Un sostituto di una procura siciliana, Barcellona Pozzo di Gotto, scrive.
Una procura calda Barcellona.
Lui è un ex pubblico ministero del maxi processo Mare Nostrum.
Un magistrato che è finito coinvolto in indagini volte a smascherare un sistema mafioso che gestiva gli affari della provincia “babba”.
In passato è stato anche un simbolo della lotta alla mafia per poi finire tra i nomi degli accusati dal Prof. Parmaliana.
Lui è consapevole che le accuse verranno lette a suo sfavore e quindi scrive.
E’ certo che la sua carriera è al termine.
Si sente solo. “Su di me è sceso un velo di silenzio, di abbandono, di distacco”.
Scrive una lettera non firmandola.
E’ convinto che verrà resa pubblica dopo il suo arresto.
Scrive: “E anche il mio arresto sembrerà giusto, sacrosanto, provato e fondato”.
La lettera anonima viene recapitata all’avvocato Franco Bertolone che lui stesso definisce “il Franco Cassata tra gli avvocati”.
La lettera viene tirata fuori durante un udienza del processo d’appello “mare nostrum”.
Un colpo di scena.
Gli avvocati che difendono il boss Giuseppe Gullotti chiedono l’acquisizione agli atti della missiva, attribuendo espressamente l’origine della stessa al magistrato Olindo Canali.
La corte rigetta la richiesta di acquisizione agli atti.
Dal dott. Canali nessuna smentita.
Nella lettera vengono mosse accuse ad alcuni avvocati.
Uno di questi, l’avvocato Fabio Repici reagisce. Nessun’altro.
Il presunto Canali ripercorre la sua carriera.
Si sfoga. “Ho fatto il mio lavoro come ho potuto, per quello che ho potuto, o che mi hanno lasciato fare. Dal 1999, dall’epoca del lavoro infernale nelle udienze di mare Nostrum – che nessuno può immaginare – ho perso la morsa sul mio lavoro di P.M., e su Barcellona. Ma soprattutto ho perso il tempo per comprendere, capire e stare vicino alle persone giuste. In fondo la stessa frequentazione con Rugolo, sia pure nei termini che io so e che non è quella per cui verrò arrestato, è il segno che quel dannato lavoro, o meglio quel modo di lavorare in cui mi hanno lasciato, mi aveva fatto perdere lucidità, precisione e forse tensione. Un po’ di sbracamento lo devo ammettere. E pure un po’ di presunzione. Colpire, giustamente, Palano per i suoi delitti è stato un altro delitto di presunzione che il suo precettore Tano GRASSO non mi ha mia perdonato. Ed avere contro Tano GRASSO è come avere contro una corazzata americana. E Tano Grasso significa Lumia, significa Gigi Croce. Significa Gambino. Significa buona parte dei DS.”
Ma può un magistrato, chiunque esso sia, ricorrere a questi “mezzi” per difendersi?
Possono la sua storia ed i suoi sentimenti essere usati per difendere un boss sotto processo. Può la magistratura accettare una lettera che ammette gravi ingiustizie.
“Pippo Gullotti: che nemesi. Assolto da omicidi che aveva certamente commesso o di cui era certamente il mandante, finirà per aver scontato parte di pena per uno da cui è probabilmente estraneo.”
Ma davvero la giustizia in questa provincia è nelle condizioni che racconta l’anonimo magistrato?
Questa guerra tra mafia ed antimafia, tra diritto e favore riesce a rendere paludosa la semplice ricerca della verità.
Tutto si confonde.
Buoni e cattivi, guardie e ladri.
Chi scrive, crede fermamente alle ragioni dell’avvocato Fabio Repici, ma gradirebbe che questa lettera non sia solo uno scontro tra due soggetti in campo, ma divenga lo spunto per chiarire ciò che realmente è accaduto e continua accadere dentro le aule dei nostri tribunali.
La lettera si chiude così: "Raggiungerò Ciccio SIDOTI,
Magari se è possibile possiamo sperare che ad essere difesa sia
1 commento:
In questa vicenda è molto difficile anche esprimere una semplice opinione. Bisognerebbe conoscere dall’inizio alla fine tutti i fatti e atti, ascoltare più elementi incrociati pro e contro, ma soprattutto, a mio scarno vedere, è pure inquietante solo a parlarne, in quanto oggi, notoriamente, se si parla di magistratura, si prova lo stesso timore di quando negli anni ’70 e ’80, qualcuno parlava di mafia. E tanto pare vero questo, che di contro, l’organizzazione della magistratura e soprattutto la sua associazione di corporazione rappresentativa, a mio modesto capire, pare persino, nelle apparizioni mediatiche, “inebriarsi” di questa nota e diffusa paura, ma così anche, e guarda caso, a tutto vantaggio di contro di certa politica palesemente despota e capitalistica ("mafiosa"). C’è poco da fare, siamo e rimaniamo sempre esseri viventi ancora "incompuiti", visibile preda dei nostri (misconosciuti) piaceri materiali endogeni, tra i quali il “delirio di potere o onnipotenza” (quando ci sentiamo dio in terra è come se raggiungessimo l’orgasmo).
Ma ritornando al contenuto del post, c’è un passo che anche questa volta indica un personaggio, stavolta della cosiddetta antimafia, che mi ha nuovamente riportato indietro nel tempo. Nel 1994 mi recai da lui, anche in quell’occasione con i miei ingenui ideali e soprattutto credulone nei valori di alcuni rappresentati dell’antimafia di allora. Mostrai documenti e carte inequivocabili che in quel momento colpirono, almeno questa fu allora la mia impressione, l’interlocutore che mi promise che mi avrebbe fatto parlare davanti alla commissione nazionale antimafia, perché poi era questo che cercavo all’epoca. Invece seguì un silenzio, come si dice oggi, assordante. Analogo tentativo ripetei qualche anno addietro, nonostante in quel periodo avessi gravi problemi di salute, con un altro noto esponente della cosiddetta antimafia, che una volta era il leader della cosiddetta “rete” e che oggi è in un altro partito. Anche in questo caso, cercavo e chiedevo sempre di andare davanti alla commissione nazionale antimafia, ma pure in questo caso è seguito il silenzio.
A mio avviso non ci sono molte vie d’uscita da questi “meccanismi”, tanto più che le cosiddette nuove “leve” della politica e soprattutto del diritto, senza mai però generalizzare, e sempre a mio mero percepire, da questi “maestri” hanno imparato il peggio, ovverosia quelle “ombre” che in pubblico, o in televisione, tutti ci sforziamo di celare, ma che poi in privato manifestiamo chiaramente, quasi a volte ostentandole inconsapevolmente, come fossimo solo dei “re nudi”, soprattutto ufficiosamente davanti agli “allievi”, quali in questo caso iscritti, militanti, passionari, ma anche laureandi, praticanti, giovani avvocati, prossimi concorsisti, ecc. i quali, il più delle volte, quasi per una legge evolutiva della nostra specie, li “introitano” a “modello”. I “sintomi” però, almeno in questa Nazione (ma mi pare pure in tutto il mondo, tanto che uno di questi è con tutta evidenza la crisi globale finanziaria-economica), cominciano ad essere sotto gli occhi di chi si sforza di cercare ancora di vedere la nostra società con il proprio cervello.
Infine, chiunque abbia scritto la lettera, ha sicuramente una grande amarezza. E tuttavia, senza entrare nel caso specifico di cui apprendo qualcosina solo grazie anche a questo interessante blog, evidenzio da profano che non sempre l’amarezza è sinonimo di verità, non tanto con gli altri, quanto con se stessi. Anzi, può essere anche e solo la reazione fisiologica all’astinenza da piacere endogeno dato dalla cosiddetta “vittoria”, a qualsiasi costo, contro chiunque e anche se senza scrupoli, che poi è a detta di tutti, anche l’unico “modello” attuale creduto valido dalla nostra società.
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