lunedì

Con la partecipazione della Provincia Regionale di Messina, è stato realizzato ed è on line il sito web della Messina Film Commission.
La film commission della nostra provincia si pone l'obiettivo, attraverso i servizi resi, di promuovere il territorio come location ideale per la realizzazione di produzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, al fine di incentivare le attività produttive locali legate direttamente o indirettamente al comparto audiovisivo e ottenere maggior visibilità a livello turistico.




Obiettivi, questi, raggiungibili prima grazie alla permanenza delle produzioni sul territorio, poi attraverso la promozione dello stesso derivante dalla divulgazione degli audiovisivi realizzati.

Messina film commission invita tutta la cittadinanza a visitare il portale
www.messinafilmcommission.it, dove privati e aziende possono già registrarsi inserendo i propri dati nell’apposito data base, creato per fornire alle società di produzione elenchi di attori, figuranti, personale tecnico e artistico, società di servizi, catering, strutture alberghiere, ristoranti, locations private in affitto.Il sito contiene inoltre una sezione di documentazione fotografica in aggiornamento, di tutte le possibili locations offerte dal territorio, destinata a crescere quotidianamente anche attraverso il contributo di ognuno





http://www.siciliafilmcommission.it/
http://www.danoisigirameglio.it/
http://www.siciliacinema.com/

Il nuovo caso Messina? Comunicato di Fabio Repici


La mattina del 9 ottobre – solo sette giorni dopo il suicidio di Adolfo Parmaliana e le denunce sulla malagiustizia barcellonese e messinese da lui lasciate – la giunta distrettuale messinese dell’Associazione nazionale magistrati tappezzava i muri del palazzo di giustizia di Messina con un documento da basso impero (trasmesso, oltre che al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina ed al Csm, anche ad un solo organo di stampa, il quotidiano Gazzetta del Sud, evidentemente eletto dalle toghe quale proprio “foglio” ufficiale) nel quale l’Anm lamentava che nella puntata di domenica scorsa della trasmissione “Blunotte” di Rai3 erano state mosse accuse generalizzate e infondate all’indirizzo dell’intera magistratura messinese. Nel documento venivo attaccato personalmente con nome e cognome (unica persona destinataria di così garbato trattamento) e, oltre all’attribuzione a me di affermazioni fatte da altri, venivo invitato a denunciare all’Autorità giudiziaria, pena lo screditamento della mia figura, fatti che in verità avevo denunciato tantissimo tempo fa.
Avuta notizia di quel documento, provvedevo a diramare una risposta, che correttamente veniva pubblicata sia dai giornali web messinesi normanno.it e tempostretto.it sia, il giorno successivo (10 ottobre), dalla Gazzetta del Sud.
L’equilibrio informativo evidentemente non è stato digerito da qualcuno. Fatto è che nella mattina dello stesso 10 ottobre si teneva una riunione di magistrati indetta dalla locale Anm, alla quale in verità presenziava solo una parte delle toghe messinesi. All’esito dell’incontro, veniva diramata dai vertici della magistratura associata una nota con la quale veniva comunicato che era stato dato mandato al presidente dell’Anm di sporgere querela nei miei confronti e che si era deciso di richiedere alla trasmissione “Blunotte” adeguato spazio per replicare alle accuse, ritenute infondate, relative alle deviazioni della giustizia a Messina.
Avuta contezza della nuova sortita dell’Anm, predisponevo un nuovo scritto di risposta, che inviavo nel tardo pomeriggio del 10 ottobre ai giornali web normanno.it e tempostretto.it (che avevano già pubblicato in rete le deliberazioni dell’Anm e che tempestivamente pubblicavano la mia nota) ed al cronista della Gazzetta del Sud, il quale ultimo, però, mi avvisava che probabilmente il suo giornale avrebbe preferito pubblicare solo la notizia dell’assemblea dei magistrati e che, nel caso, io il giorno dopo avrei avuto spazio per replicare.
Effettivamente, sabato 11 ottobre la Gazzetta del Sud dava conto delle iniziative dell’Anm (titolando anche sul preannuncio di querela contro di me) e ometteva ogni riferimento alla mia nota di replica. Conseguentemente, nel pomeriggio di quello stesso giorno inviavo a mezzo fax al direttore della Gazzetta del Sud una formale richiesta di replica, allegando una mia dichiarazione. Poco dopo, venivo contattato dal cronista che aveva firmato il pezzo uscito in mattinata: mi pregava di telefonare al suo direttore, che aveva da obiettare su un passo della mia dichiarazione, riguardante il Procuratore generale di Messina Antonio Franco Cassata. Chiamavo, così, Nino Calarco (direttore della Gazzetta del Sud dal 1968) ed egli mi segnalava che la mia nota poteva essere pubblicata per intero, ivi compresi i riferimenti a molti magistrati messinesi, ad eccezione delle parole riguardanti il dr. Cassata. Rispondevo a Calarco che si trattava di un’indebita censura e che era sgradevole che se ne rendesse autore proprio lui, dato che il dr. Cassata (testimoniando il 27 ottobre 2005 innanzi al Tribunale di Catania nel processo di mafia a carico di due noti magistrati messinesi) lo aveva in passato indicato come una delle tre persone di propria fiducia cui aveva consegnato un proprio memoriale riservato. Evidentemente non era stata una millanteria di Cassata: Calarco (sul cui giornale è editorialista di punta un collega d’ufficio di Cassata) è davvero ligio al ruolo di tutore del Procuratore generale di Messina. Ribadivo, comunque, fino al termine della telefonata, che io non intendevo ritoccare il mio comunicato.
Venivo richiamato dopo poco dal cronista della Gazzetta del Sud, che, in grande imbarazzo, mi supplicava di trovare una mediazione sul testo. Per non apparire chiuso al confronto (fermo restando che si trattava delle mie dichiarazioni e che, quindi, nessuno in teoria poteva aver qualcosa da obiettare), acconsentii a che venissero eliminate dal testo alcune aggettivazioni, senza però che si toccassero i nudi fatti resocontati nella nota. Venivo, però, ricontattato da quel cronista: il suo direttore non poteva e non voleva permettersi di scrivere nulla che riguardasse il dr. Cassata. Risposi come ognuno può immaginare.
Stamattina, come volevasi dimostrare, la Gazzetta del Sud ha censurato la mia replica all’Anm. I lettori hanno così potuto immaginare che l’aggressione fattami dall’Anm era fondata, non essendo stata da me contestata sulle colonne dell’unico quotidiano cittadino.
Aggiungo solo alcuni dettagli. Sulla Gazzetta del Sud di ieri è stata data notizie che il dr. Cassata è “un altro dei magistrati citato dal prof. Parmaliana nel memoriale”, di cui evidentemente la Gazzetta del Sud e qualcun altro indebitamente conosce il contenuto. Io non conosco il testo del manoscritto lasciato da Adolfo ma mi consta che accanto a quel documento si trovassero il vergognoso decreto di citazione a giudizio per diffamazione emesso contro di lui dalla Procura di Barcellona e la fotocopia dell’articolo, di matrice redazionale, pubblicato dalla Gazzetta del Sud scavalcando il cronista che si occupa della cronaca giudiziaria barcellonese. Il sig. Calarco è quel personaggio che ebbe l’impudicizia di affermare davanti alle telecamere che, “se la mafia è in grado di realizzare il ponte sullo stretto, allora benvenuta la mafia!”.
Questo è il clima alla periferia dell’impero. Fra malagiustizia e informazione asservita, cosa resta della democrazia?
Fabio Repici

giovedì

Si muore perchè si resta soli.

Avere forte il senso della legalità dentro se stessi.
Il rispetto delle regole anche contro le ideologie, anche contro chi è stato dalla tua parte.


Fare mille lotte prima con l’appoggio di tanti, rischiare e combattere.
Poi restare soli. Forse essere lasciati soli.

Il suicidio di Adolfo Parmaliana è vissuto così.
Si muore quando si resta soli.
Ci si uccide a causa della mafia e forse anche a causa dell’antimafia.

Anche per merito suo viene sciolto il comune di Terme Vigliatore per infiltrazioni mafiose.
Un personaggio scomodo. Da emarginare.

Allontanato da tutti.

Da chi era stato attaccato e da chi era stato difeso.

Ora che anche la giustizia gli si rivoltava contro, lui, forse ha provato lo scoramento che soffoca e toglie il respiro.

Sonia Alfano da parte della associazione nazionale famigliari vittime di mafia chiede scusa, scrivendo parole coraggiose, chiedendo l’ammissione di colpa in chi di questo suicidio è corresponsabile.

Apprendo la notizia da
www.imgpress.it e non posso che pensare all’uomo che scompare.
Non posso non pensare alla sua famiglia.

Stasera leggerò Sciascia.

Io sono questo.

Qualche giorno addietro mi è arrivato via mail uno splendido editoriale scritto da Salvatore Borsellino dal titolo “Lampi nel Buio” che invito tutti a leggere, pubblicato su www.19luglio1992.org.

Di getto rispondo alla mail.
Con il cuore e con l’istinto. Senza riflettere.
Perché sollecitato da quelle parole forti che hanno scosso la mente fino a scatenare il vortice dei ricordi.
Apro il rubinetto e lascio scorrere la mia intima risposta mista di ricordi e sofferenze. Non è un “post” da stostretto. Scrivo ed inoltro.
Salvatore Borsellino pubblica la mia mail.

Enrico Di Giacomo lo riprende sul suo sito.
Riporto quindi solo adesso il testo:

Avevo ventun'anni il 19 Luglio del 1992.
Da qualche ora mi trovavo in ospedale a far visita a mia madre.
L'Oncologico era nella periferia nord di Messina.
Attorno solo campagna.
Il sole con il suo riverbero accecava di giallo e faceva esplodere di calore la vista.
Nella corsia c'era il fiato freddo dell'aria condizionata.
L'intervento era andato bene, ora si aspettavano i risultati.
Ogni giorno in quell'ospedale entravo e guardavo la morte in faccia.
In quell'ospedale come in tutti gli ospedali è così.
La morte era negli sguardi degli uomini e delle donne che aspettavano.
In pigiama e con la vestaglia aspettavano.
Avevano cicatrici e fazzoletti colorati sulla testa.
Quel pomeriggio come ogni giorno ero sceso al bar dell'ospedale per prendere un caffè ed immergermi per qualche minuto nell'asfissiante calore dell'esterno per una sigaretta.
Quel pomeriggio come ogni giorno c'era quel ragazzo nella sala d'attesa.
Veniva da fuori. Avrà avuto la mia stessa età.
La testa era liscia senza capelli e gli occhi sembravano persi nel cranio. Ci salutavamo sorridendo.
Lui era sempre solo. Forse i parenti erano lontani. Scambiavamo sempre qualche parola e prendevamo il caffè insieme.
A lui lo servivano in un bicchierino di plastica.
Anche lui aveva la morte disegnata sul volto.
Ogni volta il mio sguardo vedeva nei suoi occhi la sua e la mia morte.
Quel pomeriggio non lo vidi seduto sulle sedie di tessuto rosse ad aspettarmi.
Era già dentro al bar. Erano tutti dentro il bar.
Tutti davanti alla televisione che mostrava filmati che sembravano in bianco e nero.
La notizia in quel momento ed in quel posto suonava diversa. Dentro quelle mura la morte arrivava piano, silenziosa e senza violenza. In quella strada invece c'era tutta la violenza del mondo che è fuori.
C'era la rapida ferocia delle bombe.
C'era l'assurdo compimento di una sentenza degli uomini.
Io avevo poco più di vent'anni. In quel momento inconsapevolmente in me accadeva qualcosa. Cambiavo, miglioravo, mi evolvevo.
Vedevo in quel bar le facce della morte. Osservavo l'incredulità di chi la morte aveva dentro, dinanzi alla spietata distruzione della vita per mano mortale.
Adesso ho 36 anni. Sono sposato ed ho una figlia.
Io sono quello che ho vissuto. Io lo trasmetto a mia figlia di dieci anni.
Io sono anche un po', quel ragazzo che sorrideva prima di morire e quel pomeriggio che ha sconvolto la mia coscienza.
Io sono quella attesa sulle sedie in tessuto rosso e sono Paolo Borsellino.
Ho sentito la disperazione della morte ingiusta.
Ho sentito il boato del lacerare della dignità degli uomini ed il silenzio della sofferenza.
Immagini in bianco e nero mischiate a quelle dai colori accecanti sono impresse nei miei occhi.
Io sono questo.