Il messaggino arrivato sul telefonino aveva avvisato che
oggi le temperature sarebbero state particolarmente alte.
Uno di quegli sms che
manda il Comune per avvertire dell’allerta meteo e che le scuole sono chiuse.
Quaranta gradi.
Insomma anziani e bambini a casa.
Chi deve lavorare si
prepari a sudare fino a perdere i sensi.
Uno di quei giorni da trascorrere immersi nelle fresche
acque dello stretto.
Ma prima il dovere.
Davanti l’armadio sono stato più volte tentato di
indossare i miei amati bermuda e la mia magliettina di cotone leggero e invece
niente, pantalone doverosamente lungo e camicia azzurra a maniche lunghe.
Arrivato in ufficio ho subito notato la faccia dei miei
colleghi, quella di chi deve lavorare il giorno in cui la propria nazionale
gioca la finale dei mondiali.
La processione davanti la macchinetta delle bevande
fresche era iniziata prestissimo, tanto da temere già alle dieci l’esaurimento
di ogni liquido contenutovi.
- Ha chiamato il dottor M., tra dieci minuti è
qui. Mi raccomando è importante convincerlo.
Il capo mi informava dell’imminente arrivo del
responsabile per il Sud Italia di una importante azienda che poteva divenire
nostra cliente.
Sapevo dell’importanza della possibile acquisizione di
quel contratto.
Avrei dovuto convincerlo a tutti i costi. Mi si chiedeva di
essere brillante e sicuro, affidabile e concreto. Dovevo scioccarlo.
Ma c'era troppo caldo.
La sedia in similpelle era bollente così come la
scrivania, le penne, il telefono e pure le centinaia di fogli di carta sparsi
sulla scrivania, tanto da farmi paventare una sorta di autocombustione. Sarei
morto avvolto tra le fiamme di mesi di documenti che non ero riuscito a
sistemare.
Morte giusta per un disordinato avrebbe detto il capo.
La camicia mi si era afflosciata sul busto e le chiazze
umide apparivano scure ovunque. Stavo sudando fermo, come se stessi facendo i
100 metri.
Ero madido di sudore (l’unica consolazione in tanta
sofferenza era poter usare l’aggettivo “madido” che mi piace da morire).
Dal cancello entrò un’auto scura e si diresse sicura verso
lo spiazzo davanti il mio ufficio.
Audi A3 Sportback grigio Daytona perla.
E’ lui!
Scende un uomo dall’aspetto distinto e di un’età
indefinita, in abito scuro con la cravatta e l’auricolare senza fili.
Meno di quarant’anni senz’altro, ma quanti con esattezza
era impossibile da stabilire.
Mi alzo dalla poltrona e mi dirigo verso quello che doveva
essere senza dubbio il responsabile per il Sud Italia dell’importante azienda.
Lui chiude la portiera facendole fare il rumore che le
portiere di quelle auto fanno, spum!
Il rumore delle buone auto, quelle che almeno ci vogliono
40 mila euro.
Io ero una pezza. Sudato e sbracato, la camicia che dietro
mi usciva dai pantaloni e le maniche con un accenno di arrotolatura.
Lui no.
Lui aveva la camicia che sembrava appena stirata,
la cravatta perfettamente annodata e la giacca ben abbottonata, ma soprattutto
aveva la pelle fresca e asciutta come quella delle pubblicità dei pannolini per
bambini. Un fiore!
Vigorosa stretta di mano e presentazione di rito con tanto
di sorriso.
Mani curate le sue. Mani da responsabile per il sud Italia
proprio. Magre, asciutte e ben tornite. Mani da touchscreen.
Assai diverse
dalle mie un po’ paffute e con dei calli ormai cronici sul palmo a causa
evidentemente dell’acceleratore della vespa che è un po’ duro.
Qualche attimo dopo aver lasciato la sua mano ed averlo
invitato ad accomodarsi in ufficio mi è arrivata la ventata del suo profumo,
dolce e speziato. Come minimo Eau Sauvage de Dior.
Sicuramente il dottor M. era appena uscito dal suo albergo
e da lì entrato in auto con l’aria condizionata a palla senza sottoporsi ad
alcun rischio di azionare neanche una delle sue tre milioni di ghiandole
sudoripare sparse per il corpo che invece in me stavano come in una festa di
giochi d’acqua tentando in modo secondo me vano, di far calare la temperatura
corporea.
Questo pensavo.
Ritenevo quindi che adesso il dottor M.
inevitabilmente esposto alle temperature sahariane ed all’elevato tasso di
umidità che affliggeva me ed i miei poco laboriosi colleghi si potesse rivelare
come uomo tra gli uomini.
La sua immagine di perfezione si sarebbe appannata
per arrendersi alle condizioni ambientali che stavano affliggendo tutti gli esseri
viventi in questa desolata parte di mondo.
Avrei anche tentato di forzare la mano.
Gli avrei fatto
visitare tutta l’azienda e se tutto questo non fosse bastato l’avrei fatto
entrare nel forno della verniciatura delle auto.
Stava seduto davanti a me alla scrivania.
Niente aria
condizionata, niente correnti d’aria ma solo la stagnante afa immobile ed
avvolgente.
La mia camicia mi avvolgeva adesso come un sudario. Il coibentato
del tetto assorbiva i raggi solari all’esterno per restituire all’interno temperature
da fonderia.
Lui stava eretto e si era concesso solo di liberare il primo
bottone della giacca.
La sua, da seduto, era la postura che si vede nelle
dispense illustrate delle sedie da ufficio. Quella cazzo di camicia gli stava
perfettamente aderente e senza pieghe in qualunque posizione.
Si chinò per aprire la borsa porta documenti e ne trasse
un portatile nero lucido che si accese sotto i suoi polpastrelli in 23 secondi
netti.
I nostri computer in ufficio neanche li spegniamo la notte per evitare di
aspettare tre ore la mattina seguente.
In modo quasi suadente chiesi se voleva visitare
l’officina e gli altri uffici.
Lui alzo la mano destra per fermarmi.
- Sono sicuro che sarà una visita utile ma prima devo
verificare la vostra solidità ed a questo proposito ho alcune domande da
rivolgerle in merito ai dati di bilancio che mi ha inviato.
Da quel momento in poi il dottor M. mi ha, come una ragno
dal dorso rosso fa con le sue prede, conficcato il suo aculeo dentro la carne per
tentare di liquefare il contenuto del mio corpo fino a rendere tutto l’interno
una poltiglia simile ad un frullato di banane e melone mentre dalle sue fauci venivano
espulse centinaia di metri di ragnatele che mi avvolgevano fino al
soffocamento.
Il tutto ovviamente causando un innalzamento della temperatura corporea fino
a raggiungere una stadio catatonico.
Fatturato in diminuzione, oneri finanziari troppo alti,
possibile chiusura in perdita del bilancio, costi del personale eccessivi. Una
nenia di inconvenienti mi stava facendo calare la pressione arteriosa
portandola sulla soglia di quella dei rettili.
Lo guardavo e sorridevo stentatamente.
Biascicavo i miei
soliti si lo so… in effetti è vero pero…
Lui da professionista sapeva di avermi messo alle corde e si
preparava a sferrare l’ultimo attacco.
Asciutto e profumato con i polsini della camicia rigidi
manco fossero di ghisa.
Avrei scommesso lo stipendio che questo in piscina non
aveva mai pisciato!
Si, insomma quella storia che se fai la pipì in piscina
l’acqua diventa rossa.
Io ci ho sempre creduto! Però ogni tanto a piccole dosi e
con immediate nuotate di allontanamento io l’avevo fatta la pipì in piscina.
Il dottor M. sono sicuro mai!
-
Dottor M. guardi che in questa azienda da quando
è iniziata la crisi non è stata ridotta neanche un’unità lavorativa. Stiamo
stringendo la corda ma ce la faremo.
-
A volte è indispensabile ridurre i costi. Salva
un operaio per un po’ per rischiare di dover chiudere e far perdere il lavoro a
tutti.
Chiaro e preciso come il
quadrante del suo orologio. Risposta pronta come quelle del suo computer.
L’implacabilità delle teorie economico-aziendali.
Vaffanculo dottor M.
La partita è persa. Il contratto
non l’avremo mai.
La sua macchina uscì piano dal
cancello con il rumore delle auto che ci vogliono almeno 40 mila euro. Misi 50
centesimi nella macchinetta delle bevande e mi tuffai nella bottiglietta da
mezzo litro di acqua. Ricominciai a sudare.