mercoledì

L'ultimo sforzo.

Avevo circa dodici anni e trascorrevo l’estate al mare.

C’erano tanti altri miei coetanei e trascorrevamo felici le vacanze.

Una volta organizzammo una caccia al tesoro ed in una delle tappe era prevista la pesca di dieci paguri nel minor tempo possibile e comunque prima delle altre squadre.

Si trattava di gettarsi nelle acque del tirreno verso le sette di sera e in apnea trovare tra la sabbia dei fondali quasi desertici i piccoli crostacei.


Arrivammo in spiaggia quasi tutti contemporaneamente.

Corremmo verso il mare calmo ed accogliente facendo volare le maglie e le scarpe in aria per non perdere tempo.

Nuotammo verso il largo a pelo d’acqua.

Di tanto in tanto ci immergevamo per scrutare piccoli segni sulla sabbia ondulata.

Ripensavo a questa esperienza leggendo la cronaca delle inchieste giudiziarie avviate in varie procure italiane per la ricerca della verità sulle stragi del 1992 e 1993.


Per un periodo sembrava che tutto si fosse fermato.

Calmato e normalizzato.

Da qualcuno quasi cancellato, abrogato, prescritto.

Poi la svolta.

Alcuni tasselli vengono rimessi al proprio posto.

Inquirenti, giornalisti, investigatori e gente comune incomincia a intravedere nuovamente un possibile scenario.

Si riascoltano i collaboratori e si cercano incartamenti. Si ricontrollano schede telefoniche ed archivi dei servizi.

Non una ma tante procure ritrovano il bandolo della matassa.

La politica trema. Il governo ha paura e quando si ha paura spesso, si sa, si commettono cazzate.

Sul sito 19 luglio 1992 e sulle pagine de l’espresso si può leggere di come pian piano tutto si concentro in un senso.

Il senso della verità.

Basterebbe già leggere gli atti per far tremare un paese democratico.

Ma l’Italia non lo è più da tanto.

Ecco quindi che mi riaffiorano quei ricordi.

Avevo nove paguri dentro il costume e cercavo senza più fiato ormai il decimo.

Scendevo giù e risalivo per rifiatare.

Guardavo anche se gli altri erano ancora in acqua.

Gli occhi mi bruciavano per la salsedine ed ero molto stanco.

Nuotavo più lentamente e confondevo piccoli sassolini con le conchiglie.

I paguri si muovevano fastidiosamente stretti tra il tessuto sintetico elastico del costume e gli ormai raggrinziti attributi.

Qualcuno dei concorrenti stava uscendo dall’acqua.

Correva a ritrovare gli indumenti per avviarsi vittorioso alla successiva tappa.

Consegnava per la conta i paguri che sarebbero stati liberati alla fine della gara.


Ero ormai allo stremo. Vedo qualcosa. Scendo giù.

Un sasso. Non avevo più le forze.

Non risalgo e piano mi guardo intorno sul fondale.

Dovevo trovare l’ultimo. Non avevo più aria.

Un cerchio alla testa mi opprimeva.

Sentivo di essere al limite.

Poi a qualche metro lo vedo.

Con l’ultimo residuo di energia arrivo a prenderlo ma l’assenza di aria mi spinge a risalire troppo velocemente.

Avverto come un graffio nell’inguine. Prendo fiato e guardo verso il fondo.

Un paguro era riuscito a sfuggire dalla morsa di lycra e pelle.

Ero sfinito. Il paguro felice aveva ripreso a camminare sul fondo di sabbia.


Non credevo di poter trovare la forza per riscendere.

Non sarei riuscito a tornare a riva.

Dalla spiaggia i miei compagni di squadra mi incitavano, forse qualcuno mi insultava, ma ero distante e non riuscivo a capire bene.

Andai giù di nuovo. La testa era ormai stretta in una morsa insopportabile.

Le braccia non sembravano più appartenere al mio corpo come appendici pesanti e dolorose.

Ricordo lo sforzo per risalire e quello per ritornare piano verso la riva.

Ricordo l’assenza di fiato, la tosse e l’affanno.

Quella fatica e quel doloroso voler riuscire mi appare oggi come lo sforzo di chi sta ricercando la verità su quegli avvenimenti.

Tanti passi avanti, poi uno indietro.

Giungere alla fine prima della completa assenza delle forze.

Vedere il traguardo ma non poter contare quasi più su polmoni e muscoli.

Poi uno slancio che sembra a noi stessi incredibile.

Sono convinto che siamo vicini alla linea bianca dell’arrivo.


Nella mia memoria sono riapparse le immagini delle onde leggere che saltavano nei miei occhi rossi e il sapore della salsedine che bruciava le labbra.

Una delle pagine più oscure della storia del nostro paese sta per essere resa pubblica.

Qualcuno non vorrebbe.

Qualcuno teme la verità.

Qualcuno era convinto che l’aria nei polmoni non sarebbe bastata.

Ma l’urlo muto dei servitori dello stato uccisi dalla mafia e da un pezzo di stato stesso non deve far fermare chi sta compiendo fino alla stremo delle forze questo difficile cammino.

Noi possiamo incitarli dalla riva, gridare ed incoraggiarli.


Noi non dobbiamo permettere che possano fermarli.

Fino all’ultima bollicina d’aria che risiederà nei polmoni dovrà essere spesa nella faticosa apnea di chi vuole giustizia.

Siamo a nove e ne manca solo uno.

3 commenti:

Laura Raffaeli ha detto...

E' bbbellissimooo questo post!! Grande!
p.s.: avrai capito che difficilmente mi lascio andare a complimenti del genere, ma mi hai trasmesso un'emozione fortissima, grazie! Un caro saluto, Laura

Anonimo ha detto...

finalmente un post aperto alla speranza!
Sono d'accordo, non possiamo permettere che chi abbia investito la propria esistenza nella ricerca della verità si senta solo e possa rischiare di essere fermato.
Il sostegno della parola a volte può diventare una risorsa insostituibile ed efficacissima.
Come hai fatto tu scrivendo questo post

giugioni ha detto...

Post stupendo!