
Le pietre sono ancora lì e l’autobus non passa.
E’ incazzato quando lo dice.

- Vogliono fare il ponte sullo stretto e poi lasciano le strade impercorribili per mesi con cento chili di terra.-
Si accende una sigaretta perché è consapevole che adesso si innescherà la reazione di Luigi.

Luigi è un autista che nella sua vita ha percorso milioni di chilometri.
Conosce tutte le strade d’Italia.
Autostrade, tangenziali e provinciali.

Luigi aveva un cugino che lavorava a Milazzo.
Una mattina sulla autostrada Messina Palermo viaggiava insieme ad altri colleghi per andare a lavoro.
In quel maledetto tratto in cui si viaggia in un'unica corsia hanno trovato la morte.

-Da più di sette anni per un problema di competenze sulla riparazione di una galleria, si lascia un pezzo di autostrada con un'unica corsia. Si porta la gente ad ammazzarsi. Nulla si muove. Bastardi.-

Ora accendo una sigaretta anch’io.
La prima questa mattina lo accesa mentre guidavo.
Camminavo piano e mi godevo il mio stretto.
La giornata era limpida e si potevano vedere nettamente i due piloni che si sfidavano sulle due rive come metalliche creature, come scilla e cariddi.

Il mare sembrava una tavolozza di un acquerellista.
Tante gradazioni d’azzurro e mille macchie di blu.
Adesso alla prima boccata dolce della mia terza wiston era partito anche Mario.

Si era alzato dalla sedia e respirando con un po’ di sforzo aveva rievocato quella domenica di gennaio.
Pioveva a dirotto. Un forte temporale imperversava sulla Calabria.
La corsia di quella autostrada che da Vibo lo portava verso Villa S. Giovanni sembrava più una gincane.
Deviazione a destra e poi a sinistra.
Poi ancora cambio di carreggiata e fango sull’asfalto.
Restringimenti improvvisi e dossi non segnalati.
Era un inferno.
Non vedevo l’ora di arrivare ai traghetti.
Lì mi dissero della frana e dei morti.
Al bar della nave qualcuno disse che finalmente avevano chiuso l’inferno.

A che serve sto cazzo di ponte che quando c’è vento neanche si potrà percorrere.
Fai tre chilometri in cinque minuti e poi muori subito dopo.

Cazzo ma lo capite che tra poco andiamo tutti a casa!
Almeno se fanno il ponte continueremo a lavorare!
Questo è Francesco. Ha 26 anni, una moglie e due figli.
Lui è l’ultimo arrivato e sicuramente il primo ad andare via in caso di licenziamenti.
Io rischio di non poter dare da mangiare alla mia famiglia.
Ora la voce tremava.
Che cazzo me ne frega di quello che fanno.
Il ponte, il traforo, il tunnel o asfaltano il mare… basta che c’è da poter campare.

Schiaccio il filtro o poco più di quello che resta della mia sigaretta nel posacenere.
Vorrei parlare adesso io.
Vorrei parlare del mostro di cemento ed acciaio che violenterà il nostro paesaggio, della nostra città che verrà trasformata in un cantiere e degli interessi della mafia sull’opera.
Vorrei anche dire che il più grosso appalto pubblico mai bandito nel nostro paese è economicamente inutile e peggio ancora irrealizzabile.
Che se ci sono i soldi per costruirlo si possono allora fare opere certamente più necessarie.

Ma Francesco ha gli occhi lucidi.
Trattiene le lacrime scarabocchiando con una matita uno scontrino della farmacia.

Sua figlia ha otto anni e vorrebbe i pattini. Sua moglie vorrebbe un giorno andare dal parrucchiere.
Chissà se quando faranno il ponte potrò riparare il mio sciacquone.

sabato

L'Università di Messina e l'antimafia.


«A Messina mi hanno negato l’uso dell’aula magna dell’università. Ma del resto sono considerato uno da tenere alla larga un sovversivo, solo perchè chiedo di conoscere la verità».


Lo ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, intervenendo ieri ad un dibattito sulla mafia promosso all’università di Trapani. «Su via D’Amelio si sa ancora troppo poco – dice Salvatore Borsellino – non sappiamo ancora chi ha premuto quel pulsante.

Così come non è ancora chiaro che fine abbia fatto l’agenda di Paolo.


Mi hanno lasciato da solo, non mi danno spazio.

Dicono che faccio arrabbiare la gente.

Ma ben venga se la rabbia è costruttiva.

Io la gente non la voglio fare arrabbiare ma indignare.

Lo Stato non ha mai avuto la volontà di combattere la mafia.

Lo Stato tuttora convive con la mafia, che si trova all’interno delle istituzioni».

L’Ateneo di Messina, da noi contattato, ha comunicato che «non risulta che ci sia stata una richiesta di uso dell’Aula magna da parte di Salvatore Borsellino». Fonte: GDS


giovedì

La guerra a microonde delle basi USA in Sicilia

di Antonio Mazzeo

Si aggiungono nuovi tasselli alla vicenda relativa all’installazione a Niscemi, Caltanissetta, del terminal terrestre del sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS (Mobile User Objective System). Archiviata la straordinaria manifestazione di popolo (oltre 15.000 persone) che sabato 28 febbraio ha percorso le vie della città siciliana per gridare “No” al pericolosissimo impianto militare delle forze armate USA, trapelano inquietanti indicazioni su quello che è stato l’iter del progetto. Notizie che confermano le connivenze e il cinismo dei governi succedutisi in Italia negli ultimi anni e la scarsissima considerazione che le autorità siciliane nutrono per la salute e la sicurezza delle popolazioni dell’isola.
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mercoledì

Le consulenze d'oro di Lombardo Spesi due milioni alla vigilia del voto


di Emanuele Lauria


Una montagna di documenti: 15 mila fotocopie di delibere, curriculum, piante organiche. Con un blitz di due giorni, effettuato alla fine della scorsa settimana nel centro direzionale di via Nuovaluce, gli agenti della Guardia di finanza hanno acquisito tutti gli atti relativi agli incarichi assegnati dall´ex presidente della Provincia di Catania, Raffaele Lombardo, oggi governatore della Sicilia. C´è un´inchiesta giudiziaria sulla raffica di nomine di dirigenti a contratto, di consulenti, di collaboratori, disposte da Lombardo nel periodo in cui ha guidato l´ente etneo, dal giugno del 2003 sino a febbraio del 2008. Le indagini, affidate al pm Alessandra Chiavegatti, sono coordinate dal procuratore capo Vincenzo D´Agata.

Si tratta, per il momento, dell´apertura di un fascicolo di «atti relativi» e non è stato emesso alcun avviso di garanzia. Ma i magistrati vogliono vederci chiaro su presunte irregolarità nell´affidamento degli incarichi da parte di Lombardo. Hanno deciso di verificare se i membri dello staff o gli esperti prescelti avessero i titoli richiesti e se la loro assunzione fosse motivata da esigenze d´organico. L´attività istruttoria, dicono in Procura a Catania, prende le mosse da una denuncia ma sarebbe da collegare, vista anche la coincidenza temporale, con la pubblicazione sul sito web Il dito.it di un lungo e dettagliato elenco di provvedimenti firmati da Lombardo. Una lista di 220 atti con cui l´ex presidente della Provincia ha nominato o confermato nell´incarico la sua "corte". La spesa? Oltre 4 milioni di euro. Gran parte di essa si è concentrata negli ultimi due mesi prima delle dimissioni di Lombardo, formalizzate l´otto febbraio 2008. Prima della campagna elettorale per le regionali che ha visto il leader dell´Mpa trionfare il 14 aprile. Ottantadue gli incarichi attribuiti in quel periodo, per un totale di due milioni 269 mila euro. Giornalisti, avvocati dell´ufficio legale, membri della segreteria tecnica, dirigenti fedelissimi come Carmelo Marcello Messina, Massimo Scatà (oggi nell´ufficio di gabinetto dell´assessore regionale al Territorio Giuseppe Sorbello) o Aurelio Bruno, tutti beneficiari per il 2008 di contratti da 100 mila euro l´anno. Fra le nomine firmate l´8 febbraio, poco prima dell´addio di Lombardo alla Provincia, quella dell´ex procuratore generale di Catania Giacomo Scalzo (già candidato sindaco di Caltagirone) designato alla guida di "Servizi idrici etnei" e quella di Filippo Sciuto, ex candidato sindaco di Pedara, entrato nel cda del teatro stabile di Catania.


Ma ci sono molti volti noti del mondo lombardiano, nell´elenco al vaglio dei magistrati: dalla storica segretaria Maria Bonanno all´allora capo di gabinetto Maria Arena. Dall´ideologo dell´Mpa Elio Rossitto, che prima di litigare con Lombardo ha avuto il 31 dicembre del 2007 l´ultimo contratto da esperto da 22 mila euro annui, all´ex assessore comunale dell´Mpa Melita Schillaci, indicata presidente del consorzio universitario calatino all´interno del pacchetto di nomine varato al fotofinish, l´8 febbraio. Nella lista una sfilza di consulenze (ben 39) per il progetto di formazione nel settore turistico Ori Etna Tour e alcuni incarichi curiosi: allo studio Crastolla, ad esempio il 29 dicembre 2006 furono assegnati 36 mila euro per l´assistenza tecnico-legale al programma di cooperazione Bulgaria-Romania, studio finalizzato alla promozione delle imprese catanesi in quel territorio. Mentre il signor Elio Aloi è stato messo sotto contratto «per l´attività di controllo in occasione di manifestazioni o eventi al centro fieristico Le ciminiere». Nomine e conferme, ancora nomine. Alcune a titolo gratuito, altre a spese di altri enti. Una pratica con cui Lombardo ha alimentato il suo bacino di consensi. Sulla cui legittimità indaga adesso la Procura

(03 marzo 2009)