martedì

L'anonima giustizia.


Un Maxiprocesso per mafia.

Aula bunker di Messina. Corte d’Assise d’appello.

Si celebra “Mare Nostrum”.

Alla sbarra capi e gregari delle famiglie della provincia tirrenica di Messina.

133 imputati in attesa del secondo grado.

28 ergastoli e 1646 anni di carcere.

Si ricostruisce la storia criminale delle più sanguinose e violente cosche della provincia.


Al setaccio 39 omicidi, 45 ferimenti, una lunga serie di estorsioni per il controllo del raddoppio della linea ferroviaria Messina-Palermo e attentati come quello che, il 27 febbraio 1992, distrusse il posto fisso di polizia di Tortorici inaugurato poche settimane prima. Il tutto frutto di una guerra tra la "vecchia" mafia barcellonese, quella collegata al clan catanese di NITTO SANTAPAOLA e il gruppo emergente di PINO CHIOFALO, l'allora capo della cosca di Terme Vigliatore che si alleò con il clan tortoriciano dei BONTEMPO SCAVO.

Al vaglio sette anni di cruenta guerra mafiosa esplosa nel 1986 nel barcellonese all'indomani dell'omicidio del vecchio "padrino" FRANCESCO RUGOLO, suocero di GIUSEPPE GULLOTTI che prese in mano le redini del clan per la faida da combattere con i "chiofaliani".


Si ripercorrono le evoluzioni del fenomeno mafioso in tutte le sue varianti. Il controllo del territorio, le estorsioni e le violenze e i rapporti delle famiglie con i colletti bianchi.

Poi ad un tratto un nuovo scenario si apre sul processo.

Gli avvocati difensori Luigi Autru Ryolo e Franco Bertolone producono una lettera anonima e chiedono che venga messa agli atti.

Una missiva recapitata da ignoti, in cui l’autore mette in discussione la colpevolezza del boss della mafia barcellonese Giuseppe Gullotti come mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, e anche l’attendibilità delle dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Bonaceto, teste chiave dell’accusa nel processo Alfano e, per quel che riguarda il maxiprocesso, nella condanna all’ergastolo inflitta in primo grado al boss Gullotti nel duplice omicidio Iannello-Benvenga.

La lettera non è firmata, ma in molti si sentono di poter riconoscere l’autore.

Ne viene letto uno stralcio: «… Se togliete Repici, Colonna e qualcun altro, non è rimasto nessuno dalla mia parte. Anche Repici è dalla mia parte, sia pure a modo suo. È da quella parte in cui non si fanno sconti a nessuno. Neppure a quelli che, per un tratto o forse sempre, hanno camminato, con te, sulla stessa strada. «A Repici l’unico appunto che posso fare (se ancora posso fare appunti a qualcuno) è che, difendendo Piero Campagna nel processo per la morte della sorella, ha saputo, deve aver saputo, la verità sull’omicidio Alfano e sulle dichiarazioni di Bonaceto. Quella che io sospetto da tempo. Non certo dai tempi dell’indagine, ma almeno da un paio di anni a questa parte. Triste è stato doversi tenere dentro tutto. Repici non la dirà mai. E questo farà di lui, anche di lui, un “imperfetto”, rispetto a una sua perfezione morale, culturale e professionale quasi assoluta. I suoi dubbi, professati poi mica tanto in segreto e a non poche persone, sulla responsabilità di Merlino e di Gullotti, la dicono lunga sulla sua capacità di analisi e sulla sua onestà intellettuale. È un Leninista. Me lo fece capire un suo accenno, politicamente corretto e segno di grande conoscenza dell’ideologia marxista. Disse, una volta, (non ricordo a proposito di chi) “È un leninista, farebbe qualsiasi cosa per il potere“. Aveva ragione, ma questa frase va intesa bene, e credo di averla intesa giusta. Come Lenin con gli ideali puri del marxismo e della rivoluzione bolscevica, che erano da far trionfare in qualsiasi modo (e giustamente, ritengo io), anche Repici farebbe qualsiasi cosa pur di affermare la sacrosanta vittoria della Verità e della Giustizia sulla Mafia. Qualsiasi cosa, a qualunque costo. «La vittoria finale fa passare in secondo piano i mezzi e, soprattutto, le convinzioni personali. Come ho fatto io. Anche con Pippo Gullotti. Pippo Gullotti: che nemesi. Assolto da omicidi che aveva certamente commesso o di cui era certamente il mandante, finirà per aver scontato parte di pena per uno da cui è probabilmente estraneo…».


Un maxi processo per mafia.

Una lettera anonima.

L’autore si presume sia un magistrato. Un ex PM.

Due avvocati giocano il loro asso nella manica.

Un terremoto scuote gli scranni dell’aula. Sembrerebbe tutto sbagliato.

Qualcuno non dice la verità, secondo l’anonimo autore.

Ma può un magistrato servirsi di questi mezzi per spargere confusione e incertezza?

Si può attraverso anonime affermazioni screditare avvocati e persino gettare fango su sentenze di condanna del tribunale.

Il rito peloritano si tinge di altre sottili sfumature.

La giustizia incassa il colpo. Attendiamo la reazione.



1 commento:

Adduso ha detto...

Nel leggere questo post, e particolarmente un passo della “lettera”, c’è stato un nome che mi ha riportato indietro al 19 aprile del 1989, quando un noto e potente politico regionale mi convocò a Messina presso la sua segreteria (come nei film di mafia, solo che era vero), e mi buttò sul tavolo in un bustone giallo semi aperto i “santini” di un altrettanto noto politico europeo siciliano poi ucciso dalla mafia. Da ingenuo idealista e soprattutto credulone nei cosiddetti valori dello Stato, a cominciare dalla tanto blasonata magistratura, presi quei “santini” e li buttai in un cestino della spazzatura, anzi lo dissi pure a tutti. Il risultato se lo volete vedere è sul mio sito.

Non mi stupisce quindi che anche un Magistrato, come si suppone nel post in questione, debba ricorrere alla lettera anonima, perché una cosa ho imparato per certa in circa 16 anni (e ancora purtroppo non è finita) che per combattere la mafia ci si deve rivolgere allo Stato, ma quando è lo Stato, le sue Istituzioni (la politica è ormai conclamato) che sanno quanto meno di cultura mafiosa, a chi ci si rivolge? E quindi, stringendo i denti, o si rinuncia e ci si arrende, oppure si va via, o ancora si prova a resistere, ma ben sapendo che ogni persona che hai davanti, fosse anche un Giudice o tanti Giudici, possono essere allineati alla nota politica mafiosa di questa nazione ed in particolare di questa regione o anche solo di questa provincia messinese nella quale notoriamente la mafia si “sbianca”.

Quando tanti anni addietro andavo a Palermo per lavoro, passava all’andata davanti alla casa di un noto magistrato ed al ritorno dietro, perché ero obbligato dal sistema viario, e vedevo questa persona, che per uscire di casa o rientrarvi, doveva sempre essere scortato al punto che si bloccava il traffico per tenere lontane persino le autovetture che passavano in quel momento. Poi sappiamo che non è servito purtroppo neanche questo, la mafia l’ho uccise. Allora mi dicevo sempre che dovevo avere nella vita almeno un decimo della forza d’animo di quell’uomo. Oggi invece, quando ho un qualsiasi esponente delle Istituzioni davanti, mi chiedo sempre se per caso non è un “allineato” e lo guardo e lo scruto e lo ascolto, persino sto attento come si muove ed i gesti che compie. Come qualche mese addietro, quando è entrato in aula un certo noto avvocato messinese ed anche politico, che subito il pm è andato a salutarlo, il giudice gli ha fatto cenno con la mano schiacciandogli l’occhiolino. Il mio legale, che non è di Messina, si girò verso di me quasi tra il terrorizzato e l’inorridito, ma io che ormai sono un quasi un “veterano” dell’ostentato “potere” politico-istituzionale, gli feci un sorriso per tranquillizzarlo ed avvicinandomi gli dissi che in calabria saranno ndranghetisti, ma come sappiamo essere ostentatamente “arroganti” noi siciliani, non lo può capire chi viene da fuori, fosse anche appena da dopo lo stretto.

Che brutta storia quella raccontata in questo post. Si muore perché si rimane soli, si muore perché si entra anche involontariamente in un giro molto più grande di noi. E non ci facciamo illusioni, e non ci facciamo illudere dagli "ambulanti di chiacchiere mediatiche", siamo visibilmente tornati indietro ai tempi di “navarra”, con una mafia, come allora, che non si capisce tra chi comincia e a chi finisce.