E’ difficile paragonare i drammi, l’atrocità, la feroce sofferenza provata dai familiari di chi muore in modo inspiegabile ed incolpevole. Il dolore è DOLORE. Le lacrime scorrono in modo uguale per tutti. Il vuoto nell’anima assorbe ogni respiro. Non c’è modo di essere diversi nel vivere la perdita di un figlio, un padre o un fratello che viene strappato alla vita mentre compie il suo dovere o esercita un suo diritto.
I morti delle acciaierie di Torino ci fanno paura. Uomini che vanno a lavoro (un lavoro che tra qualche mese sarebbe finito) per mantenere le loro famiglie da operai, perché l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Perchè è un loro diritto. E’ un loro diritto lavorare in sicurezza. E’ un diritto non rischiare la vita per guadagnare un sacrosanto salario. Il vescovo ai funerali dice: “la salute non può essere venduta per il lavoro.
Poi c’è il dolore che muta in rabbia. Poi c’è dentro ognuno la voglia di giustizia. Disastro colposo.
Responsabilità. Questa parola viene ripetuta da più parti. Sindacati, governo, familiari e stampa.
Basta, chi è responsabile pagherà. Non tutto era a norma. Un estintore scarico ed un telefono guasto, i sensori non c’erano. Accertare le responsabilità.
Tutto vero e sacrosanto. Ci vuole una maggiore attività di controllo da parte degli organi preposti.
La sicurezza sul lavoro deve essere una priorità. Il lavoro è uno strumento per vivere non per morire.
In Calabria una ragazza di sedici anni ricoverata nel reparto Otorino muore sul tavolo operatorio perché secondo i puntuali ispettori del ministero, i medici non erano preparati. Negli ultimi tre mesi tre morti sospette. Tre inchieste. Ispettori, Nas e ASP, tutti all’opera per accertare le responsabilità.
Nell’ospedale calabrese subito dopo vengono chiusi 13 reparti. Non tutto era a norma. Gravi irregolarità. Gli ospedali sono luoghi di lavoro ed anche di cura. Anche questi cittadini esercitavano un loro diritto quello alla salute. Anche i loro familiari hanno provato l’immenso vuoto di chi assiste inerme al dolore più grande. Anche loro vogliono giustizia. Loro come le migliaia di famiglie che hanno perduto qualcuno per una tubatura guasta, un errore umano, un’attrezzatura mal manutenzionata. Curarsi vuol dire vivere non morire.
In fabbrica (privata) c’è un amministratore delegato, un responsabile sicurezza e via via tutti coloro i quali avevano un ruolo utile ad impedire quella tragedia, tutti raggiunti da un doveroso avviso di garanzia. Questi pagheranno. Forse poco, ma pagheranno.
In ospedale (pubblico) c’è un direttore sanitario, un direttore generale, un primario e tanti medici, ma loro non pagheranno. Sicuro.
Azienda ospedaliera, Asl, Regione, Ministero, si scaricheranno la responsabilità a vicenda. E’ la storia della mala sanità. Medici eseguiranno perizie sulle attività di altri medici e tutto si sgonfierà.
Del resto comune denominatore di queste tragedie è proprio l’inefficienza del pubblico. Un operaio dell’acciaieria prima del disastro, chiama al telefono l’asl di Torino per segnalare le gravi irregolarità sui protocolli di sicurezza, ma la risposta dell’organo preposto al controllo della sicurezza sul lavoro risponde: “mi mandi un fax”.
Non si possono paragonare le morti, ma certo si potrebbe pretendere una sola giustizia.
I morti delle acciaierie di Torino ci fanno paura. Uomini che vanno a lavoro (un lavoro che tra qualche mese sarebbe finito) per mantenere le loro famiglie da operai, perché l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Perchè è un loro diritto. E’ un loro diritto lavorare in sicurezza. E’ un diritto non rischiare la vita per guadagnare un sacrosanto salario. Il vescovo ai funerali dice: “la salute non può essere venduta per il lavoro.
Poi c’è il dolore che muta in rabbia. Poi c’è dentro ognuno la voglia di giustizia. Disastro colposo.
Responsabilità. Questa parola viene ripetuta da più parti. Sindacati, governo, familiari e stampa.
Basta, chi è responsabile pagherà. Non tutto era a norma. Un estintore scarico ed un telefono guasto, i sensori non c’erano. Accertare le responsabilità.
Tutto vero e sacrosanto. Ci vuole una maggiore attività di controllo da parte degli organi preposti.
La sicurezza sul lavoro deve essere una priorità. Il lavoro è uno strumento per vivere non per morire.
In Calabria una ragazza di sedici anni ricoverata nel reparto Otorino muore sul tavolo operatorio perché secondo i puntuali ispettori del ministero, i medici non erano preparati. Negli ultimi tre mesi tre morti sospette. Tre inchieste. Ispettori, Nas e ASP, tutti all’opera per accertare le responsabilità.
Nell’ospedale calabrese subito dopo vengono chiusi 13 reparti. Non tutto era a norma. Gravi irregolarità. Gli ospedali sono luoghi di lavoro ed anche di cura. Anche questi cittadini esercitavano un loro diritto quello alla salute. Anche i loro familiari hanno provato l’immenso vuoto di chi assiste inerme al dolore più grande. Anche loro vogliono giustizia. Loro come le migliaia di famiglie che hanno perduto qualcuno per una tubatura guasta, un errore umano, un’attrezzatura mal manutenzionata. Curarsi vuol dire vivere non morire.
In fabbrica (privata) c’è un amministratore delegato, un responsabile sicurezza e via via tutti coloro i quali avevano un ruolo utile ad impedire quella tragedia, tutti raggiunti da un doveroso avviso di garanzia. Questi pagheranno. Forse poco, ma pagheranno.
In ospedale (pubblico) c’è un direttore sanitario, un direttore generale, un primario e tanti medici, ma loro non pagheranno. Sicuro.
Azienda ospedaliera, Asl, Regione, Ministero, si scaricheranno la responsabilità a vicenda. E’ la storia della mala sanità. Medici eseguiranno perizie sulle attività di altri medici e tutto si sgonfierà.
Del resto comune denominatore di queste tragedie è proprio l’inefficienza del pubblico. Un operaio dell’acciaieria prima del disastro, chiama al telefono l’asl di Torino per segnalare le gravi irregolarità sui protocolli di sicurezza, ma la risposta dell’organo preposto al controllo della sicurezza sul lavoro risponde: “mi mandi un fax”.
Non si possono paragonare le morti, ma certo si potrebbe pretendere una sola giustizia.
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