venerdì

L'Italia - ha detto il presidente dell'Istat Biggeri presentando il Rapporto Annuale alla Camera dei deputati - è in un momento di difficoltà economica, con investimenti e consumi delle famiglie fermi o in regresso.
Affinché gli uni e gli altri tornino a crescere e aumenti il reddito delle famiglie più in difficoltà, occorrono interventi energici".

Ma non serve "una medicina miracolosa": "i risultati ci saranno se tutti, medici e pazienti, faranno correttamente la loro parte, senza tatticismi e rinvii".

Gli aspetti positivi dell'economia sono modesti, sia perché sono distribuiti in maniera disomogenea e in molti casi accentuano le già profonde differenze tra le aree del Paese. Favorendo ancora di più un fenomeno che l'Istat aveva già annunciato nel Rapporto dell'anno scorso: la ripresa dell'emigrazione da Sud a Nord.
Il "movimento migratorio interno" in effetti ha ripreso vigore già a partire dalla metà degli anni Novanta, ma in particolare tra il 2002 e il 2005 si contano in media circa 1,3 milioni di trasferimenti l'anno.
Le regioni dalle quali ci si sposta di più sono Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
Chi non si trasferisce spesso finisce in una 'zona grigia': non lavora, ma non cerca più neanche il lavoro.

Insomma aumenta il divario tra ricchi e poveri.
Il 15% delle famiglie non arriva a fine mese.
Il 20% più ricco raccoglie il 40% dei redditi.
Al 20% più povero resta solo il 7%
Un paese dalle disuguaglianze sociali sempre più marcate, sia tra le classi che tra il Centro-Nord e il Meridione.
Un paese dove il 20% delle famiglie più ricche si spartisce il 40% del reddito totale, mentre al 20% più povero della popolazione italiana resta solo un misero 7%, e di questa popolazione più povera poco meno della metà è concentrata nel Sud.

Niente più scuse per i nostri rappresentanti politici.
Siamo un paese in cui regnano le disuguaglianze sociali.
Ci sono e crescono sempre più.
Che soluzione è abolire l’ICI o gettare fango sui clandestini.
C’è un problema più grande in questo paese, quello della povertà degli Italiani.
Basta prenderci per il culo.
Basta con il made in italy che tira e le infrastrutture impossibili.
C’è chi non può campare. C’è chi non può curarsi. C’è chi delinque per mangiare.
E mentre ci pisciano addosso e ci dicono che piove, crescono i nuovi eroi.

Stipendio dimezzato o vengo licenziato
A qualunque età io sono già fuori mercato
…fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato invece torno a casa distrutto la sera, bocca impastata come calcestruzzo in una betoniera io sono al verde vado in bianco ed il mio conto è in rosso quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
su, vai, a vedere nella galera, quanti precari, sono passati a malaffari quando t’affami, ti fai, nemici vari, se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari finisci nelle mani di strozzini, ti cibi, di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini ..ne’ l’Uomo ragno ne’ Rocky, ne’ Rambo ne affini farebbero ciò che faccio per i miei bambini, io sono un eroe.
sono un eroe, perché lotto tutte le ore.
Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere. (Caparezza)

martedì

Fuoco nell'anima.

La provincia di Messina nuovamente in fiamme.

Un caldo estivo ed un forte vento di scirocco complici di decine di roghi.

Almeno quattro i comuni interessati. Si evacuano case e piccoli centri. Arrivano i volontari.

Si assiste impotenti con le vanghe in mano e la fronte sudata.

Dopo le tragedie dell’estate 2007 sembra non essere cambiato nulla.

All’indomani dei funerali delle vittime del rogo di Patti, da ogni parte ed a gran voce venivano pronunciate importanti proclami e solenni promesse per evitare questi disastri.

La prossima estate sarà diverso.

Il corpo dei Vigili del Fuoco è come l’anno scorso gravemente sottodimensionato.
Un conflitto interno vede diminuire la presenza dei “discontinui” che pressano per ottenere l’assunzione definitiva.
Il corpo Forestale ha pochi mezzi e la Protezione Civile arriva a stento a fronteggiare tutte le emergenze.

Da questa mattina sono andate in fiamme vaste aree di macchia mediterranea, casupole e piccoli fabbricati. Chiuso un tratto d’autostrada.
In questo momento, mentre scrivo, mi arriva la notizia di due feriti.

Chiamare i pompieri per sentirsi dire che le squadre sono tutte impegnate è doloroso per chi assiste al rogo delle proprie coltivazioni o delle proprie abitazioni.

Le fiamme arrivano in un attimo. Il fuoco avvolge tutto. Il calore fa soffocare e quasi smetti di respirare.
Le autobotti sono lontane. Il fuoco è più veloce del tempo che serve per rendersi conto di essere soli.
Il fuoco con la sua feroce danza si sposta impetuosamente da un albero all’altro, da un cespuglio di ginestre ad uno di rovi.
Il rumore di ciò che arde è un frastuono nella testa ormai annebbiata dal fumo.

Prima il fumo e poi la fiamma come una veloce giostra. Quanti anni per vedere quell’albero con i frutti. Quanti anni per comprare quella casa. Da piccoli si giocava nel fresco di quella pineta che sembrava eterna.

Diciamoci la verità nulla è stato fatto dall’anno scorso ad oggi.

Diciamoci la verità, seppelliti i morti e contati i danni tutto è rimasto immutato coperto dalla cenere e dal nero fumo.

Estate 2008, conteremo i danni della stagione dei roghi, prometteremo di impegnarci alla tutela del territorio e continueremo a paragonare gli ettari andati in fumo con aree grandi come metropoli.

Ci può scappare il morto.

Ma sembra non ci sia niente da fare per scongiurare tutto ciò.

Qualcuno continuerà ad accendere fiammiferi.
Qualcuno assisterà al fuoco che cancella la sua casa, la sua terra la sua vita. Qualcuno cercherà parole per dire che si farà qualcosa.

I Vigili del Fuoco continueranno a dire che sono pochi.
Sarà ancora emergenza incendi. L’ennesima emergenza italiana da gestire. Siamo un paese povero.

Comprare il plasma da 50 pollici per gli europei. Risparmiare 150 euro di ici.
Bruciare quel che resta della nostra nazione in attesa che arrivi l’autunno.

lunedì

Seminare Paura raccogliere vittoria

Da www.terrelibere.org

Antonello Mangano

La psicosi 'sicurezza' non nasce dall'aumento di reati ma dalla pluridecennale campagna della Lega contro un 'nemico pubblico' dapprima individuato nei meridionali ('terroni go home'), quindi - dopo l'alleanza di governo con Berlusconi - negli 'extracomunitari'. Il patto col siciliano Movimento per l'autonomia, del resto, dimostra l'incoerenza ideologica di un movimento senza valori ma con la incontestabile capacità di creare senso comune ed imporre a tutti i partiti ed ai media le proprie campagne d'odio

Freddi numeri

Dal 2000 a oggi gli omicidi in Italia sono passati da 13,1 a 10,3 per milione di abitanti.
A sostenerlo una fonte autorevole - l'Istat - nel rapporto "100 statistiche per il Paese" presentato il 7 maggio 2008.Nel documento si legge che gran parte degli omicidi sono commessi nel Mezzogiorno, ma anche qui emerge un andamento decrescente.
Nel panorama europeo, l'Italia è uno dei Paesi più sicuri per numero di morti violente: è al di sotto della media, con 14 delitti per milione di abitanti e in ottava posizione complessiva (in testa c'è l'Austria).
In Italia dovrebbero essere i cittadini del Sud a protestare più degli altri. Invece, sono città come Bologna e Firenze a capeggiare il delirio sicuritario, mentre al Sud non si registrano manifestazioni di massa se si eccettua un assalto al campo rom da parte di cittadini napoletani (le cui foto sono finite su Times, Indipendent, New York Times, Associated Press, Le Monde, El Mundo), ai quali va evidentemente bene essere ammazzati, derubati, scippati, avvelenati, rapinati dai propri concittadini ma che reagiscono ad un sospetto rapimento - peraltro non provato - con un pogrom da primo Novecento: un paradosso brutalmente sintetizzato dal titolo a tutta pagina del Times di Londra: "'Mafia' vigilantes firebombs Gipsy camps".

Paura europea

Il "colpevole" del delirio sicuritario ha un solo nome: Lega. È stata la crescita costante di questo movimento a portare alla paradossale situazione di isteria collettiva che produce assalti ai campi nomadi, norme fuori da ogni diritto e da ultimo lo scherno dell'Europa di fronte alla richiesta di blindare le frontiere di Schengen da parte di un paese che da cento e più anni esporta mafiosi e malfattori in ogni angolo del globo (la strage di Duisburg risale appena all'estate del 2007).Qualunque successo elettorale della Lega ha portato tutte le forze politiche ad accodarsi al "metodo" del vincitore, sostenendo che "hanno buone ragioni", pur se espresse male; che colgono le domande della gente; che infine non hanno tutti i torti, portando avanti sostanzialmente idee giuste e condivise dal popolo.Il fatto è che la Lega non ha idee: i suoi leader sono semplicemente imprenditori politici della paura, che trovano spazio fertile nelle fasi di recessione economica e di insicurezza diffusa, quando è molto più semplice e comodo trovare un capro espiatorio che industriarsi a risolvere i problemi. Come molti movimenti di estrema destra, la Lega muta "obiettivo" in base alla possibilità di ottenere consenso. L'abitudine a vivere l'informazione giorno per giorno porta a cancellare la memoria, nonostante gli archivi informatici che oggi permettono facilmente di mantenere traccia di cioè che è avvenuto in anni recenti. Quanti ricordano, ad esempio, che la Lega nasce contro il Meridione e per la secessione?

Fase 1. Razzisti? No, solo contro i terroni

Luigi Moretti, leader della Lega Lombarda - Alleanza Nord, primo nome della Lega (600 mila voti alle elezioni europee), in una intervista al settimanale Epoca, affermava che il suo partito non è razzista, ma è solo contro i meridionali che emigrano al Nord. "Contro i negri non abbiamo proprio niente. Anzi, per noi sono meglio dei terroni". Moretti, bergamasco di 45 anni, ribadisce che il problema che sta più a cuore al suo partito è proprio quello meridionale. "Siamo contro il meridionalismo, siamo contro Roma che manda al Nord i suoi consoli a comandare. Contro gli insegnanti meridionali che insegnano ai nostri figli una lingua e una cultura che non ci appartiene, che non vogliamo. E poi: prefetti meridionali, giudici di tribunale meridionali... è ora di finirla. La Lombardia è dei lombardi e deve essere guidata e amministrata da lombardi".

Fase 2. Dalla secessione all'alleanza col catanese

Il cambio di rotta avviene con la Lega ormai integrata nel governo Berlusconi, dove convive con i partiti che prendono voti in tutta Italia e che non possono sopportare l'ingombrante alleato antimeridionale. Così la secessione - già annacquata nel federalismo - diventa "devolution", sparisce il razzismo contro i "terroni" e tutto l'odio viene concentrato sugli extracomunitari.Infine arriva l'alleanza organica con l'MPA di Lombardo, gli autonomisti del Sud, ma quelli accusati di usare sistemi clientelari, provati da un singolare "incidente": un giornalista che cercando "Pinnacle" su e-Mule si trova davanti cartelle, documenti, archivi e fogli Excel pieni di indicazioni per raccomandazioni e favori troppo dettagliati per essere frutto di fantasia. La Lega contro il sud corrotto, la Lega che ancora grida "Roma ladrona" ha come alleati personaggi che usano i più biechi sistemi clientelari, proprio quelli contro cui la Lega è nata.Ma la Lega è solamente un partito di "onesti" che si allea per ragioni strategiche con i corrotti meridionali? Anche questo non è vero. Umberto Bossi è stato condannato ad otto mesi per le tangenti Enimont, con sentenza confermata in Cassazione. Diventato deputato europeo, ha "sistemato" il fratello Franco Bossi e il figlio primogenito Riccardo presso il Parlamento di Bruxelles con la qualifica di assistenti accreditati. Stipendio 12.750 euro. Sono stati fatti rientrare solo dopo lo scoppio dello scandalo.Sul Corriere della sera del 27 settembre 2005, Gian Antonio Stella ironizza sullo "scambio di coppie" della Lega, riferendosi ai due parlamentari in camicia verde Ballaman e Balocchi che si assumono a vicenda le mogli.
Ma del resto, in Italia, le "regole" le devono rispettare solo i poveri che vengono da fuori.

Ponte, mafia e politica.


di Antonio Mazzeo.


“Circa il 40 per cento delle opere potrebbe teoricamente alimentare i circuiti mafiosi”.
È lo scenario che emerge da uno studio sull’impatto criminale del Ponte commissionato al Centro Studi Nomos del Gruppo Abele di Torino dall’Advisor della Società Stretto di Messina.
Gli interessi mafiosi potrebbero manifestarsi nella fase di scavo e realizzazione delle fondazioni e della movimentazione terra, ed in questo caso imprese mafiose – già esistenti o più probabilmente costituite ad hoc – potrebbero rivendicare una partecipazione diretta ai lavori.

Identico rischio di penetrazione criminale per quanto riguarda le strutture di ancoraggio dei cavi di sospensione, per le quali è previsto un volume di 328.000 metri cubi in Sicilia e di 237.000 in Calabria.

Se si tiene inoltre conto che per la realizzazione del manufatto occorrono in totale circa 860.000 metri cubi di calcestruzzo, il rischio criminalità appare di gran lunga più elevato, data la tradizionale specializzazione dei gruppi mafiosi in Calabria e Sicilia nel cosiddetto “ciclo del cemento”.

Ma è nell’ambito dei lavori per i collegamenti ferroviari e stradali, in buona parte previsti in galleria e nelle rampe di accesso al Ponte, che il rischio criminalità è ancora più alto ed evidente.

Un altro settore particolarmente sensibile alla penetrazione mafiosa è quello relativo all’offerta di servizi necessari per il funzionamento dei cantieri.
Oltre alla tradizionale funzione di guardianìa - secondo il sociologo Rocco Sciarrone - “i mafiosi cercheranno con molta probabilità di inserirsi nelle fasi di installazione e organizzazione dei cantieri, e successivamente anche nella gestione dei loro canali di approvvigionamento. È dunque ipotizzabile il tentativo di controllare il rifornimento idrico e quello di carburante, la manutenzione di macchine e impianti e la relativa fornitura di pezzi di ricambio, il trasporto di merci e persone”.
Nelle mani di mafia e ‘ndrangheta, in più, potrebbero finire cemento, ferro, finanche il catering e gli alloggi per gli operai.

Questa è però una visione “minimalista” che non tiene conto delle evoluzioni dell’impresa mafiosa e della sua forza finanziaria e di inserimento nei mercati “legali”.
Nella relazione trasmessa al Parlamento nel novembre 2005, la Direzione Distrettuale Antimafia (Dia), affermava che “la mafia è pronta a investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”.

Nello specifico, le indagini avrebbero accertato che “ingenti capitali illecitamente acquisiti da un’organizzazione mafiosa a carattere transnazionale sarebbero stati reinvestiti nella realizzazione di importanti opere pubbliche, con particolare riguardo a quelle finalizzate alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”.

Il primo allarme degli inquirenti sugli interessi delle organizzazioni mafiose nella realizzazione dell’infrastruttura risale comunque al 1998. Anche allora fu la Dia a denunciare la “grande attenzione” di ‘ndrangheta e Cosa Nostra per il progetto relativo alla realizzazione del Ponte.
La Dia approfondiva il tema nella sua seconda relazione semestrale per l’anno 2000. Soffermandosi sulla ristrutturazione territoriale dei poteri criminali in Calabria e in Sicilia, si segnalava come le indagini avessero evidenziato che “le famiglie di vertice della ‘ndrangheta si sarebbero già da tempo attivate per addivenire ad una composizione degli opposti interessi che, superando le tradizionali rivalità, consenta di poter aggredire con maggiore efficacia le enormi capacità di spesa di cui le amministrazioni calabresi usufruiranno nel corso dei prossimi anni”.

Nel mirino, secondo l’organo investigativo, innanzitutto i progetti di sviluppo da finanziare con i contributi comunitari previsti dal piano Agenda 2000, stimati per la sola provincia di Reggio Calabria in oltre cinque miliardi di euro nel periodo 2000-2006.
“Altro terreno fertile ai fini della realizzazione di infiltrazioni mafiose nell’economia legale – aggiungeva il rapporto - è rappresentato dal progetto di realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, al quale sembrerebbero interessate sia le cosche siciliane che calabresi. Sul punto è possibile ipotizzare l’esistenza di intese fra Cosa Nostra e ‘ndrangheta ai fini di una più efficace divisione dei potenziali profitti”.

Dal Canada allo Stretto di Messina via Arabia Saudita

Intanto alcuni faccendieri lanciavano l’assalto, per conto delle più potenti cosche mafiose d’oltreoceano, alla gara per il general contractor del Ponte di Messina.
L’intrigata ragnatela di interessi è venuta alla luce il 12 febbraio 2005, quando la stampa dava notizia dell’emissione di cinque provvedimenti di custodia cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso e delle perquisizioni in diverse città italiane.

I provvedimenti venivano notificati al boss Vito Rizzuto, capo dell’organizzazione legata ai mafiosi Cuntrera-Caruana e sospettato di rappresentare in Canada la “famiglia” Bonanno di New York, all’ingegnere Giuseppe Zappia (residente in Canada ma arrestato a Roma), al broker Filippo Ranieri (originario di Lanciano in Abruzzo), all’imprenditore cingalese Savilingam Sivabavanandan e all’algerino Hakim Hammoudi.
L’inchiesta (denominata “Brooklin”), coordinata dal capo della Dda di Roma Italo Ormanni e dal pm Adriano Iassillo, sulla base di numerose intercettazioni, individuava un’operazione concepita da Cosa Nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga nella realizzazione del Ponte. Ad ordire le trame il boss Vito Rizzuto, originario di Cattolica Eraclea, figlio di Nicola “Nick” Rizzuto, personaggio eminentissimo della mafia internazionale.

Stando alle accuse dei magistrati romani, il mafioso italo-canadese si sarebbe avvalso dell’imprenditore Giuseppe Zappia che aveva capeggiato una cordata partecipante alla gara preliminare per il general contractor, avviata dalla Società Stretto di Messina il 14 aprile 2004. Sei mesi più tardi, tuttavia, la “cordata Zappia” e un non precisato raggruppamento di aziende meridionali venivano escluse nella fase di pre-qualifica, perché non in possesso dei requisiti richiesti. Zappia ha negato i contatti con la criminalità italo-canadese e a sua difesa ha prodotto un affidavit, una sorta di accordo sancito con una società, la Tatweer international company for industrial investiments, in mano ad uno dei principi della famiglia reale dell’Arabia Saudita. I soldi per il Ponte, cioè, dovevano venire dagli immensi profitti del petrolio.

In realtà i faccendieri internazionali avevano fatto la spola tra Canada e Arabia Saudita, intrecciando inquietanti relazioni tra mafiosi e sovrani mediorientali, ed avviando i contatti con i manager delle maggiori società di costruzione in corsa per il Ponte sullo Stretto. La mafia, consapevole delle loro difficoltà a reperire capitali freschi per avviare i lavori, si era offerta a metterceli lei e per intero.

Come ha evidenziato Stefano Lenzi, responsabile dell’Ufficio istituzionale del WWF Italia, “l’attuale salto di qualità vede la holding mafiosa mettere sul tavolo dei suoi rapporti con le imprese il suo ruolo di ‘intermediatore finanziario’, con enormi disponibilità economiche. Un mediatore che non ha nemmeno bisogno di condizionare il general contractor per realizzare l’opera ‘con qualsiasi mezzo’, ma tenta, addirittura, di diventare esso stesso (attraverso le necessarie coperture) l’elemento centrale di garanzia del GC, che dovrà redigere la progettazione definitiva ed esecutiva e realizzare l’infrastruttura”.

Ma più di tutto, l’establishment criminale aveva colto l’alto valore simbolico del Ponte, comprendendo che con il finanziamento e la realizzazione della megaopera era possibile ottenere nuova legittimazione istituzionale e sociale.
“Quando farò il ponte – dirà in una telefonata l’imprenditore Zappia – con il potere politico che avrò io in mano, l’amico (il boss Rizzuto ndr) lo faccio ritornare…”.

Dal 19 marzo 2006 è in corso presso il Tribunale di Roma il processo contro i protagonisti dell’operazione Brooklin. In esso, incomprensibilmente, la Società Stretto di Messina ha scelto di non costituirsi parte civile.
Indipendentemente da quello che sarà l’esito giudiziario, un verdetto storico è inconfutabile: in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, è avvenuta la riorganizzazione di segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America.
Ma non solo.
Dietro tanti dei Padrini del Ponte, infatti, si celano i nomi più o meno noti di mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. Quasi a voler enfatizzare il volto “moderno” del capitale. Saccheggiatore di risorse naturali e dei territori; generatore prima, beneficiario dopo, di ogni conflitto bellico.

Infiltrazioni criminali sui lavori autostradali
In attesa del Ponte, la criminalità organizzata ha scelto di sedere attivamente al banchetto dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (oltre 1.200 milioni di euro), lavori appaltati proprio ad alcune delle grandi società italiane di costruzione che guidano l’Associazione temporanea d’imprese “Eurolink”, general contractor per la progettazione definitiva e la realizzazione del “Mostro sullo Stretto”. Per l’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria, mafia e ‘ndrangheta avrebbero riscosso il pizzo da quasi tutte le aziende coinvolte. Lo ricorda l’ultimo rapporto su criminalità e imprenditoria di Sos Impresa/Confesercenti. Impregilo, ad esempio, capofila Eurolink, “aveva insediato nelle società personaggi che, secondo gli inquirenti da sempre avevano avuto a che fare con esponenti della criminalità organizzata e con imprese di riferimento alle cosche”.Lo stesso sarebbe accaduto con la Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.a., partner del gruppo di Sesto San Giovanni nella costruzione del Ponte sullo Stretto.

Il modus operandi delle due società è stato delineato dall’inchiesta condotta nel luglio 2007 dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di quindici persone, tra cui gli esponenti di spicco dei clan Piromalli di Gioia Tauro, Pesce di Rosarno, Condello di Reggio Calabria, Longo di Polistena e Mancuso di Vibo Valentia.
Per i lavori autostradali nel tratto compreso tra gli svincoli di Rosarno e Gioia Tauro, le cosche avrebbero imposto ad Impregilo e Condotte l’assegnazione dei lavori e la fornitura di materiali e servizi ad imprese a loro vicine, più una tangente del 3% sul valore delle commesse.

Spiega Confesercenti: “La scelta da parte di entrambe le imprese di investire personaggi discussi della carica di capo aerea della Calabria, secondo gli investigatori non era casuale ed a testimoniarlo vi sarebbero delle conversazioni intercettate e le indagini pregresse che avevano già portato ad inquisire due professionisti. Nelle intercettazioni risalta la piena consapevolezza delle regole mafiose imposte dalle organizzazioni criminali e l’adeguamento ad esse da parte delle grosse imprese, le quali recuperavano il famoso 3% da destinare alle cosche mediante l’alterazione degli importi delle fatture”.

Ogni intervento sui cantieri era già stato attribuito a tavolino alle varie cosche, secondo rigide regole territoriali: ai Mancuso è toccata la competenza nel tratto Pizzo Calabro-Serra San Bruno, ai Pesce quello tra Serre e Rosarno, ai Piromalli l’area tra Rosarno e Gioia Tauro. “Le procedure di subappalto erano state avviate ancor prima dell’autorizzazione dell’ente appaltante, il tutto a scapito delle imprese pulite estromesse dalle gare in quanto non gradite all’ambiente”, conclude Confesercenti.
La prefettura di Reggio Calabria aveva sempre negato la certificazione antimafia alle ditte sospette, ma puntualmente esse erano riammesse ai subappalti grazie alle benevoli sentenze del Tar della Calabria.

Destino beffardo quello dei lavori autostradali: il 1° aprile 2005 il consorzio Impregilo-Condotte aveva firmato con la Prefettura di Reggio Calabria e l’ANAS, un protocollo d’intesa per la “prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiose durante la realizzazione dell’opera”. Le due società si erano impegnate, in particolare, ad “adottare tutte le misure del caso atte ad evitare affidamenti ad imprese sub-appaltatrici e sub-affidatarie nel caso in cui le informazioni antimafia abbiano dato esito positivo”, e ad effettuare “controlli, verifiche e monitoraggi per scongiurare l'intromissione di imprese irregolari, forme di caporalato o lavoro nero”.
Chissà cosa faranno per il Ponte...

E il certificato antimafia?

Nell’euforia generale post-elezioni dove vincitori e sconfitti preannunciano il riavvio dell’iter progettuale ed esecutivo della megainfrastruttura tra Scilla e Cariddi, è finita nell’oblio una vicenda inquietante che in uno Stato di diritto, perlomeno avrebbe dovuto imporre a forze politiche, imprese, organizzazioni sindacali e sociali, organi giudiziari, una pausa di riflessione sull’intero sistema delle Grandi Opere.

Nella primavera 2008, infatti, è stato negato il certificato antimafia alla società Condotte, terza in Italia per fatturato e in gara – oltre al Ponte – per l’Alta Velocità ferroviaria e il Mose di Venezia.

Il fatto è stato reso noto direttamente dall’allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro.
“Nei giorni scorsi - ha spiegato il ministro - avevo segnalato al ministero dell’interno come dalle indagini della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria e di altri organi investigativi era emerso uno stretto legame tra la società e la criminalità organizzata calabrese, in particolare in merito alla gestione di alcuni cantieri dell'autostrada Salerno-Reggio Calabra e della nuova strada statale 106 Jonica”.
“Alla mia segnalazione - ha proseguito Di Pietro - il ministro Amato ha risposto rendendomi noto che a seguito del parere del comitato per l’alta sorveglianza, attivo presso il dicastero dell’interno, il prefetto di Roma ha adottato, lo scorso 20 marzo un provvedimento di diniego della certificazione antimafia nei confronti della società Condotte”.
“Tutto questo ho tempestivamente comunicato all’ANAS - ha concluso il ministro - oltre che agli altri organi competenti, affinché adottino tutti i provvedimenti del caso, in merito ai cantieri della A/3 e della 106, ma anche in relazione ad eventuali altri rapporti contrattuali, gestiti da controllate o dalle concessionarie autostradali”.

Il nulla osta antimafia è richiesto nelle distinte fasi dell’appalto e non solo all’inizio e serve per ottenere i pagamenti in ogni fase di avanzamento dei lavori. Anche se ogni prefettura è autonoma nella valutazione discrezionale sul provvedimento, buon senso impone che le altre prefetture vi si adeguino, negando la certificazione per gli altri appalti ricadenti nella loro giurisdizione.

Il provvedimento di revoca del certificato antimafia è stato pure commentato dal prefetto Bruno Frattasi, alla guida del Comitato di sorveglianza sulle grandi opere. Frattasi, in particolare, ha fatto riferimento a “numerose verifiche del gruppo interforze di Reggio Calabria, che ha visitato più volte i cantieri trovando un contesto ambientale inquinato”.
Si è pure appreso che sempre in data 20 marzo 2008, la stessa Prefettura di Roma ha provveduto ad invitare la capofila Impregilo a “procedere alla estromissione, con eventuale sostituzione, della Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.a. dalla propria compagine sociale” nel termine di trenta giorni, pena il “recesso del contratto ai sensi dell’art. 11, comma tre, del DPR 3.6.1998, n. 252”.

A seguito della comunicazione del ministero delle Infrastrutture, l’ANAS ha provveduto in data 2 aprile alla “revoca di tutti i contratti con Condotte”, ma il diniego è stato poi tamponato con un ricorso della società di fronte al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che l’11 aprile ha concesso la sospensiva del provvedimento, in attesa della causa di merito.

Al colosso delle costruzioni italiane non è comunque mancata la piena solidarietà dell’associazione di categoria dei general contractor, l’AGI (Associazione Grandi Imprese).
Un suo comunicato recita che “la revoca dei contratti avrebbe effetti di devastante gravità per una delle maggiori, più antiche e più qualificate imprese del settore”. Per la cronaca, vicepresidente di AGI è l’ingegnere Duccio Astaldi, vicepresidente di Condotte d’Acqua.

Con la mafia, parole dell’ex ministro delle Infrastrutture Lunardi, si deve pur convivere.
Così, forse, nessuno richiederà più il certificato antimafia a chicchessia. Oggi, di certo, nessuno ritiene tuttavia ingombrante sedere accanto ad un’impresa fortemente censurata dall’autorità giudiziaria e dai ministri di un esecutivo. Nelle isole Eolie, ad esempio, Condotte d’Acqua ha costituito da poco una società mista con il comune di Lipari, la “Porti di Lipari S.p.a.”, per la realizzazione di un devastante programma di porti e porticcioli.
Grande sponsor dell’iniziativa l’intero stato maggiore di Alleanza Nazionale nella provincia di Messina.

L’assedio allo Stretto continua.

venerdì

L'ipotetico ponte tra Matteoli e Ciucci

ROMA 21/05/2008 ore 10:00 - Il governo riapre il capitolo Ponte sullo Stretto.

Il ministro delle infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli ha scritto al presidente della società Stretto di Messina Spa, Pietro Ciucci, sollecitandolo a rimettersi al lavoro.

ROMA 23/05/2008 ore 11:00

Pietro Ciucci risponde al Ministro: “ma perché non mi hai telefonato, facevamo prima!” ed ha aggiunto: “'dare ad Impregilo a gennaio del 2009 l'ordine di inizio attività per predisporre il progetto definitivo “.

Il colloquio potrebbe continuare: “Sai è meglio fargli fare i calcoli perché se poi come dicono in tanti fosse impossibile realizzarlo pensa che figura di merda…”

L’Impregilo comunque sta scaldando i motori. La società ha un infinità di contenziosi in tutto il globo, alcuni anche penali, ed i soldi di questo cazzo di ponte servono…Ci sono i manager da pagare e gli avvocati che continuano a staccare parcelle milionarie.

Ciucci ha poi chiarito come in ogni caso in un’operazione del genere “il consenso del territorio è un aspetto fondamentale”.

Insomma il Presidente della Stretto di Messina Spa, sembra voler ribadire al governo che la questione degli indigeni che rompono i coglioni sui territori da cantierizzare non può essere un problema loro.

Le ruspe hanno difficoltà a sfondare i blocchi stradali e c’è il rischio che qualche morto ci scappi…
Una propaganda ad hoc per iniziare, sul territorio aiuterebbe molto, gli abbiamo fatto credere di tutto, anche che Berlusconi è un santo...


Poi si passerebbe a rendere i siti interessati dalle opere, punti di interesse strategico, così si manda l’esercito e quei buzzurri la piantano.

Poi se non bastasse ci sarebbe un'altra strada… ma questa magari la teniamo per ultima…si insomma potremmo interessare quegli amici che allora interessò Berlusconi per bloccare le estorsioni alla Standa in Sicilia…anche loro stanno scaldando i motori...

mercoledì

Il lupo perde il pelo...

da La Repubblica del 20 maggio 2008

Nel decreto l’ombra del colpo di spugna.
“Si può patteggiare a processo in corso”.
Di Pietro: “Cancella il caso Mills, peggio del lodo Schifani”.

ROMA - Doveva essere il decreto legge per garantire la sicurezza dei cittadini e contrastare l’immigrazione.
Rischia di diventare, per una norma che sembra fatta su misura per i processi di Berlusconi, un’altra scatola, un contenitore come lo fu la Cirielli, per risolvere i problemi giudiziari del Cavaliere.
In particolare il processo perla falsa testimonianza Mills a Milano.
Si scopre tutto all’improvviso quando i testi, un decreto, un disegno di legge, tre decreti legislativi, arrivano all’esame del pre-consiglio a palazzo Chigi.
Non c’è il reato d’immigrazione clandestina, ma in compenso, e si tratta di due norme su cui finora era stato mantenuto il più stretto riserbo nonostante le numerose anticipazioni, il governo vuole chiedere ai giudici di anticipare tutti i processi per fatti che abbiano messo «in pericolo la sicurezza pubblica e abbiano comportato grave allarme sociale».


Che vuol dire: i dibattimenti per violenze e rapine gravi andranno fatti prima di tutti gli altri.

Ma non solo: scegliendo la data del 31 dicembre 2001, l’esecutivo decide di riaprire la possibilità, oggi vietata, di accedere al patteggiamento anche per tutti i processi già in corso.


Quindi, anche per il processo Mills che è giunto ormai in dirittura finale.
Solo «per valutare l’opportunità della richiesta» il decreto concede 60 giorni di tempo, un periodo in cui prescrizione e custodia cautelare restano «sospesi».

Non appena legge il testo, l’ex pm di Milano e leader dell’Idv Antonio Di Pietro esplode: «Questa norma è ancora più grave delle leggi ad personam fatte durante il precedente governo Berlusconi. E una legge ponte, un mezzo per un futuro colpo di spugna. Qui si approfitta di un’emergenza nazionale, di un problema di grave sicurezza, per infilare nel testo un articolo che non c’entra nulla e che si risolve nel buttare via il lavoro della magistratura e della polizia».
Di Pietro è una furia: «A tutti gli effetti, insisto, si tratta di un colpo di spugna mascherato. Il patteggiamento serve ed è utile perché concede uno sconto di pena all’imputato a patto che non si perda tempo nel fare il processo. Ma se invece il processo è già in corso, come in questo caso, e magari marcia verso la conclusione, questo patteggiamento a che serve? Siccome niente viene mai fatto per niente da Berlusconi, e la norma è irrazionale e del tutto irragionevole, è evidente che l’obiettivo è un altro: realizzare una legge-ponte, una legge-mezzo per giungere poi a un’altra, un nuovo lodo Schifani che blocchi i processi per le alte cariche dello Stato».
Articolo 2, comma 2, punto 4. L’articolato non lascia dubbi. Anche se è arrivato a palazzo Chigi dopo un duro braccio di ferro tra l’estensore del testo, giusto l’avvocato del Cavaliere Niccolò Ghedini, il ministro leghista Roberto Maroni e il sottosegretario aennino Alfredo Mantovano che non capivano bene le ragioni di quel patteggiamento ripescato proprio per i reati commessi fino al 31 dicembre 2001.


Perché mai quella data? Il sospetto era chiaro: giusto il processo Mills che si celebra a Milano, in cui Ghedini difende il premier, e che dopo la sospensione durante le elezioni si avvia ormai alla sentenza prevista per l’estate.
Chi partecipa alle riunioni sul pacchetto sicurezza vede malissimo e si adira per la prima versione proposta da Ghedini, «la sospensione di un anno, prorogabile per un altro anno» per i processi in cui si può utilizzare il decreto appena approvato.
All’esterno pare che Lega e An litighino con Ghedini sul reato d’immigrazione, ma la questione è ben altra.
Il contrasto è molto duro, l’avvocato del premier rimaneggia il testo e riduce da un anno a 60 giorni il tempo concesso all’imputato per decidere se accedere all’offerta del patteggiamento.
Nel frattempo, in due interviste concesse al Sole24 Ore e al Corriere della Sera, l’avvocato e deputato di Forza Italia, illustra il suo provvedimento ma non parla mai delle misure per riaprire il patteggiamento.
Ieri la sorpresa, che mette subito in allarme i magistrati di Milano alle prese col processo Mills.


Se effettivamente ci fosse una richiesta di patteggiare, il processo si bloccherebbe per due mesi giusto a ridosso della sospensione feriale.
Sentenza rinviata a settembre. Poi chissà, come dice Di Pietro.


Ma intanto, anche se in appello il processo marcia diritto verso la prescrizione, Berlusconi potrebbe evitare una condanna che lo metterebbe di nuovo a disagio sul parterre internazionale dove il reato di falsa testimonianza è considerato in modo grave.
Per questo è necessario che il decreto si approvi in fretta.
Maroni assicura che «sarà legge entro luglio».

lunedì

Le Regole uguali per tutti.

Mia figlia ha nove anni e mezzo. Si misurano così gli anni a quella età.

Mia figlia va a scuola, ama la danza e gioca in cortile. E’ una bambina come tante.

Mia figlia nel suo crescere cerca di apprendere il bene ed il male, il giusto e l’ingiusto, il diritto ed il favore.


Insomma noi tutti (genitori, insegnanti e via dicendo) tentiamo di dargli la consapevolezza che abbiamo l’obbligo morale verso i nostri simili di rispettare delle REGOLE.

Vi assicuro che tentare di spiegare, a chi guarda il mondo con l’innocenza e la disarmante schiettezza dell’infanzia, l’esistenza di un complesso meccanismo di si può e non si può fare, è cosa assai difficile.

Come dire che quello che dice la televisione non è la verità assoluta, anche se è confezionata in modo da sembrarlo.
Come dire che chi ci governa non sempre ha la capacità per farlo.
Come dire che a volte, chi dovrebbe legiferare per il rispetto delle REGOLE, abbona, condona ed indulta ogni violazione fatta alle REGOLE stesse, giustificandole così nell’idea dei cittadini?

Chiedere di rispettare le regole quando si ha la consapevolezza che molti non le rispettano e che questi molti non vengono puniti anzi spesso ottengono premi e privilegi può apparire paradossale.

Come spiegare che un nostro rappresentante politico riesce a parlar in tono dispregiativo dei Rom che lavorano in nero e poi far accettare che la REGOLA è condannare chi offre o estorce il lavoro nero a chiunque.

Come far comprendere che in questo paese vale per tutti la regola che se sei condannato in primo grado per un reato puoi non dover essere costretto a restare in carcere in attesa degli altri gradi di giudizio, sia tu un extracomunitario condannato per furto, sia tu un governatore condannato per favoreggiamento alla mafia.

Mia figlia conosce il rispetto verso il suo maestro a scuola, verso i genitori, verso le cose che la circondano e verso i suoi simili.

Ma fino a quando manterrà questo rispetto.
Fino a quando continuerà a seguire un comportamento conforme alle REGOLE?

Quando vedrà qualcuno che non le rispetterà e ne trarrà beneficio, mentre a lei resterà solo il suo senso del dovere forse tentennerà al richiamo del più furbo.

E quando assisterà alla giustizia che si piega al più forte?

E quando vedrà il tentativo di emarginare un magistrato libero da parte di altri magistrati?

Quando capirà che questi sono atteggiamenti tipicamente mafiosi, perché come spiegò Falcone, tendono prima ad isolare l’obiettivo da colpire, per rendere poi eventualmente più semplice l’eliminazione?

Quando tutto questo accadrà, io cosa le riuscirò a dire per affermare che è comunque necessario rispettare le REGOLE?

venerdì

E che hai visto ancora?

Prendersela con Fini, per la schiettezza e sincerità con cui manifesta le proprie opinioni è veramente insensato.

I fatti.
A Verona un gruppetto di naziskin uccide a botte un ragazzo. Senza alcun motivo e con inaudita violenza.

Il primo Maggio a Torino, durante una manifestazione per la festa dei lavoratori, alcuni manifestanti bruciano due bandiere israeliane e una statunitense.

Bene, secondo il neoeletto presidente della Camera (la terza carica del nostro Governo) i fatti accaduti a Torino "sono molto più gravi" dell’omicidio di Verona.

Secondo Fini il motivo è da ricercare nella considerazione che dietro i disordini di Torino (tre pezzi di stoffa bruciati) ci sta la sinistra radicale, mentre se cinque assassini fascisti aggrediscono un innocente fino a lasciarlo esanime sul selciato (e per difendersi poi, uno dei tre nominerà un legale di Forza Nuova) si è trattato solo di “bullismo”.

Chiaramente le dichiarazioni di Fini hanno sollevato un vespaio di polemiche.

Ma ovviamente tutte alquanto inutili.

Insomma che Gianfranco Fini voglia difendere degli assassini di destra è assolutamente scontato.
Il modo migliore per farlo è tentare di spostare l’attenzione su altro. Purtroppo per controbilanciare una violenza così efferata, in quei giorni c’era ben poco.

Nessun marocchino arrestato o peggio rilasciato da qualche magistrato di sinistra (tanto sono tutti comunisti) per violenza sessuale su minori, nessun rumeno che avesse perpetrato una rapina ai danni di qualche benestante pensionato di provincia.
Neanche uno sporco zingaro che si fosse reso responsabile di uno scippo ad una vecchietta per strada.

Insomma la colpa non è di Fini, ma di questi extracomunitari strumentalizzati e difesi dalla sinistra che per due giorni si sono trattenuti dal delinquere.

Riporto allora un breve commento fatto da un pensionato delle ferrovie dello stato al bar sotto casa: E che hai visto ancora?