lunedì

Le follie del rito peloritano. Lettera dell'avvocato Fabio Repici

Cari amici e care amiche,
oggi la corte d'assise d'appello di Messina ha emesso la sentenza di secondo grado nel maxiprocesso denominato Mare nostrum, riguardante le associazioni mafiose operanti sulla costa tirrenica della provincia di Messina, decine di omicidi e tanti altri delitti verificatisi in quel territorio negli anni Ottanta e Novanta. Qualcuno di voi avrà già saputo delle numerose assoluzioni piovute, spesso in riforma di condanne pronunciate in primo grado. La sentenza di oggi, però, è solo l'ultimo atto di un grado di giudizio che aveva fatto registrare accadimenti inediti nella storia giudiziaria italiana. Ve ne accenno sommariamente alcuni. Il clima del processo ebbe un mutamento allorché la corte, adeguandosi ad una nuova perizia (dopo ben nove di segno contrario espletate da esperti di ogni parte d'Italia) che, con argomentazioni a dir poco stravaganti, aveva fornito parere favorevole sulla capacità di rendere esame del collaboratore di giustizia barcellonese Maurizio Bonaceto (che nel 1997, tornato a Barcellona Pozzo di Gotto presso i suoi familiari dopo aver interrotto la propria collaborazione processuale, aveva tentato il suicidio lanciandosi dal terrazzo della propria abitazione, rimanendo gravemente menomato nel fisico e nella mente), aveva deciso di estromettere dal fascicolo i verbali delle dichiarazioni rese a suo tempo da Bonaceto e di disporne l'esame. Davanti alla corte comparve allora una larva d'uomo che, palesemente incapace di orientarsi, dietro consiglio del suo nuovo legale affermò con qualche difficoltà di non voler rispondere. A quel punto i pubblici ministeri chiesero alla corte di acquisire comunque i vecchi verbali di Bonaceto (ai sensi dell'art. 500 comma 4 c.p.p.), asserendo che il suo comportamento attuale era da ricondurre alle minacce rivolte a Bonaceto da esponenti della mafia barcellonese, secondo quanto si ricavava da un suo verbale d'interrogatorio del 24 maggio 1993. E' stato solo quando io, intervenendo in udienza, ho segnalato che tuttora, come nel 1993, il fratello di Bonaceto fa il ragioniere nella grande impresa di autodemolizioni controllata dal boss barcellonese Salvatore Ofria (seppure intestata alla madre Carmela Bellinvia) che i pubblici ministeri, come avevo sollecitato, produssero una relazione del R.o.s. che attestava quanto da me detto. A quel punto la corte acquisì i verbali delle dichiarazioni rese da Bonaceto, perché sussistenti gli elementi concreti circa le pressioni subite dal collaboratore di giustizia per evitare di deporre. Tornate nel fascicolo della corte le dichiarazioni di Bonaceto, alcuni difensori (ed in particolare i difensori del boss Giuseppe Gullotti, mandante dell'omicidio del giornalista Beppe Alfano) si adoperarono con strumenti inconsueti per cercare di minarne la credibilità. Infatti, il 9 marzo 2009, uno dei due difensori di Gullotti, l'avvocato barcellonese Franco Bertolone (che non aveva preso parte al processo fino alla sentenza di primo grado, per essere stato raggiunto dalle accuse del collaboratore di giustizia Giuseppe Chiofalo, che lo aveva indicato come "consigliori" della famiglia mafiosa barcellonese grazie ai suoi stretti rapporti con un magistrato, il dr. Cassata; ma la quarantena non veniva più ritenuta evidentemente necessaria per il giudizio d'appello, non si sa se perché il grande amico dell'avv. Bertolone, il dr. Franco Cassata, era stato nelle more nominato Procuratore generale di Messina dall'ineffabile Csm) lesse un inconsulto documento anonimo (che avanzava dubbi sull'attendibilità di Bonaceto, ma si risolveva anche in un attacco personale, fra gli altri, soprattutto contro la mia persona e quella di Piero Campagna, fratello della povera Graziella, assassinata nel 1985 a diciassette anni) il cui autore veniva identificato da quel legale nel dr. Olindo Canali, sostituto procuratore della Repubblica a Barcellona Pozzo di Gotto, che nel processo di primo grado aveva svolto le funzioni di pubblico ministero. Di questo documento veniva letta soltanto una parte, nella quale, in sintesi, si affermava che Bonaceto aveva probabilmente mentito sull'omicidio Alfano, che il boss Gullotti e il killer Antonino Merlino, pur definitivamente condannati, erano in realtà innocenti rispetto all'omicidio Alfano, che io avevo ben contezza della loro innocenza per avermela confidata Piero Campagna, che io però mai avrei riferito all'autorità giudiziaria ciò che sapevo, per non scagionare i due mafiosi condannati. Tutto questo veniva letto davanti a numerosi imputati ed innanzi allo stesso boss Gullotti, che ascoltava attentamente in videoconferenza dal 41 bis e che qualche udienza dopo intervenne per approvare al riguardo l'operato dei suoi difensori. Il documento letto dall'avv. Bertolone conteneva tante altre affermazioni, che però non venivano lette. Fra di esse, quella secondo cui "Franco Bertolone è il Franco Cassata degli avvocati" barcellonesi, frase che, a ben vedere, poteva essere considerata perfino un riscontro alle vecchie accuse del pentito Chiofalo. Sulla scorta di quel documento i difensori di Gullotti, cui si associavano numerosi altri, chiedevano la citazione come testimone del dr. Canali, perché questi riferisse sui sospetti relativi alle dichiarazioni di Bonaceto sull'omicidio Alfano. Vale osservare che l'omicidio Alfano non compariva fra le imputazioni del processo Mare nostrum e che, tuttavia, i difensori di Gullotti sostenevano il loro interesse ad approfondire anche quell'argomento alla ricerca di elementi per proporre istanza di revisione della sentenza definitiva di condanna. La corte, però, si trovava costretta a rigettare l'istanza non per l'irrilevanza rispetto alle imputazioni, ma perché formalmente sconosciuto l'autore del documento, da qualificarsi quindi come anonimo. A quel punto io, che ero stato oggetto di spiacevoli apprezzamenti da parte di alcuni difensori, oltre che del documento anonimo, senza che la corte battesse ciglio, rinunciavo al mandato difensivo rappresentando alla corte la mia ovvia disponibilità a testimoniare. Qualche giorno dopo il rigetto della corte sulla sua testimonianza era direttamente il dr. Canali ad inviare un fax alla Procura generale con il riconoscimento della riconducibilità a lui del documento letto dall'avv. Bertolone. Con questa nuova evenienza, la corte disponeva la testimonianza del dr. Canali, che pure era stato pubblico ministero in primo grado e che, quindi, si trovava nella situazione di incompatibilità con l'ufficio di testimone prevista dall'art. 197 lett. d) del codice di procedura penale. Il dr. Canali testimoniò in due successive udienze, facendo affermazioni plasticamente false. Per questo egli è oggi indagato dalla Procura di Reggio Calabria per falsa testimonianza e per favoreggiamento del boss Gullotti. Inutile,però, è tacere che ciò è avvenuto solo per effetto della mia denuncia, nel silenzio di tanti, pur consapevoli della falsità di certe affermazioni.
La Procura di Reggio Calabria nel frattempo aveva riaperto l'indagine derivante dall'informativa Tsunami, redatta nel 2005 dalla Compagnia dei carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto, che aveva documentato comportamenti illeciti del dr. Antonio Franco Cassata e le intime frequentazioni fra il dr. Canali ed il cognato del boss Gullotti. A far riemergere dai cassetti l'informativa Tsunami era stata la tragica morte di Adolfo Parmaliana. La sua ultima lettera, con le accuse al "clan" della "giustizia messinese/barcellonese", aveva indotto la Procura di Patti a trasmettere il fascicolo sul suicidio di Adolfo alla Procura di Reggio Calabria.
In effetti, posso affermare che è stato il suicidio di Adolfo a terremotare la situazione giudiziaria messinese. Da quel triste giorno, 2 ottobre 2008, gran parte della magistratura messinese associata si è chiusa a riccio in difesa delle sorti del Procuratore generale Cassata e del dr. Canali. Molti ricorderanno come la settimana dopo il suicidio di Adolfo i muri del palazzo di giustizia di Messina vennero tappezzati con manifesti dell'Anm che mi additavano nominativamente come un nemico pubblico.
La situazione è oggi ancora in fibrillazione. Perché se il dr. Canali è stato costretto a lasciare il distretto giudiziario messinese e le funzioni di pubblico ministero, il dr. Cassata, seppure considerato, anche in atti ufficiali, il più alto referente istituzionale della famiglia mafiosa barcellonese, è ancora incredibilmente il Procuratore generale di Messina. Però, avendo di recente il dr. De Feis riferito alla Procura di Reggio Calabria la verità sulle intimidazioni subite ad opera del dr. Cassata nel 2005, come riportate nell'informativa Tsunami, il dr. Cassata ha ragione di temere che la Procura di Reggio Calabria possa determinarsi a procedere nei suoi confronti e che il Csm si senta costretto ad aprire un procedimento disciplinare o paradisciplinare nei suoi confronti. In questa situazione di limbo e di attesa, la criminalità barcellonese sta raccogliendo incredibili fortune giudiziarie. E' solo di una decina di giorni fa la sentenza della corte di appello di Messina nel processo Mare nostrum-droga, che ha visto l'assoluzione generalizzata di tutti gli imputati. Come se a Barcellona Pozzo di Gotto non sia esistito traffico di droga e con la conseguenza che, fra gli assolti, c'è pure un amico di famiglia del dr. Cassata, naturalmente difeso dall'avv. Bertolone. Oggi, poi, c'è stata l'assoluzione di numerosi ed importanti mafiosi barcellonesi dall'imputazione di associazione mafiosa e dalle imputazioni relative ad alcuni omicidi. In particolar modo, risalta l'assoluzione del boss Gullotti, già beneficiato dalla falsa testimonianza del dr. Canali, per il duplice omicidio Iannello-Benvenga, per il quale in primo grado aveva ricevuto l'ergastolo. Il boss Gullotti può cominciare, quindi, da stasera a pensare ad un non troppo lontano ritorno in libertà, se si tiene conto del fatto che la condanna per l'omicidio Alfano, a causa dell'omessa contestazione dell'aggravante della premeditazione (omissione di cui è responsabile il dr. Canali), fu alla pena di trent'anni e non all'ergastolo. In definitiva, in queste settimane molti mafiosi e narcotrafficanti barcellonesi tornano lindi in società con un marchio di onestà riconosciuto loro dagli organi giudiziari messinesi. Dopo sedici anni, si torna alla Barcellona in cui la mafia non esiste, come se l'uccisione di Beppe Alfano e la morte di Adolfo Parmaliana non siano servite a nulla. La famiglia mafiosa più potente della provincia di Messina e più impunita d'Italia può riprendere serenamente il comando del territorio, nella società criminale e naturalmente pure nella società legale. Del resto, ormai, la barcellonesizzazione di Messina, come ripeto da tempo, è cosa fatta: il Procuratore generale di Messina è il barcellonese Franco Cassata, il politico più in vista della provincia è il barcellonese Domenico Nania, il sindaco di Messina è il barcellonese Giuseppe Buzzanca. Tutt'e tre sono soci del circolo culturale paramassonico barcellonese Corda Fratres, di cui era riverito socio anche il boss Giuseppe Gullotti.
Nulla sembra, invece, poter fermare le follie del "rito peloritano", della giustizia alla messinese. Nessun segnale, invece, viene di attenzione da parte degli organi dello Stato per la provincia di Messina, per questa Corleone del terzo millennio che è Barcellona Pozzo di Gotto, per i miasmi della giustizia messinese. Rimarranno i soliti sparuti illusi a invocare verità e giustizia, ad indicare al paese le nefandezze degli apparati del potere, le meschinità delle deviazioni istituzionali, gli intrallazzi di manutengoli della politica, dell'economia, della magistratura, dei servizi segreti, dell'informazione. Verranno ulteriormente aggrediti come invasati persecutori di uomini onesti e infangatori di istituzioni specchiate. Fino a che nel resto della nazione non ci si decida ad accendere un riflettore sui misfatti di quella provincia, il buio, materiale e morale, continuerà a sommergerla.
Vi chiedo scusa per aver abusato della vostra attenzione ma mi sarei sentito un disertore a non scrivere queste righe.
Fabio Repici

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