Ancora una volta la provincia di Messina si riscopre terra di latitanti.
La provincia “babba” sembra il miglior posto dove nascondersi.
Sia cosa nostra che la ndrangheta si è servita negli ultimi anni dell’appoggio delle famiglie locali per nascondere i propri boss.
Dalla fascia ionica a quella tirrenica ci si adopera per proteggere pericolosi boss in fuga.
Tanto a Messina si può fare tutto…
Per l’ennesima volta si riafferma l’esistenza di un vero e proprio crocevia di interessi tra le cosche siciliane e quelle calabresi.
Rileggendo la storia della criminalità organizzata in Sicilia e Calabria è quasi impossibile non scontrarsi per un motivo o per un altro nella provincia dello stretto.
Senza rumore, con pochi spari e con tanti appoggi, le famiglie locali sono ormai divenute il cuscinetto tra gli interessi delle mafie più pericolose al mondo.
Messina. Il sostituto procuratore della Dda di Messina, Giuseppe Verzera, ha aperto un'inchiesta per capire chi ha dato supporto alla latitanza di Paolo Rosario De Stefano, 33 anni, il latitante presunto boss della 'ndrangheta arrestato ieri a Sant'Alessio Siculo (Messina) dalla Squadra mobile di Reggio Calabria.
Gli investigatori vogliono capire chi ha contrattato l'affitto della villa e dello scooter per conto del boss e chi ha coperto la sua identità.
Che tra Roy Paci e la Fiera di Messina non scorra buon sangue è cosa vecchia. Che Roy Paci sia anche un artista che non teme di dire ciò che pensa è altrettanto risaputo. Il buon Fabio D’Amore commissario dell’Ente Fiera di Messina doveva saperlo. Quando, qualche anno addietro, la fiera venne sponsorizzata dalla società Ponte sullo stretto s.p.a. era prevista la sua esibizione, fu cancellata prontamente dopo il divieto posto dagli organizzatori di accogliere sul palco Renato Accoranti (uomo simbolo del movimento NO al Ponte). Roy Paci non volle scendere a compromessi.
Lui oltre ad essere un grande artista è un uomo dalla profonda coscienza civile. Roy Paci e gli Aretuska non si esibirono. Il buon Fabio D’Amore doveva saperlo.
Roy Paci nelle sue canzoni ha manifestato più volte di essere contrario alla realizzazione del ponte. Più volte lo abbiamo anche citato in questo blog. Il buon Fabio D’Amore doveva saperlo.
Insomma il profilo dell’artista che l’ente fiera ha voluto si esibisse durante le serate della campionaria era di pubblico dominio. Nel 2008 lo stesso Roy Paci chiamato da un’amministrazione di centro destra ad esibirsi durante una festa locale non ha esitato ad inserire nell’inciso di una sua famosa canzone il ritornello “Vasa Vasa s’inniu a casa” riferito ovviamente a Totò vasa vasa Cuffaro.
Anche in quell’occasione venne accusato da un lato di incassare i soldi da una giunta in cui c’era l’UDC e dall’altra di “sbeffeggiare” il suo massimo esponente.
Come se a casa mia invitassi Vittorio Sgarbi e gli chiedessi, visto che lo pago, di parlare bene dei comunisti.
Insomma i termini di un contratto legale dovrebbero essere chiari ai contraenti. Da una parte si chiede la prestazione professionale di un artista dietro compenso di una somma, dall’altra l’artista si impegna ad eseguire la prestazione così come è nel suo stile con un minimo di durata. Stop.
Quei soldi che sono alla base dell’accordo non implicano nessun cambio di identità, ideologia e religione. Non si comprano gli artisti ma si fanno esibire. Tutto questo Fabio D’Amore doveva saperlo.
Non è possibile adesso ricorrere alle vie legali perché un artista ha ospitato un esponente del movimento NO al Ponte in contrasto con l’ideologia del committente. Non si può tirare in ballo i “motivi di ordine pubblico” quando a Messina il movimento No al Ponte anche durante le manifestazioni più clamorose ha sfilato in festa con bambini ed anziani.
La tutela dell’immagine della Fiera di Messina è poi una scusa banale. La fiera di Messina è fatta da e per i messinesi tutti, sia quelli che il ponte lo vogliono che quelli che continuano a dire NO. Questa si chiama dittatura.
L’aggressione verbale poi del “committente” nei confronti dell’ospite in camerino non può essere tollerabile. Se il buon Fabio D’Amore fosse convinto di aver subito un torto, quale amministratore pubblico, quindi per citare Beppe Grillo, nostro dipendente, non può permettersi di attaccare dei cittadini che senza alcuna violenza e prevaricazione, anzi con la calda accoglienza del pubblico dietro invito dell’artista, hanno manifestato delle opinioni durante una serata di spettacolo
Pensate ad un sindaco che vi aggredisce verbalmente perché ritiene che la vostra auto sia d’intralcio alla circolazione. Caso mai vi farà fare la multa, se realmente ci sono le circostanze, altrimenti amen. Invece no, il buon Fabio D’Amore ha ritenuto necessario scagliarsi con agenti di sicurezza al seguito, contro Renato Accorinti, reo secondo lui di aver manifestato opinioni contrarie alle sue.
Il buon Fabio D’Amore dimentica che l’esibizione di Roy Paci e degli Aretuska non è stata pagata con i suoi soldi, ma con quelli dei cittadini. Lui deve limitarsi ad amministrarli non a fare politica o peggio ancora censura con i nostri soldi.
Io da messinese sono molto deluso. Io da siciliano sono anche incazzato. Io da italiano sono molto preoccupato. Io chiedo scusa a Roy Paci per l’ennesimo attacco da parte di miei concittadini nei suoi confronti. Foto di enrico di giacomo
A un cettu puntu della vita t'arritrovi ca Nun c'è chiù liggi nun c'è cchiù un filu d'onestà Ca pi putiri travagghiari cià liccari u culu soprattutto A chiddu ca ci l'ha fitusu tintu e ruttu Cu da gran facci i vastasu,ca mi fa schifu a taliallu Mi fa scattiari,mi manna a farinculu u sangu E sti bastaddi ca facci i porcu allicchittatu u sai Sanu manciatu tutti cosi macari i soddi mei Chiddi di la mò famigghia,chiddi di la to famigghia Chiddi di li piscatori,chiddi di i muraturi sanu sucatu macari i lacrimi di puvireddi sana ittatu comu e porci e a cu pigghia pigghia Ca pi parrai semu boni lu sai Ma poi nei fatti sunu sulu sempri guai (No Quiero Nada – Roy Paci Aretuska)
Seguendo la strada statale 113 che da Messina porta a Palermo lungo la costa tirrenica della Sicilia si affacciano centinaia di paesini e cittadine.
Di fronte il mare ed alle spalle le colline ed i monti coperti di rari boschi, terrazzamenti, pascoli e steppa mediterranea.
Piccoli centri abitati uno accanto all’altro.
Attraversati da torrenti si distendono verso il mare dove ora sorgono palazzine nuove di piccoli appartamenti estivi.
Paesi con la piazza, la chiesa, la stazione dei carabinieri e la farmacia rurale.
Paesi in cui, a secondo del vento, si può sentire l’odore del mare o il profumo dei ciuffi di ginestra e leccio che spuntano tra i monti coperti di arenaria.
Barcellona Pozzo di Gotto è uno di quei comuni nati dall’accorpamento di piccoli borghi nel 1843.
Ora Barcellona Pozzo di Gotto è una cittadina che abbandona pian piano la sua natura agricola per diventare più commerciale.
Gli alberi storti d’ulivo ed i filari di vite, gli alberi profumati di agrumi e le piante di pomodoro nelle campagne vicine non rendono più come una volta.
- Qui adesso è cambiato tutto… oramà non si capisce chiù nenti
Giovanni ha 72 anni ed è nato su queste colline.
Ha il volto segnato da rughe profonde e gli occhi scuri e ancora svegli.
Lui vive di quel che coltiva in una casupola a dieci minuti dal centro, dove due volte la settimana si reca per comprare le poche cose che gli occorrono per vivere e i quotidiani che l’edicolante gli conserva.
Ogni sera prima di andare a dormire trascorre un’ora a leggere e ad ascoltare la radio.
Gli piace informarsi e provare a capire con la sua semplicità ciò che accade nel mondo.
Ha le galline ed i conigli. Nel terreno attorno alla casa con i muri a secco coltiva a secondo della stagione fave, piselli, pomodori e melanzane. Proprio davanti alla porta c’è un albero di sorbo.
-I’ sorba dicìuno l’antichi chi portano furtuna.
-Io mi ricoddu quel iornu. Era invernu e mancavano ‘na chinnicina i iorna pa’ festa i San Sebastiano. Già qualcuno facia a’ ciaurrina.
-Tri coppa sintia.
8 Gennaio 1993 viene ucciso Beppe Alfano.
Professore di educazione tecnica e collaboratore del quotidiano “la Sicilia”.
Era a bordo della sua auto a poca distanza da casa.
Per tutti Beppe Alfano era un giornalista, un cronista scomodo e troppo curioso che da vicino osservava e denunciava l’evoluzione della malavita locale.
La mafia a Barcellona Pozzo di Gotto esiste ed è potente.
Lui lo sapeva bene. Legata al mondo della politica, degli affari e della massoneria.
Non era un nucleo isolato. Le famiglie cittadine godevano della collaborazione delle cosche degli altri comuni vicini ed avevano legami forti con cosa nostra palermitana e catanese.
Dopo la sua morte si alzò il solito polverone che avvolge gli omicidi degli uomini perbene in Sicilia.
Delitto passionale, debiti di gioco e ogni sorta di letame poteva essere gettato sulla memoria del coraggioso giornalista.
Ma Beppe Alfano è stato ucciso dalla mafia.
Ne sono convinti tutti. Anche gli inquirenti.
Il problema è che Alfano aveva “sconcicato” troppi potentati. Troppi affari.
La gestione criminale dell’AIAS, una vicenda legata alle truffe degli agrumi ed infine negli ultimi giorni anche la presunta latitanza in città di Nitto Santapaola.
Subito tutto fa pensare che il movente vero sia la sua inchiesta sull’AIAS.
Ne sono convinti familiari e forze dell’ordine.
Ma nel frattempo anca la pista della latitanza di Santapaola viene seguita dai nuclei speciali dei carabinieri, che da lì a poco giungeranno alla cattura.
L’inchiesta sull’omicidio Alfano viene affidata ad Olindo Canali. Un magistrato giovane e coraggioso amico del giornalista.
Chiaramente la pista da battere è quella dell’AIAS.
Passano gli anni e Barcellona si scopre una città con grandi “entrature” mafiose.
Omicidi e relative inchieste disegnano il profilo di una piovra con tentacoli ramificati in ogni settore.
“Mare nostrum”, “tzunami” e i contributi dei vari collaboratori squarciano il velo che ricopre le attività illecite delle famiglie locali.
Arrivano le condanne per l’omicidio Alfano. Giuseppe Gullotti e Antonio Merlino finiscono in carcere. Anche sul PM che ha condotto il processo arrivano macchie indelebili. Tutto si sporca e tutti cercano di ripulire la propria figura.
Poi il collaboratore Avola ri-scopre la pista delle arance. Un traffico che univa barcellonesi e catanesi.
Ad eseguire l’omicidio secondo il pentito catanese sarebbero stati sempre Pippo Gullotti e Antonio Merlino. Ma il motivo sarebbe stato diverso.
-o’ pi l’aias o pi l’aranci comunque l’avianu ammazzari. A farlo comunque sempre genti di ca’ avia essiri.
-Ora si scannanu supra i gionnali pi’ sapiri pi quali motivu u’ mazzaru, ma tantu pensu chi non è pi un sulu mutivo ma pi’ tutti. Se uno è scomodo va livatu i mezzu.
Arriva anche il suicidio del professor Parmaliana con le sue denunce a mischiare ancora le carte.
Anche lui sapeva tanto. Anche lui aveva cominciato a capire.
A Barcellona non si sa più chi sono i buoni e chi i cattivi.
Magistrati amici di mafiosi e avvocati che ricercano la verità.
E’ una guerra tra fazioni trasversali.
Tutte spinte dalla ricerca della verità e della giustizia.
Ma Don Giovanni dalla sua casupola non ci capisce più niente.
-Non si parra di tribunali e processi, ma di memoriali e lettere di avvocati. Parra a figghia di Alfano e ci rispunni l’avvocato. Poi parra u giudici e ci rispunni u giornalista. ‘Nta sti muntagli nasciunu suli l’alberi di zorba. E’ un fruttu anticu dal sapore magnificu. Na’ vota si dicia “ cu lu tempu e cu la pagghia maturunu li zorba”.
Quell’albero di sorbo davanti l’uscio ha già le bacche. Sono ancora verdi. In autunno verranno raccolte quando il loro colore sarà rossastro ma solo dopo averle fatte maturare nella paglia, nell’esatto momento, o come diceva A. Dumas, nello stadio di mezzo tra la maturazione e la putrefazione saranno buone da mangiare.
-Si li zorba si manciunu viddi fannu ‘mbriacari. Si si manciunu fracidi diventano velenu. Ci voli tempu, pacenza e cura. Ma quannu sunnu pronti sunnu nu’ zuccuru. Pi capiri qualchi cosa di sta ‘mmazzatina sava spittari. Cu pensa di canusciri a verità ora è sulu picchi l’alcol di zorba ‘u fici ‘mbriacari. Quannu quasi tutto sta marcennu nesciravi fora a vera verità.
La vicenda Alfano è l’espressione tipica del paradosso siciliano.
La mafia uccide un uomo perbene, che con coraggio e tenacia la combatteva.
Poi il “sistema” fa il resto.
Insabbia, devia e confonde.
Schizza fango da più parti. Tutto si sporca per non far vedere il pulito.
La sera dell’omicidio c’erano a indagare anche i servizi.
C’erano probabilmente gli stessi uomini che oggi sono coinvolti nei depistaggi sulle stragi del ’92?
Da Barcellona partì il telecomando per la strage di Capaci.
Alfano parlava spesso di una Super Loggia.
Alfano aveva toccato potenti e notabili, mafiosi e massoni, superlatitanti e grandi affari, politici e picciotti. Alfano sapeva troppo.
Sapeva e raccontava troppo.
Beppe Alfano è stato ucciso dalla mafia sedici anni fa.
Forse per uno o forse per più motivi.
Ma evidentemente della sua eliminazione ne hanno tratto giovamento in tanti.
Il Tribunale ha sancito una verità, con colpevoli e moventi.
Forse non è tutta la verità. Può essere.
Per alcuni era quella voluta da una fazione.
Per altri era l’unica perseguibile.
Intanto si continua ad accusare o a difendere.
Si accusano magistrati di collusione, parenti di carrierismo, avvocati di doppiogiochismo.
Si continua a gridare la propria verità.
Forse come dice Giovanni, sono in preda ai fumi dell’alcool sprigionati dalle sorba verdi.
Per la verità bisognerà aspettare che si arrivi quasi fino al marcio.