lunedì

L'Italia nel pallone

Gli italiani, da buoni abitanti del paese del paradosso, usano due pesi e due misure.

Sono rigidi nel giudicare alcune cose e tolleranti fino allo spasmo su altre.

Sono abili commentatori dello sport nazionale, il calcio.
Sono di questa disciplina non solo opinionisti ma tutti quotati allenatori e commissari tecnici.

Nel campionato di calcio sia di serie A che di serie B, nonché nelle gare della nazionale, riescono stando seduti in poltrona o sui gradini di uno stadio a giudicare, sanzionare o graziare tutti coloro i quali a questi giochi ci partecipano attivamente.

Così capita che quando una squadra non ottiene i risultati sperati, le tifoserie pressando sulle società calcistiche, riescono a far cambiare allenatore, centroavanti o portiere, a seconda del colpevole individuato.
Insomma gli italiani tifosi non tollerano che le cose vadano male.

Non riescono ad assecondare un allenatore incapace o un attaccante che non segna.
Hanno consegnato il loro cuore ad una bandiera e mai e poi mai possono perdonare chi non si spende per i suoi colori.
Folle di ultrà inferociti si apposta sotto le stanze della dirigenza. Fischi e sputi dagli spalti.
Non si comprano più biglietti. Si lotta per ottenere giustizia.

Un commissario tecnico sbaglia la scaletta dei rigoristi?
Fuori!
Un allenatore non assicura la salvezza dalla retrocessione?
A casa!
Nessuna clemenza. Chi sbaglia paga.

Eppure tale rigidità non rispecchia il comportamento degli stessi italiani nella vita di tutti i giorni.

Il presidente del consiglio e il suo governo di dipendenti non fanno nulla per risolvere i problemi di un paese ormai in ginocchio, anzi in area retrocessione, e si spende anzi, per risolvere i problemi propri distruggendo la giustizia non scatenando alcuna reazione.

Il commissario tecnico di questo paese, si preoccupa più di realizzare una panchina personale sventrando lo stadio e limitando l’area di gioco, non pensando neanche per un attimo né ai giocatori né ai tifosi.

Durante il primo tempo di una partita mentre la sua squadra arranca, si sporge dalla balconata con tanto di ombrelloni e sdraio, ed abbassandosi la cerniera dei pantaloni piscia sui centrocampisti.

Qualcuno si lamenta (i soliti comunisti). I giocatori non corrono, non giocano e perdono.
Nessuno sembra però accorgersi di nulla.
Dalle televisioni arrivano acclamazioni. Qualcuno dai giornali tiepidamente lo sostiene.

La formazione continua però a perdere.
Siamo fuori da ogni campionato. Lo stadio rischia di diventare un deserto. Nessuno degli ultrà si lamenta. Nessun coro contro. Nessun fischio.

L’allenatore non si cura di nulla.
Le sue mancanze non vengono neanche celate. Tutto alla luce del sole.

Il presidente del consiglio continua imperterrito e pensa:
mica sono Donadoni io!

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