mercoledì

Berlusconi e la mafia per cancellare la giustizia.

Non possiamo dire che i risultati nel contrasto alla mafia sono stati ottenuti dallo Stato.

Lo Stato in quanto tale non esiste, e tanto meno esiste nell’Italia degli ultimi vent’anni.


E’ errato presupporre una volontà unitaria delle istituzioni e una capacità dello Stato a far pesare la propria realtà. I risultati non sono frutto dello Stato, che, anzi, ha ampiamente ostacolato il lavoro svolto da altri.

Sono frutto, quei risultati, di un gruppo composto di rappresentanti dell’opinione pubblica, di uomini delle istituzioni e di uomini della politica, probabilmente minoritario in tutti e tre i settori. Questo gruppo ha esercitato un peso contro Cosa Nostra, che si è trovata isolata nelle sue relazioni interne e quel peso, per minimo che fosse (…) è stato sufficiente per ottenere quello che io penso, sia stata una grande vittoria. (…)


Quando l’on. Berlusconi spara contro i magistrati (lui insieme ai suoi ministri n.d.r.) e dice le cose che dice, purtroppo non lo fa per le pendenze passate (che nessuno riuscirà, credo, a dimostrare e da cui Berlusconi uscirà santificato); lo fa per il futuro, perché c’è bisogno di mafia (…) altrimenti non si capisce perché fin dalla sua prima campagna elettorale, Forza Italia (…) sia partita con un attacco, che allora nell’opinione pubblica nessuno accettava, alla legge sui pentiti e perché è andato all’assalto della magistratura quando la magistratura era sulla cresta dell’onda.

Non si capì perché!

Se fosse solo un problema di consenso, un uomo politico non avrebbe fatto quell’operazione.

Ha fatto l’operazione per il futuro, perché occorre che domani questa gente, che siete voi magistrati, non ci siate più.

(Salvatore Lupo, L’evoluzione di Cosa Nostra: famiglia, territorio, mercati,alleanze. 2000)



martedì

Il Parco commerciale di Barcellona è cosa loro


di Antonio Mazzeo

«Sulla base di un’attenta lettura dei vari atti giudiziari che li hanno coinvolti ed anche dai rapporti interpersonali che emergono da attività info-investigative, possono indicarsi quali possibili referenti mafiosi a livello locale, oltre ai boss Giuseppe Gullotti e Salvatore Di Salvo, tali Pietro Arnò, Felice Spinella, Angelo Porcino, Giovanni Rao, Cosimo Scardino e Rosario Cattafi». È il giugno 2005, e il Procuratore capo di Barcellona Pozzo di Gotto, Rocco Sisci, presenta l’organigramma criminale ai membri della Commissione Parlamentare Antimafia in visita ispettiva nel centro tirrenico della provincia di Messina. Sisci, in particolare, si sofferma sulla figura dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, «pluripregiudicato» e «persona socialmente pericolosa», nei confronti del quale, il 2 agosto del 2000, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Messina ha emesso la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona per la durata di 5 anni.

«Qualche tempo fa – scriveva il Procuratore - è stata avanzata l’ipotesi (tutta da verificare) che il capo della consorteria criminale potesse essere individuato in tale Rosario Cattafi, già coinvolto in numerose eclatanti vicende giudiziarie in materia di traffico internazionale di armi, riciclaggio e altro». Nonostante il pesante provvedimento amministrativo, Cattafi era riuscito ad ottenere l’iscrizione all’Ordine degli avvocati e, soprattutto, aveva chiuso positivamente un aspro contenzioso civile che lo aveva visto contrapporsi ai Salesiani di Barcellona. Tornato in Sicilia nell’ottobre 1997 dopo l’assoluzione al processo d’appello contro il sodalizio criminale dell’Autoparco di Milano (in primo grado aveva riportato una condanna a 11 anni e 8 mesi, 4 anni dei quali scontati nel carcere di Opera), Cattafi aveva seguito passo dopo passo la controversia con l’Oratorio Salesiano, generata - secondo il legale - dalla “cattiva” gestione dei numerosi beni immobili che il nonno aveva donato ai religiosi in punto di morte per fini benefici.

La querelle si era conclusa, nell’aprile 2005, con una transazione: previo versamento di circa 800.000 euro, gli eredi Cattafi rientravano in possesso di 5,24 ettari di terreni con annessi fabbricati rurali di contrada Siena, area a vocazione agricola, ricca di fonti idriche, che dalla città del Longano si estende sino alla Piana di Milazzo. L’opzione all’acquisto era però stata formalizzata già quattro anni prima dai familiari del benefattore. A sottoscrivere l’accordo con i Salesiani, Alessandro Cattafi (figlio di Rosario), in qualità di rappresentante della società Dibeca, già “Dibeca snc di Cattafi Rosario & C.”, con sede in via Garibaldi n. 58, Barcellona. La Dibeca era stata costituita nel novembre 1982 proprio da Rosario Cattafi e aveva visto sedere alla carica di amministratore unico, sino al 1987, il fratello farmacista Agostino, futuro sindaco del Comune di Furnari (Messina), recentemente deceduto. Oggetto sociale l’esecuzione di lavori edili, stradali, marittimi, ferroviari, idraulico-forestali, acquedotti, fognature, movimenti terra, nonché l’acquisto, la vendita, l’amministrazione e la gestione di terreni, fabbricati per civile abitazione, turistico-alberghieri, industriali, commerciali, ecc..

Dopo l’acquisizione dei terreni dai Salesiani, la Dibeca stipulava un contratto di comodato d’uso, con relativa promessa di vendita, a favore della G.D.M. - Grande Distribuzione Meridionale S.p.a.” di Campo Calabro (Reggio Calabria), azienda leader della grande distribuzione nel Mezzogiorno d’Italia. Nel giugno 2007 la G.D.M. presentava al Comune di Barcellona una richiesta di approvazione di Piano particolareggiato per realizzare in contrada Siena uno dei maggiori Parchi commerciali di tutta la Sicilia, dotato di numerose strutture destinate alla grande distribuzione e un’infinità di locali di divertimento, alberghi e ristoranti. Analizzando i parametri volumetrici del progetto, la conferma di trovarsi di fronte ad una immensa e devastante colata di cemento: su una superficie di 18,4 ettari di terreno (i 5,24 ettari di proprietà Dibeca-Cattafi più i circa 13 in mano ad altri piccoli proprietari), si prevede di realizzare infrastrutture per 398.414,45 m³, contro un volume delle costruzioni esistenti di appena 23.164,68 m³. All’odierno sistema di viabilità di 5.052 m² si aggiungeranno 6 sezioni stradali per ulteriori 35.714 m²; le opere di urbanizzazione primaria richiederanno una spesa di 2.018.201,99 euro, di cui appena 40.950 destinati «a verde pubblico attrezzato».

Più specificatamente il megapiano si articola in una zona “D” di 16,86 ettari ricadente a ridosso del nuovo asse stradale industriale previsto dal P.R.G./A.S.I., destinata più specificatamente a “parco commerciale” e alle attività di vendita al dettaglio integrate «da attività paracommerciali, ricreative e del tempo libero e da altri servizi complementari quali modeste strutture ricettive-alberghiere connesse». C’è poi un articolato “sistema residenziale” ricadente in una zona “A” di 347,40 m² di «recupero di beni isolati di particolare valenza ed interesse storico-architettonico ed etno-antropologico» e «senza alterazione dei volumi», ove istituire un “Paese-albergo” in cui sono consentite destinazioni d’uso alternative stagionali e attrezzature come alberghi, ristoranti, trattorie, bar, luoghi di svago e di riunione anche grazie a «forme di contributo pubblico a fondo perduto da parte del Comune e/o della Provincia Regionale». Infine le zone “B” con una superficie totale di 15.100 m² e una previsione di edificabilità per 37.750 m³, oggi «caratterizzate da edilizia prevalentemente abusiva e dal tessuto urbano particolarmente carente di opere di urbanizzazione». Qui gli interventi edilizi saranno finalizzati al «miglioramento della qualità abitativa attraverso il recupero e la ristrutturazione delle unità ad uso residenza, commercio al dettaglio, pubblici esercizi e servizi di somministrazione e di ristoro, modeste attività alberghiere e turistico-ricettive, studi professionali, artigianato di servizio, spazi e attrezzature per la cultura e la comunicazione, attrezzature di quartiere e di interesse generale, parcheggi al piano terra e seminterrato, cliniche private, attività del terziario». Ignoto l’ammontare degli investimenti previsti, ma si può già ipotizzare che essi supereranno i 200/250 milioni di euro.

La prima grande sorpresa è che a farsi carico della realizzazione del mega Piano, già approvato dalla Commissione edilizia e in attesa di voto finale del Consiglio comunale, sarà la Dibeca della famiglia Cattafi (società che risulta ancora “inattiva” e con “zero addetti”), subentrata nel maggio del 2008 alla G.D.M. di Campo Calabro che ha invece valutato di scarso interesse il progetto urbanistico. Un’uscita di scena inattesa, non fosse altro per le spese sostenute per la stesura del Piano particolareggiato, affidato, il 14 giugno 2006, all’architetto Mario Nastasi (che si avvalso pure della collaborazione del fratello Santino Nastasi, anch’egli architetto). Originari di Torregrotta (Messina), i due professionisti sono tra gli animatori del gruppo di facebook Quelli dell’aeroporto di Barcellona Pozzo di Gotto, che promuove l’ipotesi di localizzare uno scalo aereo civile nell’area del torrente Patrì, in contrapposizione ad un progetto, analogamente infausto, che la Provincia di Messina vorrebbe realizzare nella valle del Mela, quasi al confine con l’area destinata al futuro parco commerciale del Longano. I nomi di Mario e Santino Nastasi compaiono poi tra i «collaboratori alla redazione del Piano regolatore generale di Barcellona Pozzo di Gotto», approvato l’8 febbraio 2007 con decreto dell’assessorato al Territorio e ambiente della Regione siciliana. È stato il nuovo P.R.G. ad individuare proprio in contrada Siena una delle due zone del territorio comunale destinate a insediamenti commerciali.

All’approvazione finale del Piano regolatore si era giunti dopo un iter lunghissimo e non erano certamente mancati i conflitti e i colpi di scena. Il Consiglio comunale ne aveva affidato la redazione nel lontano marzo 1991 ai professori Giuseppe Gangemi ed Aldo Casamento di Palermo e all’architetto Mario Sidoti Migliore di Capo D’Orlando. Gli elaborati del Piano furono inoltrati undici anni dopo in Consiglio, ma 21 consiglieri dichiararono la propria incompatibilità per “vicende parentali” legate al suo contenuto. Successivamente, alla guida del Comune di Barcellona venne nominato un commissario ad acta, l’ingegnere Pietro Scaffidi Abbate, che adottò il P.R.G. con delibera dell’11 dicembre 2003 e successiva presa d’atto degli elaborati il 27 agosto 2004. Nel frattempo furono presentate dai cittadini più di 2.000 osservazioni, mentre l’amministrazione comunale concesse 976 autorizzazioni edilizie e approvò 26 nuovi piani di lottizzazione dopo la consegna degli elaborati e prima della loro adozione definitiva. L’8 giugno 2005 giunse così l’ennesima bocciatura del P.R.G. da parte dell’Assessorato regionale.

La complessa vicenda venne analizzata dalla Commissione prefettizia inviata a Barcellona Pozzo di Gotto nel giugno 2006 per indagare sulle possibili infiltrazioni mafiose all’interno del Comune. E proprio all’adozione del Piano Regolatore sarà dedicato un intero paragrafo della relazione finale che chiederà, inutilmente, lo scioglimento del Consiglio. «Questa Commissione – recita un passaggio - ritiene di dover porre in opportuna evidenza che tra i collaboratori dei progettisti che hanno proceduto alla materiale redazione del P.R.G. emerge la figura dell’architetto Giovanni Cattafi. La sua presenza tra coloro che risultano aver svolto il ruolo di collaboratori dei progettisti incaricati del P.R.G. desta a questa Commissione non poche perplessità a causa del grado di permeabilità che tale persona può aver determinato in riferimento a particolari interessi non coincidenti con quelli della pubblica utilità. Va infatti evidenziato che l’architetto Giovanni Cattafi è cognato del Consigliere comunale Sergio Calderone, eletto con 300 preferenze nella lista A.N.-M.S.I.. Egli ha difatti contratto matrimonio con Domenica Cinzia Matilde Calderone, sorella, altresì, di Mario Giulio Calderone, pluripregiudicato ritenuto affiliato al gruppo dei “barcellonesi”, ex sorvegliato speciale di Pubblica Sicurezza, nonché sorella di Giulio Massimo Calderone, pregiudicato, il quale risulta in servizio presso il corpo della Municipale di Barcellona P.G. quale agente addetto alla verifica sui cambi di residenza presso l’ufficio anagrafe comunale». In alcune informative della Questura di Messina prodotte tra il 1980 e il 1984, Giulio Massimo Calderone era stato descritto come «presunto appartenente» all’organizzazione di estrema destra “Terza Posizione”. Militante del Fronte della Gioventù, nel settembre del 1980 fu denunciato per vilipendio alla Repubblica Italiana, mentre alle amministrative del 1985 si candidò insieme al boss mafioso Giuseppe Gullotti alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Barcellona nella lista del MSI-DN, capeggiata allora dall’odierno sindaco Candeloro Nania, che fu eletto insieme a Giuseppe Buzzanca, poi presidente della Provincia dal 1994 al 2003 e odierno Sindaco di Messina.

Giovanni Cattafi ha dunque collaborato alla stesura del P.R.G. della città del Longano accanto ai fratelli Mario e Santino Nastasi. I tre architetti, del resto, dividono lo studio professionale e risultano altresì soci-amministratori della “Infoterri Engineering Srl” di via Roma 157/F, Barcellona, società costituita il 27 marzo 2000 con capitale sociale 15.000 euro, avente come oggetto sociale «l’esecuzione di studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazione e direzione dei lavori per costruzioni rurali, industriali, civili, artistiche, impianti chimici e siderurgici, cantieri navali, scuole, ospedali, case popolari, caserme, cimiteri, mercati, impianti sportivi, cinema, chiese, banche, alberghi, centri commerciali al minuto ed all’ingrosso di qualsiasi forma e dimensione, impianti di discarica e smaltimento rifiuti solidi urbani, inceneritori, strade, autostrade, linee tranviarie e ferroviarie, ponti, dighe, ecc..». La Infoterri Engineering può inoltre partecipare a gare d’appalto o concorsi di progettazione indetti da privati o enti pubblici in ambito nazionale, comunitario ed extra comunitario e svolgere «consulenze e servizi professionali per gli apparati militari» o a favore di «aziende, società ed enti pubblici e privati, nell’ambito dei finanziamenti agevolati di qualunque genere e specie, provenienti da Regioni, dallo Stato e/o dalla Comunità europea». La creazione della società, spiegano gli architetti, «ci ha consentito di dotarci di una capacità di tipo imprenditoriale finalizzata a rispondere alle complesse esigenze scaturenti dai nuovi processi di pianificazione e di gestione del territorio». L’ingresso nel business delle grandi opere è recentissimo: la Infoterri nasce infatti il 31 dicembre 2007, data in cui i tre professionisti hanno deliberato la variazione della denominazione e delle ragioni della loro società di servizi topografici, composizione litografica, eliografica e toponomastica “I. & T. – Snc di Nastasi Santino Antonio Maria, Cattafi Giovanni e Nastasi Mario Domenico”. Alla I. & T. erano state affidate nel 2002 le elaborazioni grafiche e la stampa del Piano regolatore generale di Barcellona Pozzo di Gotto.

Anche la società riconducibile all’avvocato Rosario Cattafi ha cambiato recentemente nome e struttura sociale. Il 10 dicembre 2004, quattro mesi prima cioè di chiudere la transazione con i Salesiani per i terreni di contrada Siena, essa è stata trasformata da società in nome collettivo a società in accomandita semplice, assumendo il nome di “Dibeca S.A.S. di Corica Ferdinanda e C.”. Trasformazioni che però non ne hanno assolutamente modificato la titolarità. Soci accomandanti sono infatti Alessandro Cattafi (quote sociali per 6.988,69 euro), figlio dell’avvocato Rosario; Nicoletta Di Benedetto, la madre (1.032,91 euro); Maria Cattafi, la sorella, (2.272,41 euro) impiegata presso la biblioteca comunale di Barcellona, già socia con il fratello della Sanovit, società costituita a Milano nei primi mesi del 1989 per la vendita di prodotti naturali, medicinali, dietetici, alimentari e di apparecchi odontoiatrici e chirurgici (principali clienti, Postal-Market, Esselunga, S.M.A., ecc.).

La new entry in Dibeca è Ferdinanda Corica, nominata rappresentante dell’impresa nonostante detenga una quota sociale di appena 35,12 euro. La Corica risulta essere moglie di Stefano Piccolo, dottore commercialista con studio a Barcellona Pozzo di Gotto, notoriamente legato a Rosario Cattafi. Di lui si accenna in una relazione del Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza di Firenze sui rapporti di Cattafi con innumerevoli personaggi nazionali e siciliani, alcuni dei quali legati alla “famiglia” mafiosa di Benedetto Santapaola. L’informativa fu inviata il 3 aprile 1996 alla Procura di La Spezia, nell’ambito del procedimento penale sul presunto “comitato” con ambizioni politiche ed affaristiche, che vedeva indagati, tra gli altri, il noto banchiere “Chicchi” Pacini Battaglia. Soffermandosi sull’hotel “Silvanetta Palace” di Milazzo, amministrato dall’imprenditore Giovanni Filippo Muscianisi (attivo esponente del club service Kiwanis International), il G.I.C.O. segnalava che «il Muscianisi era stato sentito a Firenze il 17 maggio 1993 nel contesto del procedimento penale che vedeva quale indagato, tra gli altri, il noto Dante Saccà, nato a Rometta (Messina). Egli aveva dichiarato in tale sede di svolgere l’attività di commercialista e di essere comproprietario, unitamente alla sorella Silvana e alla madre Carmela La Rocca dell’Hotel Silvanetta; di essere l’amministratore unico della “Holiday Line S.r.l.”, con sede in Milazzo; di aver avuto una remota conoscenza con Rosario Cattafi, con il quale non aveva intrattenuto alcun rapporto».

Come accertato dalla Guardia di Finanza, la “Holiday Line” era «risultata proprietaria di appartamenti siti in Olbia (Sassari) nel complesso turistico “Le Vecchie Saline”, sequestrati (e poi restituiti) ai sensi dell’art. 12 quinques, comma 2° D.L. 8.6.1992, n. 306». Al momento dell’intervento della pattuglia del G.I.C.O. di Firenze presso il “Silvanetta” di Milazzo, avvenuto il 5 ottobre 1995 con lo scopo di esaminare ed estrarre copia del registro delle presenze, il «Muscianisi richiedeva che a tale attività presenziasse, con la relativa firma degli atti tale Stefano Piccolo, nato a Barcellona Pozzo di Gotto ed ivi residente, nella sua qualità di “responsabile dell’ufficio contabile dell’Hotel” come dichiarato dal Muscianisi». Era così che il Piccolo veniva fatto giungere appositamente da Barcellona per assistere i militari operanti.

«È alquanto singolare – scrivono gli uomini del G.I.C.O. - la circostanza che il Muscianisi, che si era professato nell’interrogatorio svolto a Firenze commercialista, avesse bisogno di altro commercialista per la gestione contabile dell’albergo; se si considera però che il Piccolo risulta in stretto contatto con il Cattafi, di cui è anche commercialista, la situazione delineata genera non pochi sospetti». Ancora più significativo il successivo passaggio dell’informativa del Servizio anti-criminalità organizzata della Guardia di Finanza. «Le suesposte circostanze appaiono degne di attenzione se si considera che dall’analisi dei soggiorni nell’hotel è risultato, e ciò non appare causale, che il giorno 30 aprile 1993 prendevano ivi alloggio la catanese Gambino Maria e i quattro figli di età compresa tra i 7 e gli 11 anni. Il successivo 1 maggio 1993 si univa ad essi Santapaola Giuseppe, fratello di Benedetto Santapaola e marito di Gambino Maria. Il gruppo partiva il giorno 2 maggio. Nello stesso periodo risultavano alloggiati nell’albergo di Milazzo anche Di Mauro Salvatore e Rizzo Angela. Il Di Mauro risulta avere precedenti di polizia per associazione mafiosa, detenzione di armi, ecc.».

Da diverso tempo il boss Benedetto Santapaola stava trascorrendo la sua latitanza nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto, protetto dal gotha mafioso locale. Secondo quanto si legge nella relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia della XIV legislatura, «prova certa della presenza di Santapaola a Barcellona emerse da intercettazioni telefoniche e ambientali avviate nell’immediatezza dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano, verificatasi a Barcellona l’8 gennaio 1993. Fatto è che Santapaola rimase latitante in quella zona fino al 29 aprile 1993, data in cui si spostò nell’area calatina, dove venne arrestato il successivo 18 maggio». Il boss lasciò dunque il territorio barcellonese contemporaneamente al brevissimo soggiorno a Milazzo del fratello, della cognata e dei quattro nipoti.

Una vicenda che assume contorni ancora più inquietanti se la si lega a quanto trapelò nei giorni successivi alla cattura del latitante. In un articolo comparso su Il Manifesto del 19 maggio 1993, a firma di Rino Cascio (oggi giornalista di Raitre), dal titolo “Manette a don Nitto”, si legge che Santapaola «è stato seguito nei suoi spostamenti durante la latitanza trascorsa soprattutto nel messinese. Dal commissariato di polizia di Milazzo, poco distante da Messina, è partita poi l’imbeccata determinante che ha condotto gli inquirenti al cascinale di Mazzarrone». Anche la Gazzetta del Sud di quello stesso giorno, si sofferma sul ruolo chiave che avrebbe assunto la cittadina tirrenica. In un articolo dal titolo “’Nitto’, a Milazzo una serie di errori che gli sono stati fatali”, erano riportate le dichiarazioni attribuite ad Antonio Manganelli, allora capo del servizio centrale operativo della polizia, che aveva proceduto alla cattura di Santapaola: «Quando un latitante si sente braccato è costretto a spostarsi e quando si sposta corre il rischio di commettere errori. Santapaola gli errori li ha commessi a Milazzo e da lì è partita l’indagine».

Nel primo semestre del 1993, prima cioè dell’arresto del boss catanese, i Carabinieri del R.O.S. di Messina avevano iniziato un’attività investigativa sulla base di intercettazioni telefoniche ed ambientali tra presenti nel barcellonese. «In tale contesto si è avuta la prova che il Santapaola era stato ospite del gruppo Gullotti», si legge nella memoria depositata dal Pubblico ministero al processo di Palermo contro il manager-politico berlusconiano, Marcello Dell’Utri. «Da una verifica dei tabulati Sip relativi all’utenza in uso a Giuseppe Gullotti sono risultati contatti anche con Cattafi Rosario. E non deve sfuggire che lo stesso Cattafi è stato identificato come soggetto più volte chiamato da persone appartenenti al circuito Dell’Utri, cioè da persone entrate con lui in contatto telefonico od esistenti nelle sue agende, come risulta dalla nota della Direzione Investigativa Antimafia nr. 125/RM6/H2-24/6937 del 31 agosto 1995». Che Santapaola avesse trovato nel messinese un rifugio superprotetto lo si sospettava però da una decina di anni prima. Nel gennaio del 1985 era stata svolta un’indagine al fine di stabilire la fondatezza di una notizia confidenziale secondo la quale Nitto Santapaola si nascondeva nella zona del barcellonese, «appoggiandosi, in particolare, sulla protezione di Girolamo Petretta, scomparso a seguito di lupara bianca, già inserito nel clan mafioso Rugolo-Coppolino, operante in quella zona, nonché amico di Rosario Pio Cattafi». Quel Cattafi che nel corso di un interrogatorio presso la Procura di Barcellona, il 7 agosto 1998, avrebbe rivendicato l’inesistenza di elementi relativi a suoi rapporti con ambienti mafiosi. «Non ho mai avuto nessun potere di carattere economico», aggiunse il barcellonese. «Avevo avviato un’attività imprenditoriale, contraendo numerosi debiti con le banche, che poi non sono riuscito ad onorare a causa del mio arresto a Milano. Ho subito procedure esecutive e la mia situazione finanziaria non è mai stata florida».

Con il megacentro commerciale e il Paese-albergo di contrada Siena le cose potranno certamente migliorare.

lunedì

Al via l’AGS, il nuovo sistema di spionaggio NATO

di Antonio Mazzeo

(...) Nel corso della riunione dei Ministri della Difesa della NATO di Cracovia, il 19 e 20 febbraio 2009, è stata formalizzata la scelta della stazione aeronavale di Sigonella quale “principale base operativa” dell’AGS.
“Abbiamo scelto questa base dopo un’attenta valutazione e per la sua centralità strategica nel Mediterraneo che le consentirà di concentrare in quella zona le forze d’intelligence italiane, della NATO e internazionali”, ha dichiarato il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini.
(Leggi tutto...)

venerdì

Dichiarazioni postume.














Foto di Orietta Scardino - Ansa.it


Diritto:

MALTEMPO: D’ALIA (UDC), SICILIA IN DISSESTO IDROGEOLOGICO


(AGI) - Palermo, 24 set. - “‘La frana avvenuta questa mattina a Letojanni e’ soltanto l’ennesima sciagura preannunciata: il dissesto idrogeologico della Sicilia e’ sotto gli occhi di tutti”. Lo afferma in una nota il capogruppo Udc al Senato, Gianpiero D’Alia, che aggiunge: “Non e’ la prima volta che le forti precipitazioni causano frane e smottamenti nella nostra regione. E? il momento di agire e programmare interventi seri e concreti a sostegno del nostro territorio: chiedo un tavolo di lavoro comune tra Governo nazionale, Governo regionale ed enti locali per una maggiore efficacia dei provvedimenti sia nell’ambito delle competenze proprie della protezione civile che nell’ambito delle attivita’ di prevenzione dei fenomeni di dissesto ormai troppo ricorrenti”. (AGI)


Rovescio:

Gentilissimo onorevole D’Alia, il dissesto idrogeologico della nostra provincia era ed è sotto gli occhi di tutti come scrive Lei, e come sempre Lei sostiene, non è la prima volta che le forti precipitazioni provocano gravi danni.


Ma allora Onorevole D’Alia se tutto questo era già ampiamente risaputo a che servono le sue dichiarazioni diciamo così “postume”?


Per lei solo oggi la misura è colma?


Questo tavolo di lavoro non poteva essere richiesto prima?

Lei da siciliano conosce senz'altro il detto " a sant'Agata duoppu ca a rubbaru ci ficinu i porti di ferru".


Marcia delle Agende Rosse

lunedì

La stronza guerra!











- Come è andata oggi a scuola?

- Bene papà.

- Che avete fatto?

- Il solito. Comunque papà, i talebani sono degli stronzi!


Eravamo nel bel mezzo del traffico dell’uscita da scuola.

Sul motorino sentivo le braccia di mia figlia che mi stringevano forte.

A scuola gli avevano evidentemente parlato dell’attacco alle truppe italiane di Kabul.


- Chi ti ha detto questo?

- La professoressa (già, adesso è in prima media, e gli insegnanti non si chiamano più “maestri”) ci ha raccontato di quello che hanno fatto…

- Ma cosa ti ha raccontato esattamente?


Non volevo che questo avvenimento fosse liquidato così velocemente.

Volevo capire che idea si potesse fare una ragazzina di 11 anni di una cosa tragica ed allo stesso tempo complessa.


- Papà sono dei terroristi. Per uccidere usano mezzi da vigliacchi.


Ho aspettato di arrivare a casa per tentare di sviluppare in modo più approfondito il concetto.

La sua idea era il frutto semplice e immediato del concentrato di quanto una insegnante si era sentita di dire ( o forse sapeva dire).

Buono o cattivo, bello o brutto, bianco o nero.


No, non poteva e non doveva essere tutto così semplice come gli facevano credere dappertutto.

Gli ho preparato il pranzo ed appena seduta gli ho chiesto se conoscesse il motivo per cui i militari italiani fossero in quel paese.


- Loro sono lì per aiutare quei paesi poveri pieni di guerre.


Gli ho cercato di spiegare che nelle guerre ci sono sempre due fazioni, chi attacca e chi si difende.

Le ragioni per cui si combatte non sempre sono chiare.

I pretesti, quelli, sono sbandierati ai quattro venti, ma le vere ragioni sono sempre ben celate.

Nelle guerre, sia chi attacca sia chi si difende, è costretto a commettere violenze, a violare la dignità di altri esseri umani e sporcarsi le mani del sangue degli innocenti.

Culture, confini, religioni, potere e denaro. In questo pianeta si uccide per tutto questo.


Non volevo difendere ne tanto meno giustificare l’uso del terrorismo, ma dovevo spiegare a mia figlia che un popolo senza esercito, senza carri armati e aerei, credendo di subire un’invasione si difende come può.


I militari italiani svolgono il loro dovere come missione di pace (almeno queste sono le regole d’ingaggio) ma lo fanno accanto ad altri eserciti che sono lì per fare la guerra, sparando ed uccidendo.

In guerra non si và per il sottile.

Che differenza vuoi che trovino tra l’uniforme di chi li controlla senza sparare e quella di chi prima spara e poi controlla.

In una partita di rugby riusciresti a distinguere in una mischia uno con l’uniforme della squadra avversaria che per un caso assai strano, vuole aiutarti?


Nella storia del nostro paese è capitato anche, che a volte degli italiani, commettessero delle azioni atroci, lontane dal concetto di combattimento, di difesa o di attacco.

Violenze gratuite e senza alcun senso, come mandare altri italiani ebrei verso i campi di concentramento.

Donne e bambini caricati come bestiame verso la morte sicura.

Erano italiani anche le camicie nere.

Non voglio con questo dirti che quello che è successo ai nostri 6 militari sia giusto, perché il termine “giusto” in una guerra non è neanche da considerare, ma è soltanto la “normale” conseguenza di un conflitto iniziato male e che finirà anche peggio.


Chi veste la divisa nei luoghi di guerra, devi sapere anche, non è mai un ragazzo “ricco”.

Ci si arruola sempre più spesso per il posto fisso, per la carriera e la famiglia.

Erano sei ragazzi meridionali.


Sono divenuti eroi.

Eroi per aver combattuto una guerra senza volerlo, per aver dato la vita per una guerra voluta da altri e da questi condotta al fallimento.

Eroi per aver pagato il prezzo più alto sull’altare della patria, quella stessa patria che si sente fiera di pagare così l’amicizia di paesi che “esportano” con la guerra la democrazia.


Quei sei ragazzi, ti assicuro, erano molto diversi da quelli che puoi vedere in tivvù al pomeriggio sul trono di “uomini e donne”.

Quei militari avevano madri, figli e mogli ad attenderli.

La loro vita non era sfilare dinanzi ad una telecamera.

La loro morte lo è divenuta.


Speravano in una vita migliore.

Dovevano ricostruire e sorvegliare, ma sono stati presi in giro da una guerra, cattiva come tutte le guerre e dolorosa per tante, troppe madri.


Questo paese così ipocrita da chiedere di non strumentalizzare una strage ai fini politici, perché è consapevole che quelle sei bare avvolte nel tricolore, possono farlo tremare così forte da non poter resistere.


Non sono né i talebani né gli italiani gli stronzi.

E’ la guerra che è stronza!

Questo avrebbe dovuto dirti la professoressa!

giovedì

Le mille ombre sull’affare del Parco commerciale di Barcellona PG


di Antonio Mazzeo


È il cuore di una delle aree della provincia di Messina a maggiore densità eversiva e mafiosa. Barcellona Pozzo di Gotto, comune ad una quarantina di chilometri dal capoluogo dello Stretto, per affinità storiche, politiche e criminali è definita la “Corleone del XXI secolo”. Gli ultimi trent’anni hanno visto l’ascesa delle organizzazioni criminali locali ai vertici dei traffici internazionali di armi e droga; l’alleanza con i ceti borghesi dominanti ne ha garantito la capacità di penetrazione nella politica e nelle istituzioni. Amministratori e consiglieri comunali avrebbero ricevuto pesantissimi condizionamenti. Un “buco nero” nella storia della Sicilia che solo a partire dalla fine degli anni ’90 ha richiamato l’attenzione dell’Antimafia e degli organi di stampa nazionali. Poi, nel giugno 2006, quella che sembrava potesse essere una svolta per riportare legalità e agibilità democratica: l’allora prefetto di Messina, Stefano Scammacca, disponeva un’indagine sulle infiltrazioni mafiose nel Comune. Sindaco è Candeloro Nania, cugino di primo grado e appartenente allo stesso partito di Domenico Nania, capogruppo al Senato di An. Ed è il Polo ad avere una maggioranza bulgara in consiglio.

Per un anno quattro ispettori (il prefetto Antonio Nunziante, il vicequestore Giuseppe Anzalone, il capitano dei carabinieri Domenico Menna e il comandante della Guardia di Finanza Domenico Rotella), spulciano centinaia di delibere ed atti amministrativi ed analizzano contratti e visure camerali. La valutazione finale è unanime: troppe scelte amministrative sono state subordinate agli interessi della criminalità locale. Altrettanto unanime è la richiesta di scioglimento dell’organo elettivo. La relazione ispettiva, centoquarantasei pagine, viene inviata a Roma, ma inspiegabilmente il ministro degli Interni Giuliano Amato decide di non apporre la propria firma al decreto di scioglimento. Amministrazione e consiglio comunale possono concludere regolarmente la legislatura e alla tornata elettorale del 2007 Candeloro Nania e il Polo si ripresentano uniti ottenendo un successo di voti e consensi ancora più consistente.

La giunta bis consolida il suo potere in una città dove pure l’aria che respiri sembra stagnante; vige l’“ordinaria amministrazione” sino allo scatto di orgoglio della Commissione edilizia urbanistica che i primi giorni d’agosto di quest’anno approva definitivamente il piano particolareggiato di quello che sarà il più grande Parco commerciale dell’intera provincia di Messina. L’unico, come annunciato dai vertici di Palazzo Longano, che «sarà realizzato, in conformità alle leggi e alla pianificazione urbanistica e commerciale della Regione». Non poco in un’area dove sorgono come funghi megastore e centri commerciali, tutti in deroga o in aperta violazione alle normative in materia.

Quello di Barcellona sarà un Parco di dimensioni faraoniche: le infrastrutture s’insedieranno in un’area di 184.000 metri quadri in contrada Siena, accanto al nuovo centro artigianale e al vecchio tracciato della linea ferroviaria Messina-Palermo, strategicamente integrato all’asse stradale che l’Area di Sviluppo Industriale (Asi) chiede di realizzare in collegamento con la vicina area industriale di Milazzo-San Filippo del Mela, nella prospettiva di insediare l’autoporto originariamente programmato a Milazzo. All’interno del Parco saranno insediati sei diverse strutture destinate alla grande distribuzione, una serie di locali commerciali e per il tempo libero, un parco giochi per bambini e alcuni alberghi e ristoranti. A presentare nel giugno 2007 l’ambizioso progetto, la “G.d.m. - Grande Distribuzione Meridionale S.p.a.” di Campo Calabro (Reggio Calabria), un’azienda che gestisce nel sud Italia numerosi supermercati dei marchi Quiiper, Dìperdì e Docks market, più gli ipermercati della transnazionale francese Carrefour di Porto Bolaro (Reggio Calabria), San Cataldo (Caltanissetta), Castrofilippo (Agrigento) e Milazzo.

Nel 2005 l’azienda calabrese aveva stipulato un contratto di comodato d’uso con la Dibeca S.a.s. di Barcellona, proprietaria di buona parte dei terreni di contrada Siena, con relativa promessa di vendita. La stesura del piano particolareggiato fu affidata invece all’architetto barcellonese Mario Nastasi. Nel maggio del 2008, la G.d.m. decise però di farsi da parte. «L’acquisto dei terreni della Dibeca era subordinato al verificarsi di una serie di condizioni consistenti nell’ottenimento, entro e non oltre tre anni dalla stipula del contratto, sia dell’approvazione del progetto, sia del rilascio della relative concessioni edilizie da parte del Comune, sia dell’autorizzazione amministrativa commerciale per l’apertura di una grande struttura di vendita», ha spiegato Piergiorgio Sacco, presidente della società di Campo Calabro. «Nessuna delle condizioni previste in contratto si è avverata nel termine triennale indicato: da qui il venir meno dell’interesse della nostra società alla iniziativa urbanistica». Anche la non brillante esperienza del centro Carrefour di Milazzo può aver influito sulla decisione dei manager della G.s.m.: nello stesso anno, a causa della flessione delle vendite e l’assoluta deregulation del mercato, la società era stata costretta a mettere in cassa integrazione quasi la metà del personale impiegato.

Poco conveniente, dunque, tentare l’apertura di un altro centro commerciale in zona. Ma a Barcellona c’è però chi la pensa in maniera differente, al punto d’impegnarsi energicamente perchè il piano concludesse positivamente l’iter istruttorio ed approdare in consiglio comunale per l’approvazione finale. Dato il dietrofront della società proponente si è dovuto ricorrere ad un escamotage: presentare una domanda di cambio di titolarità della concessione edilizia. Ci ha pensato il 5 gennaio 2009 proprio la Dibeca, proprietaria dell’area di contrada Siena. E la commissione edilizia ha fatto valere allora quella che si sostiene essere una «continuità soggettiva, atteso che la nuova istanza viene dai proprietari di quei terreni che davano sostanza alla richiesta della G.d.m.». Una “continuità” affermata pure dalla scelta della Dibeca di affidare la direzione dei lavori per il Parco commerciale all’ingegnere Santino Nastasi, fratello dell’estensore del piano particolareggiato.

Alla società barcellonese la commissione ispettiva della Prefettura di Messina aveva dedicato un intero paragrafo (il terzo) della propria relazione sulle “anomalie” amministrative dell’Ente comunale. Per insediare gli uffici dell’Acquedotto e degli Impianti Sportivi, il 18 ottobre 2001 il Comune aveva preso in locazione dalla Dibeca un immobile di Via Operai 72. L’unico contratto sottoscritto con soggetti privati, un «rapporto economico» da cui - secondo gli ispettori prefettizi - «discendono forti elementi sintomatici che contraddistinguono, in termini di permeabilità, una gestione amministrativa che sembra privilegiare, non appena gli è possibile, rapporti economici con soggetti che, direttamente o indirettamente, risultano contigui, se non intranei, ad ambienti criminali locali di natura mafiosa». L’affitto per la durata di sei anni era stato stipulato con Alessandro Cattafi, «amministratore unico della Dibeca, in sostituzione della proprietaria, Nicoletta Di Benedetto», dietro corresponsione di un canone annuo di 27.888,67 euro.

Il giudizio degli ispettori è lapidario. «È da evidenziare – si legge nella loro relazione - come l’amministrazione comunale, sia al momento della stipula del contratto di locazione che durante l’intera durata del contratto stesso, non abbia esperito i dovuti accertamenti e, soprattutto, non abbia posto in essere le iniziative atte ad evitare che l’Ente locale potesse avere rapporti economici con la società gestita dai familiari di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della Legge antimafia 575/65». Alessandro Cattafi e Nicoletta Di Benedetto sono infatti rispettivamente figlio e madre dell’avvocato «pluripregiudicato» Rosario Pio Cattafi, personaggio «ritenuto ai vertici dell’organizzazione mafiosa barcellonese». E sarebbe poi bastata una capatina alla Camera di commercio per verificare come la società in questione non occultasse per nulla il dominus: alla costituzione il nome completo era infatti “Dibeca S.n.c. di Cattafi Rosario & C”, oggetto la gestione di lavori edili, stradali, marittimi e ferroviari. Sino al 1987 amministratore unico il farmacista Agostino Cattafi, fratello di Rosario, poi sindaco del comune tirrenico di Furnari (Messina). Nel dicembre 2004, la società prende invece il nome di “Dibeca S.a.s. di Corica Ferdinanda e C.”. Oggi i suoi soci sono ancora la madre del legale, Nicoletta Di Benedetto, il figlio, Alessandro, la sorella, Maria Cattafi, e Ferdinanda Corica.

Secondo l’organo ispettivo, Rosario Pio Cattafi «rappresenta una delle figure più emblematiche mediante il quale la città di Barcellona Pozzo di Gotto, diventa il crocevia, snodo nevralgico e luogo di convergenza ove si intersecano gli interessi della mafia catanese e palermitana, intrecciandosi con imponenti operazioni finanziarie e di illeciti traffici che portano fino alla lontana Milano». Egli sarebbe cioè uno dei «soggetti di livello superiore» che si muovono per mediare i contatti tra i vertici di Cosa Nostra e «taluni membri delle istituzioni operanti specialmente nel settore della politica, della giustizia e delle pubbliche amministrazioni».

Le vicende giudiziarie che hanno interessato il legale barcellonese sono condensate nelle motivazioni della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona per la durata di 5 anni, emessa nei suoi confronti dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Messina il 2 agosto del 2000, in epoca ampiamente antecedente alla stipula della locazione con l’ente locale. Di Cattafi vengono evidenziati in particolare i rapporti con numerosi esponenti della criminalità organizzata provinciale e regionale, con particolare riferimento a Francesco Rugolo, ai vertici del gruppo barcellonese, ucciso il 26 febbraio 1987. L’avvocato è stato pure “compare di anello” del boss Giuseppe Gullotti, a capo della mafia del Longano perlomeno sino alla sua condanna definitiva per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, nonché indicato dal collaboratore Giovanni Brusca come la persona che gli avrebbe fornito il telecomando per l’attentato mortale contro il giudice Falcone, la moglie e la scorta il 23 maggio 1992 a Capaci. «Di assoluto rilievo sono anche i rapporti prolungati nel tempo che vedono legato Rosario Cattafi al boss catanese Benedetto “Nitto” Santapaola ed a soggetti appartenenti alla cosca mafiosa di quest’ultimo», si legge ancora nella relazione sulle infiltrazioni criminali nella vita amministrativa di Barcellona. «Numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano Angelo Epaminonda e Maurizio Avola hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca “Santapaola”, le famiglie “Carollo”, “Fidanzati”, “Ciulla” e “Bono”».

Sin da giovane Rosario Cattafi aveva militato nelle file della destra eversiva «rendendosi protagonista nell’ambiente universitario messinese di alcuni pestaggi (unitamente al mistrettese Pietro Rampulla, l’esperto artificiere della strage di Capaci), risse aggravate, danneggiamento, detenzione illegale di armi». Particolarmente rilevante la vicenda inerente le «raffiche di mitra sparate dal Cattafi in una camera della Casa dello studente nell’aprile 1973, a seguito del quale è stato tratto in arresto». Successivamente il barcellonese fu sospettato di essere stato uno dei capi di una presunta associazione operante a Milano, responsabile del sequestro, nel gennaio 1975, dell’imprenditore Giuseppe Agrati, rilasciato dopo il pagamento di un riscatto miliardario. All’organizzazione fu anche contestata la compartecipazione nei traffici di stupefacenti e nella gestione delle case da gioco per conto delle “famiglie” mafiose siciliane.

Nei primi anni ’80, Cattafi si sarebbe attivato in vista del trasferimento di una partita di cannoni svizzeri “Oerlikon” a favore dell’emirato di Abu Dhabi. I documenti sulla transazione di materiale bellico furono scoperti nel corso di un’inchiesta della procura di Milano interessata a verificare se dietro un viaggio del Cattafi a Saint Raffael c’era l’obiettivo di «stipulare per conto della famiglia Santapaola un accordo con la famiglia dei Greco per la distribuzione internazionale di stupefacenti». Le indagini consentirono di accertare che il Cattafi aveva avuto accesso a numerosi e cospicui conti correnti in Svizzera e che lo stesso aveva tenuto «non meglio chiariti» rapporti con presunti appartenenti ai servizi segreti.

Nell’agosto del 1993 Cattafi fu indicato in una nota della Squadra Mobile di Messina quale fornitore di materiale esplodente e di armi ai sicari della cosca barcellonese ed «uno dei maggiori esponenti del clan». L’1 settembre dello stesso anno la sua abitazione fu oggetto di perquisizione su decreto emesso dalla Procura di Messina nell’ambito di un procedimento penale per traffico internazionale di armi e materiale bellico, associazione per delinquere, truffa e corruzione, nel quale egli risultava coindagato unitamente al re dei casinò delle Antille olandesi Saro Spadaro e al cittadino italo-peruviano Filippo Battaglia, di cui proprio Cattafi era stato testimone di nozze. Il procedimento fu avocato dalla Procura di Catania che rinviò a giudizio il solo Battaglia (poi assolto). Rosario Cattafi fu invece tratto in arresto il 9 ottobre 1993 in esecuzione di un ordine di cattura emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nell’ambito dell’operazione relativa all’autoparco Salesi di via Salomone di Milano nella quale rimasero coinvolti alcuni soggetti ritenuti legati alla criminalità organizzata lombarda e siciliana. Dopo una pesante condanna in primo grado per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la sentenza fu annullata per un vizio procedurale. Rifatto il processo, Cattafi venne assolto perché in sede dibattimentale furono dichiarate inutilizzabili le intercettazioni ambientali che avevano documentato le sue frequentazioni dell’autoparco milanese.

Del barcellonese si occupò poi la Procura della Repubblica di La Spezia nell’ambito dell’inchiesta sul faccendiere Pacini Battaglia e su un grosso traffico di armi delle società costruttrici Oto Melara, Breda ed Augusta con paesi sottoposti ad embargo. Sul suo conto i magistrati spezzini scrivono «essere inserito a pieno titolo nel commercio illegale delle armi e degli armamenti nella sua qualità di appartenente alla famiglia mafiosa capeggiata da Nitto Santapaola». Nel 1998 il barcellonese fu infine sottoposto ad indagini da parte della D.D.A. di Caltanissetta nell’ambito del procedimento riguardante i mandanti “occulti” della strage di Capaci. Anche stavolta la sua posizione fu archiviata.

Nel curriculum vitae di Rosario Cattafi ci sono infine due denuncie (una in data 9 agosto 2000, l’altra il 14 luglio 2001) per violazione degli obblighi della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza; una denuncia, il 20 luglio 2001, da parte del Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Barcellona, per «minaccia nei confronti di un medico e per violazione agli obblighi della sorveglianza speciale di P.S.»; la revoca da parte del Prefetto di Messina della patente di guida (8 gennaio 2001).

Il sindaco Candeloro Nania ha più volte ribadito che sarebbe stata la precedente giunta di centrosinistra a stipulare nel giugno 2000 il contratto di affitto con la società della famiglia Cattafi. «L’atto di affitto è stato sottoscritto materialmente il 18 ottobre 2001 dall’allora Commissario regionale, dott. Zaccone», ha replicato l’ex sindaco Pd. Negli archivi del Municipio è depositata una delibera del Consiglio comunale del 9 maggio 2000 che approvava una proposta di emendamento a firma dei capigruppo dei partiti del centrodestra che elevava a 70.000 euro il capitolo di bilancio riservato annualmente all’affitto dei nuovi locali di via Operai 72. Un regalo bipartisan che continua sino ad oggi: gli uffici comunali (e la sede locale della Croce Rossa Italiana) sono infatti ancora ospitati nello stabile di proprietà della Dibeca e centinaia di migliaia di euro sono già stati incassati dalla famiglia Cattafi. Briciole al confronto del business multimilionario che ruota attorno al mega Parco commerciale di Barcellona. Stavolta si fa veramente sul serio.

lunedì

Alla fiera delle occasioni mancate tra miopia e cecità.


Un’occasione mancata.

La 66^ Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia poteva divenire un’ottima vetrina per la provincia di Messina, per il suo territorio e per le sue ricchezze naturali ed umane.

La provincia di Messina non ci sarà!

Non viene reputato conveniente dagli amministratori locali.


Un Festival che, quest’anno tra l’altro, ha un accento spiccatamente siciliano, avendo puntato alla presenza come madrina della manifestazione dell’attrice messinese Maria Grazia Cucinotta ed avendo scelto per l’apertura di rassegna, il film di Tornatore “Baarìa” un vero e proprio inno alla Sicilia.


La Messina Film Commission aveva ricevuto l’invito dalla Cine Sicilia srl per presenziare nell’area dedicata alla Sicilia in un corner appositamente riservato alla nostra provincia.

La Cine Sicilia è la società convenzionata con la regione che occupandosi dell’attività di film commission regionale, coordina le agenzie del territorio.


Per il presidente della società regionale la presenza al festival di uno stand dedicato alla Sicilia è espressione dello sforzo teso a creare un settore d’eccellenza che possa servire d’impulso all’economia siciliana.

La Messina Film Commission, autorizzata dalla Provincia Regionale di Messina e patrocinata dal Comune di Milazzo e Savoca, non godendo però di autonomia finanziaria ha “girato” la richiesta al presidente della Provincia ed al Sindaco del Comune di Messina.

Viene presentata nei termini l’istanza per finanziare la rappresentanza di un (uno!) componente della film commission.

Passano i giorni e nulla accade.


La bozza della locandina da esporre all’Hotel Excelsior di Venezia viene inviata in tipografia. Le brochure fotografiche della provincia sono impaginate.

Tutto è pronto per partire.

Messina al Festival di Venezia. Così recita la notizia apparsa sulle news del sito www.messinafilmcommission.it


La rassegna più importante, anche per le film commission nazionali, sta per iniziare.

Dai palazzi non arriva nulla però.

Eppure alla Fiera dell’artigianato di Firenze la provincia di Messina era presente con ben tre spazi espositivi e con un congruo impegno finanziario.

Impossibile sarebbe lasciar sfumare un’occasione così importante di promozione del territorio come il festival del cinema di Venezia…Gli sviluppi proveranno che sarà così.


La Cine Sicilia srl attende risposta. Restano ormai ore alla partenza.

Ma dai palazzi ancora silenzio.

Alla sede della Provincia si chiedono ragguagli. Vengono forniti puntualmente.

Ma la “suonata” non cambia.

Il silenzio.


La rassegna si apre il 2 settembre con la presenza di migliaia di addetti ai lavori.

Il festival quest’anno parla siciliano dicono tutti.

Ci sono tutti all’Excelsior.

Nell’ampio spazio di Cine Sicilia su un grande tavolo luminoso la sagoma arancio della Sicilia è in bella mostra. L’isola c’è tutta.


I riflettori si accendono su di essa.

Su tutta tranne che su Messina.

Nessun rappresentante, nessuna film commission.


Eppure era stata offerta l’opportunità a chi in questi anni ha sempre lavorato per attirare le produzioni nella nostra provincia. Ma dai Palazzi silenzio.

Qualcuno nei corridoi di Palazzo dei Leoni sembrava dire: ma voi chi siete, perché hanno invitato voi…


Mentre la stampa di tutto il mondo riprende le giornate del Festival di Venezia, la Provincia Regionale di Messina spegne ogni speranza al proprio territorio, reo di essere rappresentato da professionisti che non frequentano segreterie politiche ma solo gli uffici protocollo dei sordi palazzi.

La Messina film commission è una realtà ormai conosciuta dagli operatori, dalle centinaia di professionisti iscritti alla banca dati del sito.

Dal Comune sembrerebbe arrivare un timido segnale. Con un atto viene autorizzata la copertura di una piccola parte delle spese di rappresentanza.

La pubblicazione giungerà però a Festival concluso.


La Messina film commission dunque c’è, ma non essendo direttamente gestita da nessun politico, anche a costo di dover privare la nostra provincia della vetrina più importante in Europa nell’ambito cinematografico, si fa finta che non esista.


La film commission senza sponsor politici non può emergere.

Nessuno andrà a Venezia.

“Voi non esistete!”.

Scompare così la provincia di Messina nella mappa delle location siciliane.

Africom pianta le tende alle Seychelles

di Antonio Mazzeo

Il Comando generale delle forze armate per il continente africano, Africom, mobilita uomini e mezzi per proteggere dalla pirateria l’industria turistica delle Seychelles. E a difesa dei turisti a cinque stelle non saranno lesinati i più sofisticati sistemi di guerra. Così, dal prossimo mese di ottobre, un numero imprecisato di velivoli senza pilota UAV “Reaper” sarà trasferito nell’arcipelago che dista più di 1.000 miglia dalle coste dell’Africa meridionale. Continua...

giovedì

I parà USA di Vicenza in Afghanistan. Con blindati e velivoli senza pilota

di Antonio Mazzeo

Sarà la 173^ Brigata Aviotrasportata di stanza a Vicenza la punta di diamante della campagna d’autunno dell’esercito USA in Afghanistan. Lo ha confermato il Comando delle forze armate statunitensi in Europa a conclusione di una esercitazione tenutasi il mese scorso nelle colline di Hohenfels (Germania), a cui hanno partecipato 75 militari del Combat Team provenienti dalla base vicentina di Camp Ederle. Nello specifico, gli uomini hanno partecipato al primo corso per “operatori MRAP - Mine Resistant Ambush Protected”, i sistemi blindati che il Pentagono ritiene fondamentali per difendere le truppe da attacchi terroristici, imboscate ed esplosioni di bombe e mine.
continua...

mercoledì

Il prete, l´arbitro, l´esperto di trote La Sicilia delle 15 mila consulenze


Da Repubblica cronaca di Palermo.

Quanti saranno i conventi e le edicole votive sulle montagne messinesi? Il quesito non poteva restare irrisolto. E per trovare una risposta il responsabile del parco dei Nebrodi ha affidato tre incarichi di consulenza: 32 mila euro in tutto. Il collega che sovrintende alla riserva sulle Madonie ha stabilito che è importante far tornare il grifone da quelle parti: e allo zoologo Antonio Spinnato ha assegnato uno studio che vale tremila euro.

Più o meno la stessa cifra che, a Trapani, il presidente della Provincia ha dato al cantautore Matteo Ferrari, con un apposito contratto di collaborazione, per la consegna di 150 musicassette con i brani dell´imperdibile album «Amuri vecchiu, amuri novu». La Sicilia delle consulenze è un viaggio mozzafiato nell´abisso di 15.344 incarichi, in un documento di 1.600 pagine pubblicato sul sito del ministro dell´Innovazione Renato Brunetta. Lì sono contenuti destinatari e importi degli affidamenti fatti dagli enti pubblici siciliani nel 2008. Regione, Comuni, Province, azienda sanitarie, parchi e opere pie, università e scuole, hanno comunicato le consulenze assegnate: così stabilisce la legge. Chi non l´ha fatto, entro il 30 giugno, rischia un blocco dei nuovi incarichi l´anno prossimo. Circa cento milioni di euro la spesa.

L´Isola non si è fatta mancare nulla. Se diminuiscono i contratti assegnati dalla Regione (il sito ne riporta appena dodici), un pozzo senza fondo è rappresentato dalle altre amministrazioni. C´è davvero di tutto, dai 200 mila euro spesi dalla Provincia di Caltanissetta per 181 docenti che hanno tenuto seminari a studenti fuori sede ai 120 euro dati dalla scuola trapanese «Rocca» a Giuseppe Giorlando, arbitro evidentemente versatile che ha accettato di dirigere due partite di calcio e una di pallavolo. Tutto dichiarato a Brunetta. Dai 20 mila euro stanziati a Ragusa per la redazione e la stampa del bollettino informativo «L´Europa in Provincia» ai 4 mila che lo stesso ente ha dato ad Antonino Duchi per il progetto «riproduzione della trota macrostigma». Una miriade di piccoli contributi per progetti e obiettivi più o meno ambiziosi: la Provincia di Trapani ha assegnato un incarico da 3.975 euro a Sabrina Cavasino per un progetto che dovrebbe risolvere il problema della «regolarizzazione dei mercati settimanali della città» mentre il Comune di Palermo, per tradurre in arabo il proprio sito internet, ha dato 10 mila euro a Kheir Madian. I costi meno noti dell´euromediterraneo.

Scienziati, giornalisti, avvocati, medici, insegnanti e perfino autisti. Salgono tutti, sulla giostra della consulenza siciliana. Un progetto sul «sistema suinicolo» (leggasi maiali) vale i 9.200 euro assegnati dall´istituto zooprofilattico di Palermo a Vincenzo Amonia. Un corso sui funghi costa al Comune di Santa Lucia del Mela, provincia di Messina, l´assegno da 500 euro staccato a Nicola Amalfi. Mentre la «riprogrammazione delle risorse enogastronomiche dei Nebrodi» è un proposito da duemila euro: la somma stanziata dall´amministrazione del parco e destinata a sostenere una ricerca di Rosario Gugliotta. E se l´istituto comprensivo «Giovanni XXIII» di Agrigento ha elargito 650 euro a Vito Adragna per la «preparazione di inni di carattere carnescialesco», l´amministrazione delle Opere pie riunite di Ragusa ha deciso di offrire ai propri assistiti lo svago di uno spazio verde. Spendendo 6.500 euro per la progettazione di un giardino attrezzato, con un incarico affidato a Diego Falcone.
Capitolo a parte per l´assistenza spirituale dei sacerdoti. Il sito di Brunetta classifica fra le «consulenze tecniche» gli incarichi affidati da Ausl e aziende ospedaliere a uomini di Chiesa: il Sant´Elia di Caltanissetta ha speso 11.710 euro per la convenzione con il cappellano, don Giuseppe Anfuso, mentre l´ospedale Piemonte di Messina ha previsto una spesa triennale di 55 mila euro per dare ai malati il conforto religioso dei frati cappuccini.
Non sono certo i clergyman a incidere sui bilanci degli enti. Sono più ricercate le toghe, l´assistenza più ambita da sindaci e amministratori è quella nei tribunali. Ben 478 gli incarichi di consulenza legale richiesti nel 2008, cui vanno aggiunte 311 tutele in giudizio. La cifra sborsata dagli enti siciliani per difendersi dai contenziosi ammonta a un milione 700 mila euro. Il record lo detiene l´Ausl di Catania, con 104 incarichi assegnati ad avvocati, per un totale di 316.700 euro.

E pensare che l´azienda ha un ufficio legale interno: «Ma comprende un solo dipendente - sottolinea l´ex manager Antonio Scavone - Gli avrò affidato 500 cause l´anno scorso, di più non potevo. Il contenzioso sta divorando le aziende sanitarie, inevitabile puntare su professionisti esterni». L´azienda siracusana ha tenuto il passo: «solo» 70 le consulenze legali affidate in poco più di un anno, ma per una spesa di 396 mila euro. E anche i Comuni più piccoli non hanno risparmiato in questo campo: il sindaco di San Cataldo, ad esempio, nel 2008 ha assegnato 45 consulenze legali per 252 mila euro. Fino alla piccola amministrazione municipale di Rodì Milici, centro di 2.335 abitanti in provincia di Messina. Il sindaco ha speso, per incarichi affidati ad avvocati, 37.450 euro. Come dire: ogni cittadino, neonati compresi, deve mettere da parte 16 euro l´anno per consentire al suo Comune di non soccombere davanti a un giudice.