martedì

Un'idea di rivoluzione che vola.



" Quello che in Italia non c'è mai stato, una bella botta, una bella rivoluzione, Rivoluzione che non c'è mai stata in Italia... c'è stata in Inghilterra, c'è stata in Francia, c'è stata in Russia, c'è stata in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, 300 anni che è schiavo di tutti."

Mario Monicelli (a Raiperunanotte, 25 marzo 2010).

Dal Blog di Giugioni

domenica

Ricordando Adolfo Parmaliana


Domenica 3 ottobre 2010, dalle 17.00 alle 19.30 nella sala delle bandiere del Palazzo Municipale di Messina, a due anni dalla sua scomparsa, verrà ricordato il professore Adolfo Parmaliana e sarà presentato il libro “Io che da morto vi parlo” di Alfio Caruso.






Interverranno insieme all'autore:
- Sonia Alfano
- Fabio Repici
- Franco Frusteri
- Beppe Lumia
- Piergiorgio Morosini

mercoledì

Sputtusati e beffati. Aggiornamento dalla trincea delle trivelle.

Un aggiornamento d'obbligo sulla situazione dei cantieri mobili per l'esecuzione dei saggi geologici da parte di Eurolink per la costruzione del ponte sullo stretto.
Altre foto che documentano di come il general contractor conosce la Legge, ma non sempre la rispetta.
In questa foto infatti si vede l'area del cantiere in contrada Margi Torre Faro dove le indicazioni previste dalla Legge sono adeguatamente visibili e complete.

A circa 200 metri dalla precedente area di cantiere si trova una trivella su un terreno privato.
Questa è la visuale dalla strada comunale. Nessun cartello, nessuna interdizione. Nessuna norma rispettata.

A qualche chilometro un altro cantiere su terreno privato. Via Consolare Pompea Granatari.
 Alberi spostati per liberare l'accesso alla trivella.
Anche qui nessun cartello e nessuna interdizione all'area di cantiere.
A pochissima distanza, nei pressi del cimitero, altra trivella. L'area risulta recintata ma anche qui nessuna segnalazione e cartellonistica obbligatoria.

A proposito poi della trivella che avevamo segnalato sulla via Panoramica, dobbiamo constatare che la stessa è stata spostata a pochi metri sull'opposto senso di marcia.
Di seguito riportiamo la foto che evidenzia come era stata preparata la perforazione del terreno ed il sistema adottato per la recinzione dell'area. Da notare la presenza di bacchette di ferro tondo (di norma utilizzato nelle armature in calcestruzzo) posate come lance pronte ad infilzare sfortunati passanti.
 Insomma vale la pena ricordare che esistono delle regole e che queste è auspicabile vengano rispettate da chiunque anche dai Padrini del Ponte.

Luci ed ombre sulle trivelle. Le violazioni nei cantieri del ponte sullo stretto.



Se il buon giorno si vede dal mattino, la sera diventa tutto buio ed oscuro.

Il mega appalto per la costruzione del ponte sullo stretto doveva essere sulla carta il lavoro più monitorato e controllato del secolo.
L’appalto pubblico più grosso mai bandito in questo paese e maggiormente a rischio di infiltrazioni mafiose doveva essere nella propaganda governativa il più regolare e trasparente. 
Tutto a norma.
Tutto secondo la Legge.
Così partono le trivellazioni per l’esecuzione dei saggi del terreno.
Più di cento “puttusa” sul territorio per capire il sottosuolo. 
Tutto a norma. Tutto secondo la Legge. Così dicono.

Strade e vie, aiuole e marciapiedi, condomini e terreni privati ospitano trivelle ed operai di ditte che eseguono lavori per conto del general contractor.
Hanno la Legge dalla loro parte. 
Ciucci rassicura che la Legge verrà rispettata.
Impregilo & C. rappresentano una garanzia per i cittadini, sono aziende serie che lavorano secondo le norme, nonostante alcuni procedimenti giudiziari (ad esempio quelli Campani) hanno sostenuto teorie assai diverse.

Ma torniamo alle trivelle. 
Tutto a norma. Tutto secondo la Legge.

Messina, via panoramica dello stretto, importante arteria della parte nord della città. Si colloca l’ennesima trivella.
Nessun cartello che riporta le informazioni obbligatorie per Legge. 
Nessuna indicazione del committente, nessuna informazione sulla ditta che sta eseguendo i lavori, nessun nome del responsabile della sicurezza, nessun riferimento alle autorizzazioni. 
Nessun rispetto dei più comuni requisiti richiesti dalla Legge sull’edilizia.

Il cantiere mobile è collocato sulla sede stradale. Ne invade una parte. 
Scende la notte e nessuna segnalazione luminosa si accende. 
Nessun cartello segnala la presenza del restringimento della carreggiata con il dovuto anticipo. 
Anche il codice della strada è violato.
Le più elementari norme non vengono rispettate. Un paio di cartelli e qualche torcia elettrica. Tutto a norma? Tutto secondo la Legge?


Il 21 settembre alle ore 19:20 viene fatta la segnalazione telefonica al corpo di polizia municipale di Messina. Il cantiere è pericoloso per la viabilità stradale, non è segnalato ed illuminato. Anche l’interdizione all’area è precaria. Un bambino che percorre il marciapiede può accedervi facilmente.
Cosa sarà successo dopo la telefonata? Un verbale?
L’azienda sanitaria locale avrà verificato la presenza dei requisiti di Legge sui cantieri mobili?
O forse, trattandosi del mega appalto del ponte, quello di Berlusconi e di Ciucci, dell’Eurolink e dell’Impregilo, i controllori hanno dato per scontato che tutto fosse a norma? Tutto secondo la legge?

Insomma, con certezza abbiamo appurato che le norme basilari vengono violate. Le fotografie scattate ieri sera lo documentano ampiamente.
Non vogliamo essere pessimisti ma se il buon giorno si vede dal mattino…


giovedì

Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano!


Ma guarda un po’ sono arrivate le trivelle!
Il progetto ponte sta iniziando.

Saggi geologici, carotaggi ed analisi del sottosuolo per la realizzazione del progetto esecutivo del ponte sullo stretto.
Occorre capire come è fatto lo strato inferiore dei comuni a più alto rischio sismico d’Italia.
Serve vedere la natura e la consistenza del terreno che sorregge a stento il peso di decenni di sacco edilizio.
Necessita capire e calcolare la forza dinamica e statica del ponte ad unica campata più lungo del mondo.
Grazie alle informazioni raccolte dai piccoli cantiere satellite sparsi per i comuni si potrà elaborare il calcolo indispensabile per la redazione del progetto.

In parole povere bisogna capire come fare il ponte sempre ammesso che lo si possa fare.
Quest’ultima ipotesi però, non sembra neanche presa in considerazione da nessuno. 
Che sotto l’asfalto delle strade, le pavimentazioni dei marciapiedi o il pavè dei parcheggi ci sia roccia o melma paludosa, a nessuno sembra importare. 
Tanto i soldi all’Eurolink qualcuno dovrà darli. 
Questo è il punto fermo della questione.

Bisogna andare avanti comunque. 
I condomini ricorrono al tribunale per impedire l’accesso nei propri cortili alle trivelle. 
Si tenta di prendere tempo. Ne sono perfettamente consapevoli. 
Le trivelle entreranno con la forza pubblica. 
La legge è dalla parte dei padrini del ponte.

Non possono temere qualche centinaio di cittadini che cercano a colpi di carta bollata di fermare l’inesorabile devastazione di un folle progetto.

Sono riusciti con l’aiuto dei vertici dell’Università di Messina a fottersi un intero palazzo costruito con soldi pubblici  (finanziato con la  legge 208 del 1998) che ne  vincola l’uso  “agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse”
Si insomma il famoso “Incubatore” di imprese di neo laureati dell’ateneo messinese. 
Fottuto! 
Adesso sarà il quartier generale del general contractor alla faccia dei neolaureati e delle leggi dello Stato.

Intanto le strutture leggere di recinzione continuano ad avvolgere i mostri di ferro che con i loro pungiglioni meccanici estraggono cilindri di terra.

A volte non ci sono i cartelli obbligatori per i cantieri, altre volte i sistemi di illuminazione di sicurezza sono assenti tanto da rendere i recinti pericolosi per la circolazione stradale contravvenendo gravemente alle norme del codice della strada. 
In prefettura è già possibile conoscere i nomi delle ditte che stanno operando per conto dell’Eurolink?

Ma la feroce ed inarrestabile macchina da combattimento ha già schierato le sue truppe. 
Come con aghi da insulina stanno testando la sopportazione di un’area già martoriata. 
Terre che scivolano con la pioggia e che come la pioggia scorre dimenticata da tutti.

Ma loro sono i “Padrini del Ponte” e noi minuscole formiche.

Indosseremo maglie e sventoleremo bandiere. 
Ricorreremo nelle opportune sedi e urleremo il nostro NO!

Ma nel frattempo controlleremo. 
Ci fermeremo ai bordi dei piccoli trafori, con macchine fotografiche e telefonini. Chiederemo nomi e responsabili alla sicurezza. 
Denunceremo all’ARPA ed all’ASP le eventuali irregolarità. 
Controlleremo che tutto sia in regola (siamo diffidenti di natura noi!).

Noi piccole creature tenteremo di tenere a bada il mostro che mangia ed affonda i suoi lunghi denti nella nostra terra.

Perché come dicevano Gino e Michele, anche le formiche nel loro piccolo si incazzano!

martedì

La stanza dello scirocco



L’aria è calda e pesante tanto da rendere poco limpido l’orizzonte. 
Davanti il mare calmo mentre a destra e sinistra l’arido paesaggio della Sicilia ad agosto. 
Fermi, immobili sotto un grande albero di gelsi, riparati dalla sua ombra si suda.
Lo sguardo sembra appannato dalla forte umidità. 
Dai cespugli gialli si intravede una terra arsa. E’ lo scirocco.

Soffia piano il vento da sud-est in questa Sicilia immobile. 
Le fronde si muovono appena mentre l’aria si scalda svuotandosi d’ossigeno.
E questa terra resta sempre ferma accogliendolo tra i suoi muri a secco, lungo le strade e le trazzere desolate ed i terrazzamenti di terra bianca.
Il vento che arriva dall’Africa spinge la maturazione degli agrumi e della vite ma piega le ginocchia di chi le cura.
Mentre lungo la schiena il sudore si incanala in mezzo alle scapole provocando un leggero solletico, mi sembra che nulla sia poi cambiato. 
Eppure da piccolo pensavo che magari un giorno sotto quel gelso che emanava un forte profumo dolciastro e tannico avrei visto la mia terra migliore.
La mia gente l’avrebbe migliorata. 
Si sarebbero resi conto del grande imbroglio che nascondeva il nostro orizzonte. 
Quella foschia sarebbe rimasta solo una conseguenza meteorologica.

Invece tutto appare uguale a quando avevo dieci anni. 
Anzi è uguale da centinaia di anni.
Forse è per questo che nelle case nobiliari siciliane d’un tempo c’era la stanza dello scirocco. 
Nel punto più interno del palazzo o appositamente scavata nella roccia, si creava un vano senza finestre con grosse pareti in pietra per ripararsi dal vento caldo che avvolgeva il resto delle ricche abitazioni.
Insomma ci si nascondeva per non patire ciò che fuori generava sofferenza.
Un posto sicuro e nascosto da piccoli labirinti di pareti e porte. 
Nessun rumore, nessun odore e soprattutto nessun alito caldo lo poteva raggiungere.
Fuori lo statico immobilismo di una regione flagellata dalla mafia, dalla politica del potere e dai grandi e piccoli affari conclusi a discapito di un popolo arreso.
Dentro la possibilità di non avvertirne il caldo peso. 
Non è istinto di sopravvivenza ma quell’arte antica appresa durante le troppe dominazioni subite nei secoli che hanno spinto i siciliani ad adattarsi. 
Trovare sempre il modo di fottersene concedendo però nella loro storia la legittimazione ad un potere che li ha sempre resi sudditi.   
Oggi ci sono le stanze dello scirocco con condizionatori dai soffi gelati ed infissi a prova di calibro 38. 
L’architettura dei vecchi mastri sostituita dall’energia elettrica.
Ma fuori resta tutto lo stesso.

Le 5 giornate di Messina - 27 / 31 agosto


www.consequenze.org

28 Agosto Corteo No Ponte - Torre Faro Messina

La condanna di Dell'Utri e quel senso di vertigine.

Arriva la condanna. Confermato il concorso esterno. 
Dell’Utri per due gradi di giudizio è risultato colpevole.

Poco importa se la condanna è a nove o a sette anni di reclusione.
Poco importa se la verità giudiziaria si ferma al 1992.

Dell’Utri, l’ideatore e fondatore di Forza Italia è stato funzionale a Cosa Nostra. 
Insomma ad organizzare la discesa in campo del cavaliere senza macchia, fu un uomo vicino alle famiglie più importanti della mafia italiana.

In qualsiasi paese democratico l’avvenimento avrebbe scandalizzato tutti. Nessuno avrebbe cercato di difendere un uomo vicino alla mafia. 
Ma noi non siamo in un paese democratico.

Secondo il dispositivo della sentenza i collegamenti tra Dell’Utri e Cosa Nostra sono provati fino al 1992.

Come se non fosse ormai evidente che da Cosa Nostra non si esce così facilmente. 
Non si può smettere di fare “favori” in modo così semplice e veloce, neanche se si vuole. 
Gli omicidi di Salvo Lima ed Ignazio Salvo ne sono una prova.

Il concorso tra Dell’Utri e Cosa Nostra si interromperebbe prima della trattativa. Come se si potesse con tanta certezza stabilire il giorno esatto in cui questa ebbe inizio.

Ma cosa accadde prima del 1992?
Furono gli anni dei grandi investimenti della mafia al nord. 
Le grandi operazioni finanziarie e l’ampliamento dei confini delle attività economiche. 
“La mafia è entrata in borsa” disse Falcone.
I Graviano comandavano in Lombardia. 
A Milano accanto a Berlusconi c’era Dell’Utri.

Oggi si tenta di ricostruire quegli anni. 
Oggi si cerca di dare un volto a chi portò il nostro paese verso il baratro della verità tra il 1992 ed il ’93.
Forse non arriverà la sentenza della Cassazione a causa della prescrizione dei reati, ma le condanne di un sistema giudiziario che si tenta di rendere sempre più addomesticabile, sono una cosa, la verità è un’altra.

Ma in Italia la verità è solo un elemento di disturbo. 
Troppo abituati a non averla che il solo pensiero di poterla scorgere, ci scuote fino ad avere le vertigini. 

giovedì

Le cinque regole del buon pentito.





E’ mai possibile che ancora dopo tanti anni dall’istituzione della figura del collaboratore di giustizia non siano ben chiare le modalità su come mantenere detta qualifica?
Di seguito riportiamo un breve vademecum per il buon pentito:
1) Parlare velocemente durante gli interrogatori, magari camuffando un pò la voce e dovendo raccontare di fatti criminosi usate nomi di fantasia tipo Turi detto “topolino” o Ciccio detto “piterpan”

2) Se proprio dovete fare i nomi di qualcuno, fate quelli di piccoli criminali magari di un quartiere vicino al vostro, tipo topi d’auto o piccoli spacciatori.

3) Se vi chiedono di parlare di appalti dite che di queste cose  se ne occupava qualcun’altro e trovate il nome di qualcuno già ristretto nelle patrie galere con due o tre ergastoli definitivi.

4) Riguardo alle stragi del 92 e 93, se volete apparire credibili dite che il vostro referente era un certo “nome ad minchiam” legato ai servizi segreti, così non sbagliate di sicuro.

5) Ma soprattutto se vi chiedono di parlare dei referenti politici, attenzione perchè qui vi giocate tutto, citate ad esempio qualche detto siciliano tipo “la migliore risposta è quella che non si da”  ma non fate mai alcun nome, soprattutto se pensate di parlare di Dell'Utri e Berlusconi pena l’immediata esclusione dal programma di protezione.

Attenetevi dunque a queste semplici regole e vi aspetterà un futuro radioso sotto falsa identità.

mercoledì

Per Spatuzza la certezza della pena.


Chi parla muore.
Chi parla di certe cose soprattutto muore.

La condanna è inesorabile.

Prima si scredita il condannato poi si emargina ed infine qualcuno finirà il lavoro.

Come per il primo infiltrato nella storia di cosa nostra, Luigi Ilardo, nome in codice Oriente, anche per Gaspare Spatuzza arriva la sentenza.

La sua ammissione al programma di protezione viene rigettata.
Dopo aver in ogni modo tentato di rendere le sue dichiarazioni inutilizzabili, si passa alla fase due. Si lascia solo.
Il parere delle procure conta poco.

Da ogni fronte hanno cercato di distruggere la sua attendibilità.
Rappresentanti delle istituzioni tirati in ballo e boss di primo piano.

Dell’Utri e Graviano. Ognuno per una ragione. La propria.

Un collaboratore è certo però che la strada che ha deciso di percorrere non ha nessun bivio. Non sono ammessi cambi di direzione. 
Cosa nostra non lo perdonerà mai.
Così una voce che ha tentato di svelare la storia oscura degli ultimi dieci anni della nostra Repubblica viene bollata e lasciata in pasto alla vendetta.
Gli infami prima o dopo devono pagare il conto.

Un’ombra, l’ennesima, tenta di coprire sempre più la vicenda già oscura della trattativa Mafia- Stato, così da rendere sempre più difficile la ricerca della verità in questo capitolo che in modo più complesso ha visto lo Stato contro lo Stato.
Sullo sfondo la strage di Via D’Amelio.

Una trattativa che ha mietuto già numerose vittime. 
Alcuni finiti per aria ed altri invischiati in procedimenti giudiziari. 
Tutti messi a tacere.
La “giustizia” di Cosa Nostra non ammette sconti o amnistie e chi sbaglia alla fine paga.

martedì

Solidarietà a Tabularasa


 Oggi  Facebook ha  fatto sparire le pagine di “tabularasa”. Le pagine che portano il nome della rassegna di editoria di inchiesta e di denuncia che la nostra associazione Urba/strill.it ha messo su per il prossimo 19/22 luglio a Reggio Calabria. Niente più account, niente più fanpage e niente più pagina della rassegna

La bomba a Reggio per il ponte sullo stretto.


La bomba davanti alla Procura generale di Reggio Calabria con l'obiettivo di ''intimidire la magistratura in vista del piatto milionario del Ponte sullo Stretto''. E' quanto emerge dai contenuti della relazione che il procuratore generale di Reggio Calabria

Salvatore Di Landro, ha inviato al ministro della Giustizia Angelino Alfano, di cui scrive oggi il Sole 24Ore. Sul suo blog ''Guardie & ladri'', il giornalista Roberto Galullo, autore dell'articolo, ha iniziato a pubblicare il testo della relazione del magistrato. La bomba in procura, riporta il quotidiano, era stata annunciata da radio carcere. Le cosche avevano scartato la decisione di colpire un'avvocatessa, Giulia Dieni, parte civile nel processo ''Rende'', che aveva denunciato l'incompatibilita' del pm Francesco Neri nel processo, poi sostituito, per andare dritti all'obiettivo che e' quello dei lavori di costruzione del Ponte sullo Stretto. La relazione di Di Landro, riporta il quotidiano, ''apre scenari inquietanti, mette in fila gli avvenimenti e descrive la strategia della 'ndrangheta 'che reagisce chiaramente ad una non piu' tollerabile pressione della magistratura anche in vista di scenari futuri che prevedono possibili enormi arricchimenti illeciti quali ad esempio quelli per centinaia di milioni di euro connessi al prossimo erigendo Ponte sullo Stretto'''.(Ansa)

link:
Guardie & Ladri di Roberto Galullo
Strill.it

lunedì

Terra Venduta. Così uccidono la calabria. Il reportage di Claudio Cordova sui luoghi dei veleni.



- Dal torrente Oliva di Cosenza alla Pertusola di Crotone, da Cosoleto, nella Piana, a Melito di Porto Salvo, nella ionica, e, ancora, i segreti affondati nel mare, gli atti giudiziari, le dichiarazione dei pentiti, i dati ufficiali dei dipartimenti sanitari, le cifre di denaro attorno ai traffici illeciti di rifiuti e quelle delle morti per malattia sul territorio.

“Terra venduta – Così uccidono la Calabria – Viaggio di un giovane reporter sui luoghi dei veleni”, del giornalista Claudio Cordova per Laruffa Editore, è un’inchiesta diretta e coraggiosa che analizza i fatti e li intreccia a numeri spaventosi che descrivono una regione alla mercé della ’ndrangheta e attanagliata dalle malattie.

Le cosche, con alleanze impensabili e connivenze occulte, muovono un malaffare da milioni di euro. E uccidono il territorio sul piano dello sviluppo e, fatto ancora più grave, sotto il profilo della salute pubblica.    

Cordova ripercorre, con razionalità rigorosa e stile avvincente, i misteri insoluti delle navi avvelenate, della Pertusola, dei traffici d’armi, su rotte internazionali che, inevitabilmente e misteriosamente, finiscono per ritornare in Calabria. Soprattutto dà voce alla gente, ai comitati costituiti per chiedere la verità, alle storie individuali.

Informazioni e notizie puntuali, suffragate da riscontri documentali, dagli atti della Commissione parlamentare sui rifiuti, della DIA, di Legambiente e della magistratura, con una spietata e coraggiosa denunzia di omertà, omissioni, inerzie, negligenze dovute a pressioni di poteri occulti e a interessi enormi decisi a difendere i proventi illeciti con ogni mezzo, nessuno escluso (F. Imposimato).

Il libro, che gode del Patrocinio morale del Forum Nazionale dei Giovani e si avvale della prestigiosa prefazione del magistrato Ferdinando Imposimato, sarà presentato sabato prossimo, 5 giugno, alle ore 17, presso la sala del Palazzo della Provincia, a Reggio Calabria.

Oltre all’autore, interverranno: Omar Minniti, consigliere provinciale – Luigi De Sena, vicepresidente Commissione Parlamentare Antimafia – Angela Napoli, componente Commissione Parlamentare Antimafia – Giusva Branca, direttore responsabile Strill.it – Andrea Iurato, delegato Forum Nazionale dei Giovani – Nuccio Barillà, dirigente nazionale Legambiente – Roberto Laruffa, editore. Coordina Maria Teresa D’Agostino (Ufficio Stampa Laruffa).


mercoledì

Tortura responsabile.




Tra una sentenza “soft” di primo grado che alleggerisce le posizioni di poliziotti e vertici della Polizia in merito a quei fatti che nella stessa sentenza vennero etichettati come “Tortura” commessi dalle forze dell’ordine nell’irruzione alla Diaz durante il G8 di Genova ,  ed una di secondo grado più dura, che ribalta la prima in fatto di condanne e responsabilità il governo come è nel suo stile, predilige la prima.

La pena piu' pesante, cinque anni, e' stata inflitta a Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma, già condannato a quattro anni in primo grado. Quattro anni ciascuno a Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco e attuale dirigente dell'Anticrimine e a Giovanni Luperi, ex vice direttore Ucigos e oggi all'Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna; entrambi erano stati assolti in primo grado. 
Tre anni e otto mesi sono stati inflitti Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova e oggi questore vicario a Torino, anch'egli assolto in primo grado. 
Sono passate da tre anni a quattro anni le pene per i "picchiatori" materiali, mentre per coloro che firmarono i verbali e che erano stati assolti in primo grado, la corte ha stabilito pene per tre anni e otto mesi ciascuno.

Per il sottosegretario all'Interno Mantovano, sarà la Cassazione a ristabilire "l'esatta proporzione dei fatti e sciogliere ogni ombra su fior di professionisti della sicurezza".
Per Cicchitto invece "Ha vinto la tesi più estrema dei no-global".

Insomma come sempre gli esponenti del governo intervengono pesantemente sulle scelte della magistratura con quelli che sembrano avvertimenti alla Corte di Cassazione a cui spetterà l’ultima decisione.
Tutti i condannati resteranno al loro posto rassicura il sottosegretario. 
Sono professionisti che svolgono i loro compiti con responsabilità e dedizione. 
Certo c’è anche da considerare che il governo che oggi afferma che questa sentenza non è l’ultima parola sulla macelleria messicana è dello stesso colore e guidato grosso modo dagli stessi uomini che nel 2001 gestirono il G8.

Da non trascurarsi infine un altro dettaglio sottile e perverso. 
Il sottosegretario Mantovano è stato magistrato anche di cassazione e dovrebbe quindi sapere che le sentenze della corte di cassazione non possono entrare nel merito delle condanne poiché la suprema corte non giudica sul fatto, ma sul diritto, è quindi giudice di legittimità: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, bensì può solo verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo nei gradi precedenti si sia svolto secondo le regole.

Quindi appare evidente che ristabilire “l’esatta proporzione dei fatti” in terzo grado sarà impossibile a meno di non sperare nella prescrizione.

I fatti dunque sono incontrovertibili, 63 ragazzi furono torturati e chi li torturò lo fece con responsabilità e dedizione con la benedizione del governo.

martedì

Un altro tassello del Caso Messina

Riportiamo di seguito la notizia della condanna dell'imprenditore Salvatore Siracusano pubblicata da imgpress.
Si compone attraverso il posizionamento dell'ennesimo tassello, il disegno criminale che ha fatto di Messina l'esempio del patto tra Stato ed antistato. 
La vicenda sullo sfondo è quella che riguarda la gestione dei collaboratori di giustizia da parte di alcuni magistrati.
Ma come sempre in Sicilia la commedia è corale. Magistrati, collaboratori, forze dell'ordine, imprenditori ed avvocati.
Ognuno con il suo ruolo. Ognuno con il suo tornaconto. Si alza un polverone, si depista e si comprano i testimoni. Ogni sforzo teso a confondere e pilotare ogni cosa. 
Questa è la zona grigia di cui parla Lo Forte. 
Questa è la Sicilia in cui ogni colore si mischia agli altri per rendere vano ogni tentativo di definire le tonalità.
Mafia ed antimafia, diritto e favore, guardie e ladri.

CONDANNATO SALVATORE SIRACUSANO: HA TENTATO DI CORROMPERE UN MARESCIALLO DEI CARABINIERI

(11/05/2010) - Alle 23.30 di ieri 10 maggio il Tribunale di Messina (presidente Alfredo Sicuro) ha emesso la sentenza nei confronti dei due imprenditori messinesi Salvatore Siracusano e Santino Pagano, imputati per avere indotto il Maresciallo dei carabinieri Biagio Gatto, a rendere false dichiarazioni nel processo a carico di Giovanni Lembo e Michelangelo Alfano, allora prendente presso il Tribunale di Catania. Come indicato nella requisitoria del pubblico ministero Antonino Nastasi (che ha richiesto la condanna del Siracusano ad anni 2 e mesi 6 e l’assoluzione per Pagano) le condotte di Siracusano miravano a delegittimare l’avvocato Ugo Colonna e a favorire l’imputato principale del processo in corso a Catania, l’ex magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, Giovanni Lembo, poi condannato a cinque anni di reclusione. Il Tribunale di Messina, dopo gli interventi degli avvocati Veneto e Amendolia, accogliendo le richieste dell’accusa ha condannato Siracusano a un anno e otto mesi e assolto il Pagano. Il Tribunale ha anche condannato il Siracusano al risarcimento dei danni nei confronti dell’avvocato Ugo Colonna, costituitosi parte civile con l’avv. Giovanni Li Destri.

Le relazioni pericolose tra la Calcestruzzi spa e la trivella di Cannitello.


Che collegamento esiste tra l’ennesima inchiesta giudiziaria con tanto di arresti di boss e di funzionari e dirigenti della Calcestruzzi s.p.a. ed una trivella incendiata a Cannitello (RC)?

Che relazione esiste tra le sette aziende siciliane che producevano cemento poste sotto sequestro ed il mezzo meccanico che stava effettuando dei sondaggi geologici in un cantiere che il governo ha spacciato come il primo per la realizzazione del ponte sullo stretto?

Da un lato la mafia che cerca di imporre negli appalti pubblici e privati, la fornitura del calcestruzzo prodotto dalla Calcestruzzi s.p.a, con metodologie mafiose e lucrando pure sulla qualità del prodotto, che attraverso un processo informatico veniva impoverito e quindi depotenziato.
Dall’altro lato dello stretto le ‘ndrine che lanciano un chiaro segnale a chi di dovere per “ricordare” che loro ci sono e che senza loro non si può fare nulla.

La criminalità organizzata dunque agisce prima sul versante finanziario usando i suoi immensi patrimoni investendo e facendo attività d’impresa e poi utilizzando i metodi arcaici dell’intimidazione classica con tanto di fuoco e fiamme.
Le relazioni, i collegamenti insomma sono rappresentati dalle convergenze di interessi sugli appalti. 

Strade, autostrade e grandi opere. 
Appalti comunali, provinciali e regionali per finire con ministeri e comunità europea. 
Più sono difficili e più il guadagno è assicurato. 
I colossi internazionali delle costruzioni non fanno paura.
Le attenzioni della criminalità non si fermano più al subappalto del movimento terra, della fornitura di inerti o servizi di vigilanza. 
Si può puntare più in alto. 
Si comprano azioni e si controllano consigli di amministrazione. 
Poi di tanto in tanto, se serve, si ricorre al picciotto che incendia o spara.

Si sottoscrivono davanti alle telecamere protocolli di legalità tra ministero, prefetture ed aziende appaltanti. 
Si controlla la tracciabilità dei flussi finanziari e si definiscono le white list delle aziende con i requisiti in regola.

La mafia e la ‘ndrangheta osserva quasi con strafottenza questi vani tentativi di “blindare” e rendere inaccessibili le loro fonti di guadagno. 
Cosa nostra ha costruito ovunque in Italia, ha ucciso e distrutto, è colpevole di stragi e gestisce milioni di euro. La mafia se ne fotte. Perché loro nelle white list se vogliono ci arrivano comunque.

La mafia ha trattato allo stesso tavolo con lo stato imponendo i suoi termini, ha mandato per aria magistrati scomodi ed ha a libro paga interi pezzi di stato che gli consentono di depistare indagini ed aggiustare sentenze. Si è aggiudicata appalti ovunque e tiene in pugno politici e funzionari. Gestisce ospedali e cliniche, università e la grande distribuzione. 
Uscire allo scoperto o restare sommersa è solo un problema di opportunità. 
Ha conquistato quell’area grigia, quella parte immensa del nostro paese attraversata dal tarlo dell’illegalità e dell’impunità che risiede ovunque.

Intanto noi ci teniamo viadotti e ospedali che alla prima scossa di terremoto si sgretoleranno come polistirolo e famiglie sempre più potenti e insite nel sistemo economico mentre plauderemo ai proclami di ministri, sottosegretari e presidenti che ci diranno che da oggi in poi sarà diverso. 

Nella fitta ragnatela di relazioni e collegamenti che lega insieme, la mafia e gli affari, il picciotto con l’accendino ed il manager con la valigetta, il colosso europeo del cemento e la trivella di Cannitello,  anche la reclame politica dei governi di turno è un elemento fondamentale, come lo è una battuta di un attore scritta sul copione di una farsa.

Alla finestra.


Stare a guardare.
Non partecipare più se non passivamente, da spettatore scettico e critico.
Alzare la testa, voltarla a destra ed a manca per osservare ogni movimento, coglierne il significato o l’assoluta illogicità.
Affacciarsi  ad una finestra con i gomiti appoggiati al davanzale e di sotto la vita che scorre.
Chi cammina svogliatamente e chi incede deciso, chi corre e chi passeggia lentamente. Tutti in direzioni diverse, opposte o come formiche verso il buco nella terra. Chi sta seduto al tavolino del bar e osserva superbo la piazza centrale. Ad un palo qualcuno si appoggia con la spalla per fumare una sigaretta, poi la lancia tenendola tra pollice ed indice per fare canestro nella fioriera spoglia in cemento davanti a lui.
Ognuno si muove seguendo una sua logica, apparentemente libera ed arbitraria, seguendo in fondo un moto preordinato. Segue la logica delle cose. Un disegno molto vasto e complesso che racchiude dentro se, ognuno di noi.

Ci crediamo liberi ma seguiamo rispettosi il canovaccio che regola tutto. 
Anche il mio stare a guardare è senz’altro un pezzo del copione che hanno scritto per me. Minchia!
Mi faccio meno illusioni adesso mentre accendo un’altra sigaretta. E’ tutto preordinato. Non c’è verso di cambiare.
Vedo un paese allo sbando che non tenta neanche più di cogliere le occasioni. 
Non vuole più scegliere sembrerebbe. O forse non può operare alcuna scelta poiché questa attività richiederebbe una alternativa che tanto non c’è.

Continuano a vincere i Forti che diventano sempre più Forti e per questo sempre più arroganti.
Come la teoria del piano inclinato, che regola vuole, venga inesorabilmente percorso da una data biglia dal suo punto più alto verso il punto più basso. E’ legge!
Ed anche se così non fosse, cioè se la legge fisica ne regolasse la direzione in modo opposto, i Forti sempre più Forti la cambierebbero, riuscendo così ad apparire sempre più invincibili agli occhi di tutti, riuscendo a farla arrivare sempre e comunque al fondo questa cazzo di biglia, che tra l’altro ai Forti sempre più Forti della lucida pallina non gliene frega niente.
Ma tutti li esigono così, Forti sempre più Forti, pronti a non fermarsi davanti a niente e nessuno. E’ una questione di principio.
Ed allora che ci faccio io, qui fermo a guardare?
Continuo a fare il gioco dei Forti sempre più Forti?

Cazzo, ho un idea! 
E se mi sdraiassi lungo la corsa della pallina per bloccarla? Che poi magari neanche ci riuscirei da solo.
E se ci mettessimo in tanti con la schiena sul pavimento a formare un muro, che non ti dico fermarla la pallina, ma almeno deviarla?
Pensaci! Unirsi tutti insieme per cambiare il corso delle cose!
I deboli sempre più deboli contro i Forti sempre più Forti.

Il posacenere in ceramica che tengo sul davanzale mentre sto a guardare, ora è pieno di mozziconi mezzi schiacciati ed il pacchetto di sigarette è vuoto e schiacciato pure lui.
Basta restare a guardare. Basta buche da suggeritore e false libertà. 
E’ ora di cambiare. Tutti.
Chiudo le imposte e scendo giù!
Vado a comprare le sigarette.

lunedì

28 Aprile 2010 presentazione del libro "I Padrini del Ponte".








Mercoledì 28 aprile 2010 dalle ore 17:00 alle 20:00 al Salone degli specchi della Provincia Regionale di Messina si terrà la presentazione del libro “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” (Edizioni Alegre, Roma, costo 14 euro).
Il volume, sulla base di una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, fornisce una sistematizzazione di innumerevoli denunce e indagini sugli interessi criminali che ruotano attorno alla costruzione del Ponte sullo Stretto.
La prefazione è stata curata da Umberto Santino del Centro Siciliano di Documentazione Antimafia “Giuseppe Impastato”.
Alla presentazione parteciperanno l'autore, Antonio Mazzeo ed il curatore della prefazione.
L'organizzazione dell'evento è a cura della Rete No Ponte.

sabato

Sonia Alfano e Giuseppe Lumia al fianco di Fabio Repici



A Barcellona Pozzo di Gotto sono cresciuta e lì venne ucciso mio padre, l’8 gennaio 1993. Seppure i miei impegni mi tengono spesso fuori dalla Sicilia e dall’Italia, distrarmi da quel che accade a Barcellona Pozzo di Gotto mi è impossibile. Ho letto con una certa angoscia quanto scritto nei giorni scorsi da Fabio Repici e non posso, oggi, trattenermi dal dire esplicitamente alcune cose.

La prima è questa. Fabio non è stato solo il mio avvocato (e di altri innumerevoli esponenti del fronte antimafia: Salvatore Borsellino, Peppe Lumia, Saro Crocetta, la famiglia Campagna, la famiglia Manca, Antimafiaduemila, Gioacchino Genchi ecc.); è stato uno dei pochissimi a intestarsi in provincia di Messina certe battaglie da cui in troppi sono pavidamente fuggiti. Ricordo il mancato scioglimento per mafia dell’amministrazione comunale di Barcellona P.G., le deviazioni istituzionali del R.o.s. dei carabinieri (vedasi la protezione della latitanza barcellonese di Nitto Santapaola), le deviazioni giudiziarie del rito peloritano, gli scandalosi fatti dell’indagine Tsunami (con il pesante coinvolgimento di due magistrati, Antonio Franco Cassata e Olindo Canali) e molto altro ancora: non ho visto tanti altri unirsi a noi. I nomi li ha già fatti Fabio: quello di pochissimi altri, o di nessuno, è da aggiungere.

Però il nostro impegno ha portato visibili risultati: Olindo Canali è dovuto scappare ignominiosamente dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto; l’indifendibile figura del Procuratore generale di Messina, Antonio Franco Cassata, è stata finalmente conosciuta e apprezzata (cioè disprezzata) in tutto il territorio nazionale; dieci giorni fa una rappresentazione teatrale a Barcellona Pozzo di Gotto ha dato finalmente voce a mio padre, a Graziella Campagna, ad Attilio Manca e ad Adolfo Parmaliana, e Cassata e Canali non hanno potuto farsi vedere, perché altrimenti avrebbero corso il rischio di essere cacciati a pedate a furor di popolo.

Eppure, oggi Fabio Repici viene citato innanzi all’Autorità giudiziaria proprio per quello che ha fatto per tante vittime di mafia. È uno scandalo, il mondo moralmente a testa in giù. Anche su questo voglio dire alcune cose precise. Sono rimasta esterrefatta nel sapere che ad assistere il frate appartenente ad una delle famiglie mafiose più potenti dell’intera Sicilia sia l’avv. Fausto Amato. Mi verrebbe da sperare che non sia vero. Perché il nome dell’avv. Fausto Amato fino ad oggi è stato noto per essere quello di un professionista che ha spesso assistito parti civili in processi di mafia ed è stato anche il legale di autorevoli esponenti nazionali dell’antiracket. E allora mi chiedo: come si conciliano quelle posizioni con la querela nei confronti dell’unico avvocato che in provincia di Messina ha dato l’anima nella lotta alla mafia, senza fare sconti a nessuno? Perché se le cose si conciliano allora la realtà è peggiore di ogni immaginazione.

E questo mi consente di dire alcune cose sull’antiracket “alla barcellonese”. Il 12 aprile sarebbe dunque un importante esponente del governo Berlusconi, Alfredo Mantovano (quello che vomitò insulti contro i giudici che condannarono per mafia Marcello Dell’Utri), ad inaugurare la nascita dell’associazione antiracket a Barcellona Pozzo di Gotto. Ma ricordo bene o poco tempo fa l’on. Mantovano e il presidente della federazione antiracket Giuseppe Scandurra conferenziavano a braccetto senza pudore con il Procuratore generale di Messina Antonio Franco Cassata? Ma ricordo bene o la federazione antiracket è stata uno dei più arcigni nemici di Adolfo Parmaliana, alla cui memoria nessuno dei suoi esponenti ha ancora chiesto scusa? Io ricordo bene: e allora che razza di entità è la nascente associazione antiracket barcellonese? Dirà chiaramente una volta per tutte che gente come il Procuratore generale Cassata deve essere allontanata? Dirà che l’imprenditore Maurizio Marchetta, l’amico del boss Salvatore Di Salvo, è indegno di autoproclamarsi vittima di mafia e dovrebbe, invece, confessare tutte le sue malefatte? Dirà che gente come Sebastiano Buglisi dovrebbe vergognarsi per aver querelato Fabio Repici? Rivolgerà, anzi, pubblicamente un grazie enorme per quanto fatto da Fabio Repici contro la mafia barcellonese ed i suoi referenti istituzionali?

Perché, in caso contrario, sarebbe meglio evitare le parate. Sarebbero solo un’offesa per i familiari delle vittime di mafia, che con coerenza continueranno a stare al fianco di Fabio Repici, insieme a tutto quel mondo che fa dell’impegno antimafioso pratica quotidiana.
 Sonia Alfano (Fonte: www.soniaalfano.it, 1 aprile 2010)



Caro Fabio,
 ho letto con attenzione il tuo intervento: ho colto le tue amarezze, ma allo stesso tempo la tua determinazione ad andare avanti in un contesto così difficile come quello barcellonese; ben descritto, come sai, nella Relazione di Minoranza del 2006 della Commissione Parlamentare Antimafia.

Un contesto che non finisce mai di stupire, dove i legami tra Cosa nostra e la società, l'economia e la politica sono fitti. Relazioni intermediate spesso dal ruolo, ancora tutto da sviscerare, dei servizi segreti deviati e di certa magistratura; emblematici i ruoli del dott. Olindo Canali (su cui si hanno notizie dei primi risultati del CSM) e del Procuratore Generale dott. Cassata. Su di essi ho prodotto interrogazioni severissime, che danno riscontro alle tue stesse denunce.

Senza mai dimenticare il famoso Rosario Cattafi, che rimane sempre un nodo da sciogliere per dare credibilità e forza al cambiamento.

Come sai, condivido pienamente i tuoi giudizi espressi pubblicamente sul famoso Frate Ferro, parente di esponenti mafiosi di primo piano, legatissimi a Provenzano; stesso giudizio ho maturato ed elaborato sull'imprenditore Buglisi Sebastiano per le sue gravissime contraddizioni sulle mancate denunce del clan Lo Piccolo, a Palermo.

Stessa considerazione ti esprimo sulla vicenda che riguarda Maurizio Marchetta ed il Comune di Barcellona; più volte me ne sono occupato e in diverse occasioni ho sollecitato la stessa autorità giudiziaria a prestare una particolare attenzione alla genuinità e completezza delle sue rivelazioni. Non vorrei che nelle sue denunce si facessero sconti, a partire dagli esponenti dei poteri criminali (su tutti il noto boss Sem Di Salvo) e dai politici della comunità di Barcellona.

Sai anche che stimo moltissimo l'associazionismo antiracket, una realtà tra le più vive e decisive della lotta alla mafia nel nostro Paese. Troverò il modo di confrontarmi con loro per evitare che si possano commettere quegli errori che tu stesso paventi nella nota. Ma non basta: intorno ai quattro casi (Alfano, Campagna, Manca e Parmaliana) che ancora oggi ci dilaniano, il nostro impegno è e dovrà essere sempre più deciso. Su di essi la tua esposizione è massima e li considero delle sfide tuttora aperte, per dare credibilità alla lotta alla mafia in un territorio che deve fare ancora un lungo cammino di legalità e di sviluppo.

Caro Fabio, considerami al tuo fianco anche in sede processuale, se lo riterrai opportuno, e con il mio ruolo politico sul territorio, nel Parlamento e nella stessa Commissione Parlamentare Antimafia.

Il Gattopardo barcellonese è una brutta bestia, dalle diverse teste, pronta a mistificare tutto; ma sono sicuro che non ce la farà, perchè il cambiamento è comunque in atto e comunque arriverà sempre più forte e condiviso, così come la giustizia e la possibilità di liberarci di un sistema economico-politico-istituzionale  mafioso, devastante e ancora potentissimo.
Giuseppe Lumia (Roma, 2 aprile 2010)