mercoledì

Il secondo memoriale di Olindo Canali.

Reso pubblico il secondo memoriale di Olindo Canali. 
Quello a cui fa riferimento Fabio Repici nella lettera inviata a alla Corte d'assise d'appello di Messina. Quello che secondo il legale della famiglia Alfano sarebbe stato taciuto dal suo autore.
Ventotto pagine che tracciano le esperienze vissute e le riflessioni che il Pm trae dai fatti criminali di quegli anni. 
L'amicizia con Beppe Alfano, le sue inchieste e i suoi nemici. 
E' del 2005 e rappresenta uno "sfogo" che Canali invia via mail all'avvocato Repici.
Ne riportiamo alcuni stralci apparsi sulla Gazzetta del Sud. 

«… Come ho sopra accennato il quadro a Barcellona non mi era chiarissimo. Non sapevo ancora nulla del passato recente (almeno gli ultimi dieci anni) e non leggevo bene le cose che avvenivano. Alfano mi dava informazioni generali, ma non poteva, ovviamente, scendere nello specifico. Mi disse che aveva fatto anche il cronista sportivo e che aveva lavorato per una televisione locale. Mi parlò di Antonino Mazza come un suo carissimo amico nonché imprenditore dal quale, tuttavia, negli ultimi tempi si era un poco allontanato anche se non mi specificò il motivo. Mi disse che la televisione per cui aveva lavorato era di proprietà di Mazza e che con lo stesso Mazza aveva fatto, tempi addietro, una lista civica con la quale si era presentato alle elezioni (non so di quale anno). Massoneria, Aias, Santalco e soci. I discorsi di Alfano giravano sempre lì e ribadiva i suoi avvertimenti a non fidarmi di nessuno e a chiedere prima a lui se le persone che mi stavano attorno o che frequentavo fossero persone fidate… mi disse che gli uomini politici che giravano intorno all’Aias ed in particolare quelli della Dc e del Psi erano in allarme per l’indagine soprattutto perché temevano finisse, per loro, il tempo dei soldi e delle assunzioni facili e temevano, soprattutto, l’effetto “Mani Pulite”…».

«Verso i primi giorni di dicembre, Alfano mi venne a trovare in Ufficio. Come sempre guardingo. Più che mai guardingo. Chiuse la porta e mi disse di avere avuto notizia che Santapaola fosse a Barcellona o nei pressi di Barcellona. Mi disse che mi avrebbe fatto avere notizie più precise… ovviamente la cosa aveva anche per me interesse, però gli ribadii di non fare pazzie, di stare attento e di non mettersi a fare l’investigatore… mi diceva che poteva stare a Portorosa, ma il luogo mi sembrava fin troppo scontato. Ancora una volta gli dissi di stare attento. Qui dovrei collocare un episodio, ma – devo averlo già detto anche a Rosa Raffa e al Procuratore Croce che mi interrogavano sul punto con il collega Laganà – non ricordo se sia stata una notizia datami da Alfano o se dell’episodio venni a sapere dopo la sua morte. Credo però che l’episodio mi fu raccontato proprio da Alfano. Si trattava di un misterioso incontro avuto da Sonia Alfano durante un viaggio in treno da o per Palermo. Se non ricordo male una signora prese discorso con Sonia ed ebbe a rivelarle qualcosa proprio sull’esistenza o di un pericolo o di un latitante a Barcellona. Il mio ricordo è molto confuso e non ho mai avuto la possibilità di parlarne con alcuno per rinfrescarlo. Tra la prima notizia sulla presenza di Santapaola e la seconda passarono, credo quattro o cinque giorni. Non ricordo se rividi Alfano prima della morte di Giuseppe Iannello, il 17 dicembre. Di certo quell’omicidio preoccupò moltissimo Alfano. Ma non tanto (o così non mi parve) per sé, quanto per la situazione della mafia barcellonese. Mi disse, forse il giorno dopo o due giorni dopo, che Gullotti da quel momento era il capo unico a Barcellona. E che forse aveva scalzato anche gli Ofria. Siamo attorno al 19-20 di dicembre… Rientrai, credo, verso l’1 o il 2 gennaio. Il 3 o il 4 uccisero Aurelio Anastasi, un vecchio amico di Alfano. Lo trovai molto sconvolto sul posto. Scattava fotografie al morto. In un attimo in cui potemmo parlare mi disse che lo conosceva bene e che era un vecchio “camerata”. Quella fu l’ultima volta che vidi Beppe Alfano. Come ho già detto in altre occasioni, il 5 gennaio Alfano mi chiamò invitandomi a pranzo per l’Epifania. Il battesimo della figlia di … mi impedì di andare. Era giovedì. Venerdì sera lo ammazzavano. Questo il rapporto con Alfano. Questo il senso ed il contenuto, ovviamente in generale, delle nostre conversazioni. Ovviamente parlavamo anche di altro. Aveva un’ottima conoscenza del calcio. Quasi da tecnico, direi. E molte volte perdemmo il tempo delle nostre conversazioni parlando anche di calcio. E mi parlò anche delle sorti della squadra di Calcio di Barcellona di cui, se non ricordo male, commentò le partite proprio per quella televisione di Mazza per la quale lavorava. E mi disse che, quella squadra, era sicuramente in mano a qualcuno molto vicino a Gullotti. Ma L’Aias, la massoneria, Santalco, la mafia barcellonese nei termini che ho detto erano l’enciclopedia di conoscenze che Alfano mi aveva messo a disposizione. In uno con le raccomandazioni su chi frequentavo e sulle persone con cui parlavo. L’ultimo capitolo, quello su Santapaola, non ebbe il tempo di raccontarmelo».

«… la convinzione mia ma anche quella dei Carabinieri di Barcellona P.G. andò verso una precisa direzione: l’intreccio Aias, mafia barcellonese, affari barcellonesi. L’accenno fatto a Santapaola in quei primi momenti non mi fece dirigere le indagini verso quella pista, Anche se dopo, molto dopo, un particolare non poteva sfuggirmi: l’abitazione in cui, nel febbraio del 1995 troviamo Gullotti è quello che, da più parti, fu ritenuto essere stato anche il rifugio di Santapaola. Ma questo, in quei giorni non lo potevo sapere. Se erano i Carabinieri a gestire le indagini, vuol dire che i Ros dovevano e potevano intervenire. Sul punto, a distanza di anni, qualche riserva posso farla… i Ros in teoria potevano anche disinteressarsi dell’omicidio. Se un “rinforzo” alle indagini poteva esserci, poteva al massimo arrivare dal Reparto Operativo. Ora leggo così. Ma in quei giorni al presenza del Ros (ma c’era anche la consorella Sco della Polizia) mi sembrò il segno dell’attenzione delle Istituzioni per l’omicidio ed il segno che vi era una forte volontà di indagare. In realtà le cose andarono diversamente» 

«… avevo la sensazione che ormai, le II.TT. o quelle ambientali ovvero i servizi di osservazione e pedinamento servissero quasi esclusivamente ad individuare dove fosse Santapaola. Alfano aveva ragione, come su tutte le cose che mi aveva detto. Santapaola sembrava davvero fosse in zona. I Ros non furono mai espliciti nel dirmelo, ovviamente. Ma la mia sensazione dall’esterno (se esterno può essere un P.M. rispetto alle indagini che dovrebbe coordinare!) era che i Ros mettevano tasselli sempre più precisi o sulle persone che tenevano o avevano tenuto Santapaola ovvero mettevano tasselli sempre più precisi proprio su Santapaola stesso. Le voci di fondo e di disturbo dei barcellonesi, è noto, cercavano di spingere le indagini sul movente privato, soldi, donne, debiti, gioco d’azzardo. Devo dire che la mia idea che fosse un omicidio di mafia trovava molto tiepidi anche i colleghi della Ddda di Messina. In buona sostanza eravamo io ed Aliberti a crederci. A credere nell’indagine…». «Di certo è una cosa. Gullotti viene arrestato a due passi dall’abitazione di Alfano credo il 4 o il 6 febbraio del 1995; più tardi, molto più tardi, sapremo che in quell’abitazione lo stesso Salvo Aurelio che teneva in latitanza Gullotti, forse vi tenne anche Santapaola. E Salvo Aurelio fu intercettato a quei tempi e pende ora il processo a lui e ad Orifici per il favoreggiamento della latitanza di Santapaola. Certo la suggestione (ma è solo suggestione?) è forte. Se davvero Alfano, che era in caccia (o forse sapeva già dov’era) Santapaola, quella sera vide qualcuno che usciva da quell’appartamento?». «Abbiamo sempre pensato – prosegue Canali –, anche sulla scorta delle dichiarazioni di Mimma Alfano, che Alfano forse vide qualcuno all’angolo della P.za Trento. E se invece, quando imboccò la strada, quella sera, vide qualcuno uscire da quell’appartamento e girare per quell’angolo?. Ma se così fosse: Gullotti ne sarebbe fuori? O qualcuno aveva saputo che Alfano era sulle tracce di Santapaola? E ne aveva già deciso l’eliminazione? Io e Aliberti sapevamo di quella idea di Alfano. Su Aliberti metto io la mano sul fuoco. Per me non la metterà mai nessuno. Continuo a rimanere solo. Anzi. Ora non ho nemmeno più la famiglia Alfano con me, convinti – in buonissima fede – come sono ora che io abbia in qualche modo depistato le indagini. Forse fatto condannare innocenti».

martedì

Caso Canali Terzo atto: La mossa del cavallo.

Una partita a scacchi.
Una battaglia combattuta fuori e dentro le aule dei tribunali.
Deposizioni, lettere, memoriali e competenze.
Si snocciolano una dietro l’altra, accuse e difese.

Un file dal nome emblematico “testamento” che, dal pc di un sostituto della procura di Barcellona, percorre una strada lunga e tortuosa.
Si insinua di tutto.
Dalla Sicilia sarebbe arrivato in Lombardia per ripartire verso Messina. Forse altre tappe potrebbero essere ricostruite.
Ma nessun nome viene attribuito al responsabile della sua rivelazione.

Il memoriale Canali irrompe nell’aula bunker del carcere di Gazzi durante un’udienza del processo Mare Nostrum.
Si parla di verità.
Di quella nota e di quella nascosta, occultata tra indagini e deposizioni di collaboratori di giustizia, tra verbali e deviazioni.

Canali viene chiamato a deporre sulle quelle parole ora stampate sui fogli acquisiti dalla procura.
Il primo giorno dice tanto, allude e fa nomi.
Sulla scacchiera si muovono in modo veloce e preciso tutte le pedine.
Le sue sono però considerazioni personali, sostiene lo stesso Canali.

Chiama in causa il legale della famiglia Alfano, l’avvocato Fabio Repici.
Il suo accento brianzolo suona stonato in quell’aula dove perfino i rumori suonano siciliano.
E' sempre apparso tranquillo.
La sua seconda deposizione appare a tutti più pacata nei toni e nei contenuti.
Troppi paletti imposti dalla Corte.
Canali è un magistrato.
Altre indagini ed altri processi sono in corso.

Gli aggettivi vengono limati.
I tentativi di depistaggio minimizzati.
Certo è che negli alti soffitti di quell’aula risuonano come ossessioni le domande sull’omicidio Alfano e sulle dichiarazioni di Bonaceto.

Il giallo si tinge di tinte più scure.
Chiunque si domanda perché un magistrato sia stato costretto a scrivere in un memoriale da pubblicare nel caso del proprio arresto le perplessità sulla gestione del pentito Bonaceto e sulle verità del processo Alfano. Perchè usare questo mezzo per denunciare possibili ingiustizie.

Le pedine sulla scacchiera ora sono ferme.
Si attende la contromossa.
Passano i giorni riempiti solo dai comunicati dei familiari delle vittime.

Ma il timer segna il tempo in attesa della contromossa.
In gioco c’è la giustizia.
I giocatori non sono ben definiti.
Accusa e difesa, giudici e imputati, avvocati e procuratori.
Indistintamente tutti contro tutti.
Una linea trasversale definisce i due schieramenti.
Una linea forse troppo labile.
Una lotta che potrà mietere vittime su entrambi i fronti

Anni addietro esisteva un rapporto tra Canali e Repici.
Oggi sembrano contrapposti. Su fronti diversi.
Il timer continua a segnare il tempo.

Ecco la mossa.
L’avvocato Fabio Repici invia una lettera alla Corte d’assise d’appello di Messina ed ai procuratori di Reggio Calabria e Messina.
Una lettera in merito alla deposizione di Olindo Canali.

Inusitatamente, da difensore, mi sono ritrovato oggetto di acquisizioni probatorie. Addirittura, in quello che (è bene ricordare) è un processo per gravi fatti di mafia, si è affermato che io sarei stato a conoscenza dell’innocenza di mafiosi condannati per omicidio e che, per sovrapprezzo, avrei al riguardo omesso di interpellare l’A.g., pur di evitare che quei mafiosi possano essere scagionati.”

Vengono riportate accuse all’ex Pm.
Dall’altro lato della scacchiera è partita la contromossa.

“…il dr. Olindo Canali ha testimoniato il falso su alcuni punti che ritengo di particolare rilievo. La più eclatante falsità ammannita dal dr. Canali alla Corte è stata la sua negazione di aver, nel periodo in cui aveva redatto la propria lettera dell’11 gennaio 2006, elaborato altri documenti sugli stessi argomenti per i quali è stato chiamato a testimoniare. Il dr. Canali ha recisamente negato che ciò possa essere accaduto. Sennonché ciò è, per l’appunto, plasticamente falso. Ho contezza diretta di ciò, non foss’altro perché nello stesso periodo il dr. Canali inviò a me, in allegato a una e-mail trasmessami, un memoriale parecchio più corposo, approfondito e dettagliato di quello recante la data dell’11 gennaio 2006.”

Repici ha atteso altre reazioni dopo le deposizioni dinanzi la Corte d’assise d’appello di Messina.
Niente si è mosso.
La mano ha dunque afferrato il pezzo degli scacchi.
Un sospiro e con decisione poi la mossa.

Ogni errore potrebbe portare allo scacco matto.
In questo momento solo due giocatori appaiono al pubblico incredulo.

Ognuno di essi si muove con cautela.
Si pensa a cosa fare ed alla reazione che può seguire dopo aver posizionato il proprio pezzo sulla scacchiera.
Si gioca soprattutto utilizzando il cavallo.

Si muove in un modo davvero speciale,disegnando una “L”.
Si avanza e poi si devia il proprio moto.

Ma un particolare da non dimenticare è che il cavallo che muove da una casella nera arriva sempre in una casella bianca e viceversa.
Il cavallo è l'unico pezzo del gioco che può scavalcare qualunque pezzo.
Noi da semplici spettatori, alla fine speriamo che ad essere scavalcata non sia la verità.

lunedì

Acqua con arsenico per i militari USA di Napoli e Caserta


di Antonio Mazzeo

In Campania, l’acqua di diverse abitazioni presenta “un rischio inaccettabile” per i militari che operano nelle basi USA della regione.


Ad affermarlo il Comando dell’US Navy di Napoli che ha presentato la sintesi generale di uno studio sanitario realizzato lo scorso anno in un’area di circa 395 miglia quadrate, comprendente lo scalo aereo di Capodichino, la base NATO di Bagnoli, la stazione di ricezione satellitare di Gricignano e il complesso ricreativo e sportivo di Carney Park che sorge in un cratere vulcanico a pochi chilometri da Napoli.


“Le analisi hanno riscontrato componenti organiche volatili (VOC), con livelli superiori ai limiti consentiti, in un terzo delle abitazioni controllate”, dichiarano i militari USA.

“Si tratta di 40 abitazioni su 130, dove gli occupanti sono sottoposti ad un rischio inaccettabile”.

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martedì

Un ponte che unisce due cloache, due cimiteri e due cosche.

Il Ponte sullo stretto di Messina unirà nell’ordine, due cloache, due cimiteri e due cosche.

La prima definizione si deve al giornalista
Caporale. La seconda al geologo Tozzi e la terza al politico Vendola.
Insomma chi arriva prima, parla male delle due cittadine che si affacciano su questi tre chilometri di mediterraneo.

L’amministrazione comunale di Messina stanca delle continue ingiurie da mandato per querelare chi ha diffamato il nome della città siciliana.

E che si fa così?
Davanti alle testate nazionali si getta fango su una realtà assai diversa dal resto del meridione.
La perla del mediterraneo…

Messina è una città ai primi posti per qualità di vita.
Non esiste la mafia.
Le amministrazioni locali funzionano perfettamente e tutto si svolge con la massima trasparenza.
L’edilizia, le industrie alimentari, il turismo ed il commercio, sono i settori d’eccellenza che spingono un economia florida.
Messina è una mosca bianca nel panorama cupo dell’economia meridionale.

La magistratura si occupa di lievi litigi tra vicini e cause di separazioni consensuali.
Tutto va bene.
Il sindaco di Messina le cui doti di “buon amministratore” sono note in tutta Italia, (anche a Bari lo hanno acclamato quando è sceso dall’auto blu per prendere la nave con la moglie) si è sentito in dovere di adire le vie legali e di pagare la dovuta parcella al fine di tutelare una città che non è mai stata coinvolta in scandali, inchieste ed attenzioni particolari di commissioni antimafia.

Neanche fosse un
“verminaio”.
Nella ridente cittadina peloritana, gli edifici vengono costruiti secondo norme antisismiche senza mai alterare i vincoli urbanistici esistenti, tanto da ricevere il premio dal tribunale “
Oro Grigio”.

Questa città nonostante la sua posizione geografica, non ha mai svolto il ruolo di crocevia tra gli interessi di cosa nostra e della ‘ndrangheta.
Anche per questa sua repulsione al malaffare gli sono state tributate onorificenze internazionali come
“Panta Rei, Marenostrum” ecc.

Nessuna opera pubblica, appalto o fornitura è stato mai intercettato dalle cosche.
Si è vero, qualche magistrato ha insinuato qualcosa del genere ma mica era messinese.
Solo invidia.
Lo stesso sentimento che in questi anni ha spinto alcuni funzionari della direzione investigativa antimafia a ritenere che le cosche calabresi e siciliane stessero pianificando l’approccio all’appalto del ponte.
Invidiosi e maldicenti.

La città di Messina dovrebbe essere annessa all’Emilia Romagna per gli alti obiettivi raggiunti nell’erogazione di servizi pubblici, edilizia scolastica e popolare, trasporti e servizi sociali.

Qualche mese addietro qualcuno ha pure vinto un premio filmando le baracche di un rione periferico, tenuto ancora lì per scopi folcloristici con figuranti che interpretano la nota maschera locale de
“i baraccati”.
Altro elemento di attrazione è costituito da particolari percorsi che si sviluppano attraverso strade provinciali su cui sono state ricostruite piccole frane che rendono l’arrivo ad ameni paesetti assai stimolanti per gli amanti delle scalate e del trekking.

Insomma la penisola italiana attraverso questa appendice di ferro e calcestruzzo che poggerà i suoi pilastri su un giardino fiorito, deve andar fiera di una città come Messina e dei suoi abitanti che coesi e laboriosi hanno costruito uno splendido esempio da seguire per chi alleva vermi.

venerdì

Come facciamo i palazzi.

Come si costruisce un palazzo?

Come si rispettano le norme antisismiche?

In questi giorni abbiamo sentito parlare di “norme antisismiche” non rispettate, di controlli non effettuati e di zone più o meno a norma.


Ho la presunzione di credere che in una città come Messina, ad alto rischio sismico (Grado 1 colore Rosso) un terremoto della stessa forza di quello avuto in Abruzzo avrebbe fatto molti più danni.


Ne ho la convinzione non perché abbia parlato con geologi, ingegneri o architetti, ma perché la verità me l’hanno svelata i capicantiere, i ferraioli i carpentieri ed i manovali che nei palazzi della mia città hanno lavorato.


Un edificio di qualunque tipo, prima della sua realizzazione, deve essere autorizzato dall’urbanistica sentiti i pareri del genio civile e delle varie soprintendenze.

Un edificio prima della sua realizzazione, ottenuta l’autorizzazione è senz’altro a norma.

Il progetto esecutivo ed i calcoli statici vengono effettuati ovviamente in modo da ottenere parere favorevole da parte delle autorità.


La costruzione quindi può cominciare.

Si iniziano i lavori di movimento terra, gli scavi per le fondazioni e le armature di travi e pilastri.

Dentro travi e pilastri si mettono i ferri della sezione e del tipo indicati nel progetto approvato.

Iniziano ad arrivare le prime betoniere con il calcestruzzo.

Questi sono i due momenti più critici per l’antisismicità dell’edificio.

L’uso di ferri (tondini) non conformi al progetto o la loro errata collocazione, e l’uso del calcestruzzo con il giusto grado di resistenza.

Chi esegue infatti i calcoli statici prevede la “forza” della trave e dei pilastri in base all’edificio.

Il non rispetto anche di una sola di queste caratteristiche crea una struttura più debole, incapace quindi di resistere ai requisiti sismici.


“Dopo aver armato (creata l’anima di ferro interna) travi o pilastri dovrebbe controllare il direttore dei lavori, ma tanto non viene mai…Noi siamo pagati a cottimo non possiamo aspettare giornate intere che vengano a verificare quindi…poi se il ferro arriva sbagliato ci vogliono giorni per aspettare la nuova fornitura ma l’appaltatore pressa per finire…a volte è l’appaltatore a dirci di non perdere troppo tempo con staffe e legature esagerate…”


Per fare travi e pilastri, che rappresentano lo scheletro di un edificio, si deve utilizzare un tipo di calcestruzzo adeguato, quindi più resistente di quello che si usa per fare le tramezzature.

Il grado di resistenza della malta è indicata nei calcoli statici.

Più resistente è la malta più costa.

La legge prevede che per il controllo dell’adeguato impiego di calcestruzzo, ad ogni betoniera venga prelevato una parte di calcestruzzo e venga realizzato un piccolo cubo come campione da sottoporre in seguito a prova di schiacciamento per la verifica della resistenza.


“Per fare i cubetti servono le forme e poi si spreca un sacco di cemento… si perderebbe troppo tempo… non lo facciamo mai…”

Allora come riuscite ad eseguire a fine lavori le prove di schiacciamento dei cubetti per ottenere le dovute certificazioni? – "Chiamiamo quelli che ci forniscono il calcestruzzo e loro ce ne portano quanti ne vogliamo di cubetti ad alta resistenza."


Altra procedura da adottare ai fini della stabilità delle strutture in cemento armato è l’uso di sistemi di vibrazione della malta per evitare vuoti d’aria nelle parti armate.

“E chi lo usa mai… quando la pompa del calcestruzzo getta la malta dovremmo fermarci ogni due minuti per vibrare… E poi parlaimoci chiaro, disegnare un ferro più grosso o segnare una malta più ricca non costa nulla, metterla invece costa parecchio.“


Ingegneri ed architetti hanno richiesto l’autorizzazione per la costruzione di un edificio secondo le norme antisismiche.

Quello che succede dopo è la consuetudine di un paese senza controllo.

Fino al prossimo terremoto.



giovedì

Vauro sospeso.

Vauro sospeso per la vignetta sul terremoto.
Quelli che hanno messo il "tondino" liscio nei pilastri dei palazzi potranno non sentirsi offesi.

lunedì

Caso Canali. Fine primo tempo.


Oggi al maxiprocesso Marenostrum era di scena Olindo Canali.
La sua deposizione a seguito della lettera acquisita agli atti durante una precedente udienza.
La vicenda è ormai nota.
La Corte visto il procedimento aperto al CSM mette dei paletti.

L’audizione dovrà avere come oggetto l’attendibilità delle dichiarazioni di Bonaceto.
Quest’ultimo segue il processo in videoconferenza perché sottoposto a regime di 41 bis.
Anche Cesare Bontempo Scavo segue dal carcere di L’Aquila le udienze. Quest’ultimo chiede di sospendere il processo per le condizioni psicofisiche in cui si trova a causa del terremoto che ha sconvolto la città.
La Corte rigetta la richiesta. Si va avanti.

Entra Olindo Canali.
Una rapida sistemazione al nodo della cravatta.
Sono le 10:55.
Percorre l’aula lentamente prima di raggiungere il posto riservato.
Formula di rito e generalità.
Fuori dall’aula bunker adesso non piove più ed un timido sole riscalda il grigio stanzone del carcere di Messina. Si può iniziare con le domande della difesa.
Il primo a parlare è l’avvocato Autru Ryolo.
Chiede di confermare l’autenticità della lettera in ogni suo parte.

Canali con sicurezza e apparente tranquillità conferma di essere l’autore di quei fogli. Sono stati redatti nel gennaio del 2006.
Il motivo è da ricercare nella circostanza che il PM nel corso del 2005, aveva saputo di essere finito nell’informativa redatta dai carabinieri denominata Tzunami, in cui si evidenziavano le sue frequentazioni con Rugolo (figlio di del boss Rugolo e cognato di Gullotti).

La mia era una frequentazione normale con un consulente del tribunale di Barcellona.
Eppure Canali riconosce che questo poteva costargli la galera.
Aggiunge: “aspettavo il pentito di turno” che lo mettesse in mezzo.
Così scrive quella lettera sul suo pc, nominando il file “testamento”.
Lo invia via mail al giornalista ed amico Leonardo Orlando.
Da quest'ultimo Canali è certo che non può esserci stata nessuna fuga di notizie.
Doveva essere pubblicata solo in caso di arresto.
Canali non riesce a capire come questa lettera sia finita in mani diverse.
Farla uscire adesso non poteva che danneggiarmi, dichiara.

Il presidente della Corte ricorda l’oggetto della deposizione. Così si passa alle circostanze descritte nella missiva di Canali che coinvolgono Bonaceto.

Il magistrato premette che quanto scritto è il frutto di riflessioni personali che non coinvolgono il suo lavoro di magistrato.
Secondo lui sono stati attuati troppi depistaggi sulle vicende che coinvolgono Bonaceto.

Canali adesso parla.
Lui risponde a tutto.
E’ dalla Corte che arrivano le richieste di fermarsi.
Bisogna limitarsi a ciò che è di pertinenza.
Lui parla dell’appuntato Campagna che insieme a Zingales raccolse le deposizioni di Bonaceto.
A domanda risponde. “Sospetto che Bonaceto non sapesse tutto ma cercò di accreditarsi.” “Bonaceto disse che avevo pilotato le sue dichiarazioni.”
“Depositò delle fotocopie di appunti di carabinieri durante le udienze di primo grado del processo marenostrum.”.
“Nel 2006 oltre ciò, arrivano le dichiarazioni del nuovo legale della famiglia Alfano.”
“Mi sono convinto che qualcuno stesse depistando tutto.”
Canali non nomina il nuovo legale della famiglia Alfano.

Alle ore 11.19 in aula un piccolo black-out.
Attimo di buio e di silenzio. Si sospende. Ritorna l’energia.
L’udienza riprende. I neon e gli altoparlanti ricominciano a ronzare.

Le domande ora si indirizzano sull’omicidio Alfano.
Il presidente chiede di non proseguire su questi argomenti poiché oggetto di altri procedimenti.
Questa è un’altra storia.


Canali continua a rispondere.
“Posso essere convinto che qualcuno sia colpevole, ma se le carte mi dicono che è innocente non posso fare nulla.”

Così tenta di affermare le ragioni che lo hanno spinto a scrivere che “si può pagare per reati non commessi ed essere assolti per ciò che si è realmente compiuto”.
Il riferimento è a Gullotti ed alle sue vicende processuali.
Ma sottolinea che questo è l’uomo che scrive.
Mentre parla l’aula è in perfetto silenzio.
Tutti assistono allo show.
Canali salta da una parte all’altra seguendo le domande. E’ come un acrobata senza rete.

La situazione al carcere di L’Aquila peggiora.
Il detenuto in video conferenza deve abbandonare. La Corte si ritira.
Canali resta in aula a parlare con alcuni avvocati. Un'altra interruzione.
Il suo discorso resta sospeso.
Sorride, saluta e guarda il pavimento di plastica verde.
Il processo è rinviato. Si va tutti via.
L’aula si svuota velocemente.
Finisce così il primo tempo della vicenda Canali.
Lui si ferma a chiacchierare nella trafficata strada che accoglie l’aula.
Sembra meno teso.
“In fondo Messina è solo una grande Barcellona”.


Foto: www.enricodigiacomo.it